Sacchi, il filosofo: “Il calcio si gioca con la mente, i piedi sono un mezzo”

ALLA FELTRINELLI L'ALLENATORE PRESENTA LA SUA BIOGRAFIA 'CALCIO TOTALE'

20150504_194140Atmosfera da stadio lo scorso lunedì nella Feltrinelli di Parma, dove un emozionatissimo Arrigo Sacchi presenta il suo libro ‘Calcio totale’ in una sala gremita di gente, come nei suoi anni d’oro in panchina. Un’opera completa, che non tratta solo di sport ma ripercorre tutti i momenti importanti della sua vita. Dal suo primo pallone regalatogli dal padre alla breve parantesi da calciatore, dal lavoro in fabbrica alla prima panchina col Fusignano. Poi la decisione di dedicarsi a tempo pieno alla sua grande passione in seguito alla tragica scomparsa del fratello Gilberto a cui il libro è dedicato. Una continua ascesa fino al grande Milan e alla Nazionale italiana.

LE SQUADRE DEL CUORE – Tra i momenti più belli della sua carriera Sacchi ricorda il 1987, secondo anno al Parma (risalito in serie B dopo un campionato avvincente) cominciato tra il pessimismo della tifoseria che spera in una salvezza tranquilla. Invece quell’anno i crociati arrivano a giocarsi la promozione nella massima serie fino alle ultime giornate. E? proprio dopo la sconfitta di Cremona, che segna la fine dei sogni di gloria, che Sacchi capisce quanto grande è l’affetto e la riconoscenza dei parmigiani: “Tornando a casa, in Piazzale Santafiora, mi fermò un gruppo di tifosi per ringraziarmi: in un Paese che aveva sempre gratificato il vincente, sentivo di aver fatto qualcosa di buono”. Il Parma chiude il campionato al settimo posto, ma con grandi soddisfazioni. Una su tutte la doppia vittoria in Coppa Italia ai danni del Milan, che vale a Sacchi la chiamata di Silvio Berlusconi, presidente dei rossoneri stregato dal genio sacchiano e dal suo modo di concepire il calcio ispirato al modello olandese. Il ‘profeta di Fusignano’ segue infatti gli esempi dell’Ajax e della nazionale olandese, da cui ha sviluppato una nuova idea di calcio, forgiata sul valore del collettivo e sulla determinazione dei calciatori. “Michelangelo diceva che i quadri si dipingevano con la mente, non con le mani. Io pensavo che il calcio si dovesse giocare con la mente, i piedi sono solo un mezzo che facilita l’apprendimento”. 

IL CALCIO TOTALE – Arrivato al Milan, che ha chiuso il campionato 1986/87 al quinto posto giocando un calcio noioso e difensivista, la sua è una vera e propria rivoluzione. “In Italia si vinceva prevalentemente attraverso il singolo, l’azione geniale di un calciatore, puntando sul contropiede”. Il suo credo calcistico, invece, è diametralmente opposto: “Ho sempre interpretato il ruolo dell’allenatore pensando che fosse paragonabile  a quello dell’autore e del direttore d’orchestra nella musica o dello sceneggiatore e del regista in un film. Credevo fortemente nelle mie ide, che attraverso la comunicazione e il lavoro cercavo di trasmettere ai calciatori. Partivo dalla squadra per poi andare al gioco che consideravo il motore dell’auto e la trama per il film. I calciatori sono gli interpreti, che non riuscirebbero a trasformare una brutta trama in un bel film. In una squadra che gioca male sembrano scarsi anche i campioni”. Lo accusavano di penalizzare il talento, invece lo esalta. Organizzazione, sincronismo, pressing e spettacolo: questa la ricetta che porta il Milan di Sacchi a vincere in soli tre anni un campionato italiano, due coppe dei campioni e due coppe intercontinentali. Il sogno del Cavaliere si è avverato: la sua squadra è sul tetto del mondo e iscritta negli annali del calcio come una delle più forti di tutti i tempi.

L’ALLENATORE NEL PALLONE –  “Il calcio è la metafora della vita: tutti i pregi e tutti i difetti che ne fanno parte si riflettono in esso“. Ma non è l’unica metafora di Sacchi che riporta una frase di Cesare Pavese: “Non c’è arte senza ossessione”. La sua passione per il calcio si fa vera ossessione per gli allenamenti, per il bel gioco, per lo sfrenato: tutte cause di forti problemi di stress. “Firmavo solo contratti annuali, perché ogni volta credevo che non avrei retto per un altro anno. Poi alla fine cambiavo idea, per la troppa passione che mi legava a questo mestiere”. Dopo la parentesi nella nazionale italiana dei mondiali ’94, torna ad allenare prima il Milan prima di spostarsi in Spagna. Lì si accorge che lo stress ha preso il sopravvento. Però il calcio è un vizio di cui non si riesce a fare a meno e dopo il ritorno nella sua Fusignano, “per ritrovare equilibrio interiore e godersi la famiglia”, ecco il giornalismo. In tv e sulle pagine sportive “ho ritrovato una forma di educazione del pubblico sportivo e dei tifosi, che penso sia una delle sue componenti principali. La mia speranza era quella di aiutare il lettore a comprendere meglio il calcio”.

 

di Giuseppe Mugnano e Luisa Di Capua

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