La sfida della cooperazione: il sapere universitario per un futuro sostenibile

EMERGENZA PROFUGHI CLIMATICI: IL PROGETTO INTERNAZIONALE PER LA TUTELA DI SALUTE, ALIMENTAZIONE E AMBIENTE

IMG_6194“Le tematiche affrontate nella giornata della cooperazione organizzata dall’Università di Parma il 27 marzo 2015 rientrano nell’ambito di quella profonda trasformazione della funzione educativa e sociale che il mondo dell’Università, e quella di Parma in particolare, sta vivendo in questi ultimi anni e che riguardano il nuovo ruolo che l’Università deve avere nei confronti della realtà che ci circonda”: così Alessio Malcevschi, docente del Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Parma, presenta la giornata di lavori svolta il 27 marzo. Un appuntamento informativo dedicato alle iniziative di cooperazione promosse dall’Ateneo che nell’Aula Magna ha accolto, insieme a studiosi ed esperti, i dodici medici stranieri presenti a Parma per il II Master in Salute Internazionale.
Tra i principali problemi affrontati l’analisi dei fenomeni dell’interdipendenza globale a livello economico, sociale e ambientale e il ruolo fondamentale che l’Università può svolgere per dare il proprio contributo scientifico ed intellettuale al dibattito sul riposizionamento della cooperazione internazionale nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile. Un compito che l’Università di Parma intende portare avanti nella direzione di una rafforzata e più efficace cooperazione sostenibile, non solo in campo medico-ambientale ma anche etico; un modello in linea con i valori di una nuova università pubblica.

NUOVE FRONTIERE PER LA COOPERAZIONE – Il rettore Loris Borghi, che ha aperto la giornata di lavori ricordando che il 2015 è l’Anno Europeo per lo sviluppo e la cooperazione internazionale, ha sottolineato infatti l’importanza in questo senso dell’apporto dell’istituzione accademica. “In Italia l’università è prevalentemente pubblica e può essere paragonata ad una medaglia a due facce – ha esordito Borghi -. È una struttura composta da professionisti di altissimo livello, molto produttiva e poco costosa in rapporto alle reali energie spese. Il rovescio della medaglia è che è sempre stata un ambiente abbastanza chiuso, che ha avuto timore a confondersi e contaminarsi”. Le iniziative di cooperazione si inseriscono in un contesto che intende abbattere questi muri, soprattutto laddove ci sono le energie adatte per affrontare progetti di tale calibro. “Come Ateneo – ha concluso il rettore – siamo in grado di contribuire al meglio a impegni come questi e di ottenere ottimi risultati”. Anche Leopoldo Sarli, direttore del Cuci – Centro Universitario per la Cooperazione Internazionale dell’Università di Parma – ricorda come il forum internazionale di Busan, nel 2011, abbia ridefinito il concetto di cooperazione internazionale assegnando un ruolo anche alle università. “Per essere efficace la cooperazione allo sviluppo internazionale, deve essere intelligente, sostenibile ed inclusiva. Se efficace deve quindi scomparire per essere sostituita da una collaborazione tra pari”. In concreto, esorta Sarli, l’università deve occuparsi di “migliorare i programmi Erasmus, intensificare gli scambi tra studenti e docenti di diversi Paesi e fornire cultura ed esperienza ai giovani migliori dei Paesi che più ne hanno bisogno”.

PARMA, ANCHE BIOSCIENZE ADERISCE AL CUCI – L’Università di Parma ha aderito al progetto di cooperazione internazionale attivato nel 2006 dalla Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri come promotore di tre Reti Regionali di coordinamento tra le università (Nord, Centro e Sud). L’iniziativa rientra in un ampio coinvolgimento operativo che ha portato alla formazione del Coordinamento Universitario per la Cooperazione allo Sviluppo (Cucs) di cui fa parte il Cuci, il Centro Universitario per la Cooperazione Internazionale dell’Università degli Studi di Parma, diretto dal professore Leopoldo Sarli. Alla realtà del Cuci si unisce da ora anche il Dipartimento di Bioscienze. “Con l’adesione al Cuci – spiega Nelson Marmiroli, direttore del Dipartimento – si vuole dare un nuovo e forte impulso alle attività del centro nell’ottica di rafforzare le già presenti conoscenze in campo medico con quelle risorse umane e culturali che derivano da una profonda conoscenza delle problematiche dell’ambiente presenti da tempo nel Dipartimento di Bioscienze. Nel protocollo d’intesa del Cucs si ribadisce la necessità di predisporre una serie di percorsi di educazione, formazione, progettazione e divulgazione scientifica nel settore dello sviluppo umano e sostenibile e della cooperazione allo Sviluppo.

IL MASTER IN SALUTE INTERNAZIONALE – Proprio a questo proposito l’Ateneo di Parma, dal 2008, ha avviato il Master in Salute Internazionale. A parlare dell’iniziativa è Lorella Franzoni, delegata del rettore per il diritto allo studio e il benessere studentesco, nonché rappresentante del Cuci. “Il master ha come obiettivo quello di formare medici che siano poi in grado di operare nei loro Paesi e si rivolge quindi a medici stranieri che operano in Paesi in via di sviluppo e a quei medici italiani che vogliano spendersi in cooperazione internazionale”. Partner per questa iniziativa sono il Ministero degli Affari Esteri e l’Organizzazione Mondiale della Sanità che offrono 12 borse di studio agli studenti partecipanti. Il corso – come illustrato dalla docente – tramite letture, seminari, lezioni didattiche e pratica sia nell’Ospedale di Parma che in altre strutture, affronta tematiche legate a sociologia, antropologia, organizzazione del sistema sanitario e cooperazione. I medici formati diventano così un punto di riferimento sia per successivi progetti di cooperazione, sia per i nuovi medici nei loro Paesi di provenienza tra cui Etiopia, Kenya, Mozambico, Senegal, Sierra Leone e Sudan. Anche se “abbiamo in programma di estendere il master anche a persone provenienti dal sud-est asiatico”, aggiunge la delegata.

IN AUMENTO I PROFUGHI CLIMATICI – Focus del dibattito della giornata formativa è stata l’analisi dei legami che esistono tra cambiamenti climatici, come le alterazioni degli ecosistemi, e l’impoverimento delle popolazioni nei paesi in via di sviluppo e rifugiati climatici. “Come dimostrato dall’United Nation Development Programme (Undp, Programma Onu per lo Sviluppo) – ha riferito il professor Nelson Marmiroli – gli impatti dei cambiamenti climatici in termini di spostamenti di massa, la perdita dei mezzi di sussistenza per intere comunità rurali e la sempre più grave carenza d’acqua e di cibo costituiscono una gravissimo problema non solo per i governi dei Paesi che si trovano a dover gestire il problema dei profughi climatici sul proprio territorio, ma anche per i Paesi stranieri che li accolgono”. Secondo le previsioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e dello Iom (International Organization for Migration) entro il 2050 si raggiungeranno i 200/250 milioni di persone coinvolte, il che significa una persona ogni 45 nel mondo, milioni di donne e uomini e bambini costretti ogni anno a lasciare i propri territori per emigrare, se possibile, nei paesi più ricchi con i gravi problemi che ne derivano.

TUTELARE L’AMBIENTE E LO SVILUPPO: UNA SFIDA PER TUTTI – A chiudere il convegno la lectio magistralis tenuta da Grammenos Mastrojeni, coordinatore per la Sostenibilità della cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, sul tema ‘Il cerchio di Gaia – Una catastrofe ambientale da evitare, un futuro migliore a portata di mano’. Mastrojeni ha spiegato come, per un ‘effetto-farfalla’, tutti sono coinvolti in ciò che accade anche in Paesi molto distanti dal loro e come l’equilibrio sociale e ambientale sia importante ma troppo spesso dato per scontato. “Tendiamo a preoccuparci di argomenti come il cambiamento climatico o la povertà solo per quei minuti in cui, magari, guardiamo uno spot in televisione sul tema, ma terminato questo finisce lì anche la nostra riflessione”. Prima di lui Nelson Marmiroli ha denunciato come circa il 50% della popolazione mondiale non ha accesso al cibo. “Il global change è un dato di fatto che ha conseguenze anche nella produzione di cibo. L’obiettivo è quello di garantire risorse, il diritto alla salute, lo sviluppo economico, il diritto al cibo, al suolo e all’equità sociale a più popolazioni possibili ma viene minato dalle guerre e da quei Paesi che sono tra i principali emettitori di sostanze nocive e che sfuggono alle proprie responsabilità”. In questo contesto è stato ribadito il ruolo dell’Università contro il disinteresse  collettivo. “La ricerca scientifica può fare molto – ha sottolineato Marmiroli – ma sta andando sempre più verso la miniaturizzazione: gli scienziati si occupano di cose meccanicistiche, dando poco peso ai problemi reali”. Occorre dunque dare un nuovo significato al termine ‘Dottore di Ricerca’, chiamato ad essere uno “scienziato-filosofo, naturalista” che abbia come punto di riferimento le persone e l’ambiente.
“Sono stato in Nigeria per conto delle Nazioni Unite, – ha concluso Marmiroli raccontando la sua esperienza diretta nelle iniziative di collaborazione -. Ho insegnato nella seconda città più grande del Paese. È stato un momento di grande arricchimento interiore perché ho capito quanto sia unica la specie umana e quanto i problemi siano gli stessi in qualsiasi luogo della Terra. Sono le possibilità di risolverli ad essere diverse”.

 

 di Paola Cavallo e Letizia Cicchitto

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