Mons. Mazza, un sacerdote alle Olimpiadi: “Lo sport aiuta a diventare più responsabili”

A TU PER TU COL VESCOVO DI FIDENZA, DOCENTE DI TURISMO RELIGIOSO E DA SEMPRE VICINO AI GIOVANI

vescovo.Carlo.MazzaDalla teologia agli studi umanistici, dal turismo allo sport. Monsignor Carlo Mazza, attuale vescovo di Fidenza, non si è fatto mancare proprio nulla. Una personalità notevole, devota all’attività spirituale quanto all’educazione sportiva e animata dalla voglia di veder convivere le due attività anche negli altri, monsignor Mazza si spende quotidianamente in una missione che coinvolge i giovani e li orienta ad unire le due necessità. Ma come? A spiegarlo è lui stesso.

Nominato vescovo della diocesi di Fidenza il primo ottobre del 2007 da Papa Benedetto XVI, dopo il diploma magistrale entra nel seminario diocesano di Bergamo, dove riceve la formazione sacerdotale, con successivi studi teologici. Ordinato sacerdote e incaricato nella diocesi di Bergamo, consegue la licenza in Teologia alla Pontificia Università Lateranense e il Master in Turismo presso l’Università Bocconi di Milano. Seguono una laurea in Lettere e Pedagogia all’Università Cattolica di Milano e un Dottorato in Teologia. A Roma è stato addetto all’Ufficio Cattolico Italiano Turismo, dal 1988 è Direttore dell’Ufficio Nazionale Cei per la Pastorale del Tempo Libero, Turismo e Sport. Attualmente impiega parte del suo tempo insegnando storia del turismo religioso e dei beni culturali all’Università Milano-Bicocca e all’attività vescovile affianca anche quella di cappellano olimpico, una mansione che svolge ormai dal 1988, quando si tennero le Olimpiadi di Seul.

Conseguire un master in turismo non è tipico di tutti gli ecclesiastici, cosa l’ha spinto a farlo?

“L’interesse per una specializzazione in qualsivoglia ambito scientifico non deriva tanto da uno status di vita ma da un desiderio di approfondimento di un fenomeno che allora, inizi anni ’70, stava attraversando il nostro Paese. Dunque la spinta venne dalla curiosità di conoscere le motivazioni, le tendenze e gli esiti del turismo di massa”.

Da anni lei è docente di Storia del Turismo religioso e dei Beni culturali all’Università Bicocca, ma nello specifico cosa si intende per turismo religioso?

“In breve, il turismo religioso può essere definito un mix tra pellegrinaggio e turismo culturale, dove l’interesse prevalente consiste in un viaggiare consapevole alla ricerca di significati densi di contenuti di vita interiore, intellettuale, esperienziale e comunitaria possibili da raggiungere mediante mete di carattere religioso e artistico-culturale”.Carlo Mazza

Forse molta gente non sa che esiste la figura del cappellano olimpico.

“Si tratta di una figura, di seconda linea rispetto ad altre prioritarie per un atleta, ad esempio l’allenatore, il medico, il fisioterapista, che collabora di concerto con loro in modo da soddisfare le istanze spirituali e morali dello stesso atleta. Creare armonia, serenità, buone relazioni”.

Sin dalle Olimpiadi di Seul del 1988 è cappellano della squadra olimpica italiana, come prepara spiritualmente degli atleti in procinto di partecipare a competizioni tanto importanti come le Olimpiadi?

“Gli atleti sono liberi di utilizzare il cappellano secondo le loro necessità. Dunque non esiste una preparazione sistematica e mirata. Il servizio religioso avviene in modo spontaneo“.

Gli atleti che ha seguito e che segue, presi dalle gare e dal desiderio di vincere, come si approcciano solitamente alla spiritualità?

“Dipende dai diversi soggetti. Chi è già abituato a coltivare lo spirito oltre che il corpo, con estrema naturalezza si accosta al prete e dialoga profondamente con lui al fine di ottenere un equilibrio spirituale, una purificazione dell’anima, un alleggerimento del carico interiore. Per gli altri il prete è una figura o inesistente o ininfluente o semplicemente interlocutore di problematiche religiose”.

Da tempo la Chiesa vede nella pratica sportiva un importante mezzo per l’educazione dei giovani. Ma quale funzione svolge la Chiesa nel contesto sportivo?

“E’ una funzione presportiva in senso tecnico, cioè la Chiesa non intende formare atleti ma, attraverso lo sport, far maturare cristiani solidi e uomini e donne responsabili. San Giovanni Bosco affermava che il fine dell’educazione è quello di formare onesti cittadini e buoni cristiani. L’attenzione della Chiesa verso lo sport si colloca nell’intenzionalità puramente educativa che lo sport in sé, ben giocato e ben orientato, favorisce con successo”.

 Cosa intende per educazione sportiva e spirituale?

“Si intende un intervento mirato che sappia coinvolgere la totalità della complessa realtà psicosomatica della persona, mettendo in gioco tutte le facoltà dell’umano, con l’aiuto di persone adulte capaci e competenti, strutturate da principi sani e sapienti, idonee a porsi da educatori”.

mazza-with olympic swimmers rosolino-chiusoSport e parrocchia: come convincere i giovani ad unire le due necessità?

“Con una dose di attrattiva che coinvolga la mente, il cuore e il corpo in un progetto aperto, dove i giovani siano protagonisti. Sport e parrocchia si abbracciano quando non si elidono per questioni ideologiche o di dominio. Si può trovare un corretto e rispettoso equilibrio tra le due istanze a beneficio di tutti”.

Come vive l’esperienza dell’educazione sportiva con i giovani?

“Purtroppo non sono più tra i giovani in modo diretto. Quando questo mi è stato possibile, si viveva una grande passione amicale e una grande scuola di civiltà e di religiosità. I giovani sono disponibili alle grandi passioni della vita”.

 Molti giovani, soprattutto le generazioni d’oggi, sono attratti da molte cose superficiali a causa dell’evoluzione tecnologica. Si pensa ad una generazione passiva, influenzata dal web e dai social network. Cosa consiglia ai giovani e alle nuove generazioni? Pensa che lo sport possa aiutare i giovani ad uscire da questa che potremmo, alle volte, definire quasi dipendenza?

“La domanda presenta molte sfumature e richiede analisi non semplici. In modo veloce dirò che i giovani sono disposti a seguire il “maestro” se costui è anche “testimone” di vita. E’ necessario “stare” con i giovani, capire le loro tendenze comunicative, valorizzare la loro capacità di amicizia e poi convincerli che fare sport è bello”.

di Paola Basanisi e Giovanna Triolo

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