Andrea Chiesi: “Cerchiamo gente competente ma in Italia il privato è visto come un male”

UNIVERSITA' E CHIESI FARMACEUTICI: L'UNIONE CHE NON CONOSCE CRISI

Il made in Italy, nonostante la crisi economica, è forte ancora in tutto il mondo al di là della moda o del cibo.
Prova ne è la prima terapia avanzata a base di cellule staminali, Holoclar, approvata due mesi fa dalla Commissione europea e messa in vendita nei Paesi membri dell’Ue: un primato tutto italiano, firmato dal centro di ricerca Chiesi Farmaceutici di Parma e dal centro di medicina rigenerativa S.Ferrari, spin off dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Il gruppo Chiesi, fondato nel 1935 da Giacomo Chiesi, vanta una posizione di rilievo a livello nazionale e internazionale in termini di sviluppo della ricerca e di ricavi: solo nel 2014 ha fatturato oltre 1,3 miliardi di euro con una crescita dell’8%, è in quinta posizione per i brevetti depositati nell’intera industria farmaceutica italiana, si posiziona tra le 10 case farmaceutiche col maggior tasso di crescita al mondo. Alla faccia di chi, in questo momento, vede tutto buio e pensa che in Italia e a Parma si sia spenta la luce.
Nonostante i dipendenti impiegati nel nostro Paese siano 1.700, mentre all’estero se ne contano 2.400, il 75% del fatturato deriva da prodotti sviluppati in Italia.
Non solo: negli ultimi 6 anni Chiesi ha generato più di 750 nuovi posti di lavoro. Di fatto un’eccezione nel panorama italiano in cui la ricerca fatica ad andare avanti così come i contratti a tempo indeterminato.

FARMACI(A) ANTI CRISI – Un’eccezione che sembra coinvolgere anche il nostro Ateneo: “Il tasso di occupazione dei nostri laureati, sia nel Dipartimento di Farmacia che per Ctf, è molto elevato: i primi arrivano al 96% e i secondi superano l’80%”, sostiene Patrizia Santi, direttrice del Corso di laurea magistrale a ciclo unico in Farmacia e Chimica e Tecnologie Farmaceutiche all’Università di Parma.
Il gruppo Chiesi, neanche a dirlo, è un punto di riferimento per studenti e ricercatori: “Ci sono diversi gruppi che collaborano con Chiesi su vari argomenti – continua Santi – come la scoperta di nuovi farmaci oppure la formulazione di farmaci già noti. Io stessa ho fatto esperienza come ricercatore con Chiesi qualche anno fa partecipando allo studio dei cerotti transdermici, altri miei colleghi si occupano di preparati inalatori, farmaci contro l’asma e altre patologie di questo genere. Abbiamo sempre diversi contatti con l’azienda, e diversi contratti”.
Spesso si tratta di contratti di ricerca, per cui l’azienda concorda con l’Università un certo tipo di progetto da svolgere in base all’expertise del ricercatore, ovvero la sua specializzazione.

E in quanto a preparazione, il nostro Ateneo gonfia il petto: “Se si rivolgono all’Università di Parma è perché qui trovano le competenze, conoscono la reputazione dei nostri ricercatori“.
Tutto confermato dall’ultimo rapporto di valutazione della qualità e ricerca dell’Anvur, in cui i gruppi che lavorano nel settore di Scienze Chimiche del Dipartimento di Farmacia risultano al 1° posto negli Atenei nazionali di media dimensione, mentre quelli che si occupano del settore di Scienze Biologiche sono al 20° posto su 99.

Al contratto di ricerca, però, non sempre segue un vero contratto di lavoro con il gruppo Chiesi: “E’ comunque una grande opportunità – prosegue la direttrice -. Noi bandiamo una borsa di studio che dà al neolaureato la possibilità di fare questo lavoro pagato dall’Università. Non è detto che da qui si ottenga il lavoro in azienda, ma è un’ esperienza importante che fa curriculum”.

COSA CHIEDONO GLI STUDENTI? COSA LE AZIENDE? – Federica Carra, fidentina di 26 anni, da poco ha avviato un contratto di stage di 6 mesi nel gruppo Chiesi di circa 600 euro al mese: “Lo stage è la soluzione migliore perché puoi crescere. Ho mandato il mio curriculum via internet; dopo cinque giorni mi hanno chiamato e quella telefonata era, a mia insaputa, il primo colloquio. Per accedere servono buona padronanza dell’inglese e conoscenze nell’ambito generale delle Gmp (norme di buona fabbricazione dei prodotti) che durante il corso all’Università vengono solo accennate“.
Tra i corridoi del Dipartimento di Farmacia, le voci riguardo la preparazione data dall’Università sembrano suonare all’unisono: “Servirebbe più praticità – sostiene Francesco – con stage obbligatori in aziende italiane ed estere; eliminerei i corsi a scelta per far posto a ore di lavoro”.
La situazione non cambia se ci si sposta nel Dipartimento di Ctf, dove studiano Gioele, Roberta, Simona e Cristina: “Noi possiamo fare dei tirocini ma non in azienda, solo in farmacia. È paradossale, proprio noi dovremmo avere la possibilità di svolgerli in industria!”

Qualche ‘tirata d’orecchie’ i giovani studenti la riservano anche alle aziende, che sì, offrono uno stage di sei mesi dopo la laurea, ma non danno suggerimenti per un eventuale colloquio: “Qualcuno da parte delle aziende è venuto in Facoltà per spiegarci che tipo di lavoro svolgono e ci ha detto che dobbiamo sapere l’inglese e avere un po’ di esperienza. Ma a livello pratico nessuno ci prepara per una cosa del genere: tutto quello che sappiamo lo abbiamo sentito da chi si è già laureato e ha magari affrontato un colloquio in azienda”.

E dall’altra parte, cosa richiedono le aziende all’Università? “Sapere l’inglese forse meglio dell’italiano e mostrare disponibilità di spostamento si rivelano fondamentali –  spiega Francesca Buttini, ricercatrice e docente di tecnologia farmaceuticagli studenti disposti ad andare all’estero sono quelli che trovano lavoro più facilmente.”
“Ma spesso – prosegue – le aziende non mirano alle competenze specifiche quanto piuttosto ad un supporto da parte delle Università che detengono i mezzi per ottenere un buon prodotto finale”. I finanziamenti, spiega la prof.ssa Buttini, vengono destinati sia alle attrezzature, sia alle borse di studio: “Le borse si aggirano intorno ai 1.000 – 1.200 euro e coprono sei mesi di ricerca. Sono assegnate ovviamente tramite bando pubblico. Un lavoro di ricerca costa all’azienda circa 30mila euro per 6 mesi e 50mila per un anno, con l’Università che trattiene l’11% degli importi”.

Andrea Chiesi

Andrea Chiesi

LA PAROLA DEL GRUPPO CHIESI –  “Il rapporto dell’azienda con le Università è molto buono e di lunga data in tutto il mondo, e in particolare con quella della città di Parma: ci ho studiato io, ci ha studiato mio fratello, ci ha studiato mio cugino. Intratteniamo relazioni da svariati decenni con vari Dipartimenti. Ovviamente noi, ricercando l’eccellenza e la profondità culturale e tecnica nei rapporti che instauriamo, non ci limitiamo a un Ateneo o due , ma andiamo a cercare nel mondo tutti i gruppi che hanno l’expertise che a noi serve”. Parole di Andrea Chiesi, direttore R&D Project & Portfolio Management del gruppo Chiesi Farmaceutici, che si sofferma sui progetti significativi portati avanti con l’Università di Parma: Noi lavoriamo sia con Chimica, che con Farmacia, che con Biochimica, e abbiamo trovato progetti interessanti in tutti e tre i Dipartimenti dei quali siamo molto soddisfatti. Con Farmacia lavoriamo alla formulazione respiratoria, con Chimica sulla strutturistica, con Biochimica abbiamo collaborato sull’Alzheimer ma abbiamo dovuto interrompere il progetto perché non più alla nostra portata focalizzandoci su altri target: il respiratorio, l’ematologia e lo special care in particolare”.

Come si entra a far parte dell’azienda farmaceutica e con che tipo di contratto? “Le tipologie di contratto dipendono moltissimo da quello che uno fa: si va da uno semplice di tipo service, per cui uno viene pagato a prestazione, al fare una società insieme con gli Atenei come Holostem, che è partecipata in quanto minoritaria dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Abbiamo attivato anche borse di alto apprendistato.”
“Cerchiamo gente in gamba – continua – che abbia dimostrato di essere capace, che si impegna. Ogni tanto questo si vede dal curriculum degli studi, ogni tanto no. Il voto di laurea è sicuramente importante così come il tempo in cui uno si è laureato, anche se non determinante. La conoscenza reciproca attraverso stage o comunque la possibilità di interagire è credo la cosa più importante. E poi cerchiamo gente competente, gente che conosca l’argomento, che abbia voglia di fare e di fare bene
Tanto meglio se con un’esperienza all’estero alle spalle: “Io penso che un’esperienza fuori sia sempre utile: vedere cose diverse, avere prospettive differenti e muoversi da soli in autonomia sono capacità assolutamente importanti”.

Soprattutto per chi aspira a far parte di un’azienda affermata a livello planetario: “All’estero c’è molta meno burocrazia e le cose sono molto più semplici anche dal punto di vista ‘politico’: nel resto del mondo occidentale le aziende non sono viste come un male, ma sono viste come un bene, per cui di fatto la voglia di collaborare è tanta e si cercano e si trovano i modi. Da noi c’è un po’ una diffidenza di fondo nei confronti del privato, dell’investimento privato, che spesso contamina queste relazioni e le rende più difficili”.

Non solo, però, maggiore apertura, Andrea Chiesi ha altri due suggerimenti per il mondo degli Atenei: “Io penso che tutte le Università, non solo quella di Parma, abbiano due opportunità in questo periodo storico: le lingue, perché se le persone non sanno l’inglese non riescono a lavorare in settori avanzati come quello della Chimica, Biologia e Farmaceutica; e il coraggio di scegliere, di finanziare dei gruppi che sono effettivamente eccellenti per consentire loro di diventare dei punti di riferimento, al di fuori della dimensione locale, potendo programmare l’attività anche nel corso degli anni”.

 

di Francesca Matta e Marica Musumarra