Un Verdi ‘pop’. Ed è solo l’inizio: Barbara Minghetti e il rinnovamento del Teatro Regio

"AVVICINARE I GIOVANI ALL'OPERA, E' UNA SCOMMESSA CHE POSSIAMO VINCERE"

Barbara MinghettiL’autunno a Parma porta con sé due certezze: la pioggia e il Festival Verdi. Anche per questo 2015 il Teatro Regio si prepara ad accogliere melomani da ogni parte del globo, appassionati di Verdi. Ma non solo: nell’aria c’è un’idea di teatro ricca di novità, almeno stando all’impegno della Consulente per lo sviluppo e i progetti speciali, Barbara Minghetti.

Ad inizio anno è arrivata la nomina del Regio: cosa l’ha convinta ad accettare l’incarico?

“E’ stata un po’ una scommessa: l’idea di arrivare in un teatro che ha una storia molto importante e che ha una sua tradizione nella città, e non solo, in tutta Italia, sicuramente ha influito sulla mia decisione. La speranza è quella di riuscire a concepirlo in una maniera più interdisciplinare. C’è stata una richiesta da parte del Comune di concepire attività che portassero un vento di apertura, con progetti trasversali, da 0 a 99 anni, che favoriscano l’interazione con la città in modalità diverse. Iniziare con la città, ma aprirsi anche verso il mondo. E’ una scommessa interessante, in una città che sto imparando a conoscere.”

Quali sono state le sue prime impressioni sul Teatro Regio e su Parma? Ad oggi, queste impressioni sono cambiate?

“La città l’ho trovata molto bella: si sta bene, mi piace. Il teatro ha questa storia che si porta dietro ed è, come dire, un po’ ‘importante’. Questo comporta la necessità da parte di chi entra in questi teatri ad avanzare in punta di piedi, gentilmente e nel rispetto di una tradizione, senza rinunciare tuttavia ad intraprendere nuove strade, nonostante le paure e i timori che possono esserci nei confronti dei cambiamenti. Va detto che non è semplice. Abbiamo organizzato delle piccole iniziative in città che hanno avuto un riscontro positivo. Ho notato che rispetto a ciò che stiamo promuovendo c’è molta curiosità e voglia di apertura. Si vedrà col tempo se queste novità riusciranno a sedimentarsi e ad innescare il cambiamento.”

Oltre a una programmazione più giovane ci sono promozioni dedicate ai giovani? Di che tipo?

“Sì, abbiamo realizzato qualche idea e ne abbiamo delle altre ancora in cantiere. Ad esempio si è pensato ad una Card Giovani Under 30 che a breve dovrà avere un suo contesto con l’obiettivo di favorire l’avvicinamento dei giovani al teatro, sia attraverso un’agevolazione economica sia d’accesso. Siamo appena agli inizi quindi ci vorrà del tempo per creare una ‘community’ di giovani. Puntiamo sui social network. L’idea è di promuovere sia linguaggi indirizzati ai giovani e sia modalità che li inducano ad avvicinarsi ad opere più classiche: si lavora sui due canali, in sinergia con l’Università e con un nostro intero programma di formazione, e questo è un obiettivo in cui crediamo molto.”

Un altro suo cavallo di battaglia pare quello del dialogo tra istituzioni: come ci si riesce? Che clima ha trovato a Parma?

“Devo ammettere che credo nella potenza di un progetto valido: quando si hanno delle idee il clima giusto si crea da solo. Ho cercato molto di parlare, di capire com’è la città e allo stesso tempo di rispettare ciò che è già presente a Parma stimolando una spinta innovativa. Sulle idee, sui progetti e sulle iniziative ho trovato una bella risposta da parte della città, a dispetto del carattere di chiusura del quale spesso viene tacciata Parma. Forse si fa un po’ di fatica nel reinventarsi, nel reinventare il Teatro Regio che notoriamente viene associato a Verdi. Dunque si percepisce un po’ di fatica nell’essere più leggeri, aspetto per me necessario. Tuttavia ho trovato un clima favorevole.”

Con AltraOpera 2015 state scommettendo molto sull’innovazione e sul capovolgimento degli approcci tradizionali. La sensazione è che in futuro sotto questo aspetto dobbiamo aspettarci qualcosa di più…

“Dire dove arriveremo non è possibile, questo dipenderà dalla risposta del pubblico e dalle programmazioni artistiche che riusciremo a fare. AltraOpera è segno di voler parlare dell’opera in maniera più leggera. A tal proposito cito anche RegioYoung, indirizzato alle scuole e alle famiglie per ampliare il pubblico e far conoscere l’opera in maniera più innovativa, magari adoperando fusioni di opera tradizionale e musica elettronica. C’è voglia di mettersi in discussione, non mettersi paletti, chiedersi cosa vuol dire fare opera o teatro musicale ai giorni nostri, se interessa e perché. È importante lavorare in maniera più liquida e meno rigida.”

Con Lei e la Direttrice Anna Maria Meo, il Regio ha sul ponte di comando ben due donne. Eppure non sono molte le donne con ruoli di responsabilità nel mondo del teatro: perché?

“Oramai in realtà ce ne sono abbastanza, non è più così difficile, sia all’estero che in Italia. Personalmente non ne faccio una questione di femminismo, per me non esiste alcuna ‘protezione del panda’. Non credo di aver mai subito nessuna discriminazione. Ho sempre cercato di fare bene il mio lavoro senza sentirmi come una persona da proteggere o da sostenere. Per quanto riguarda Anna Maria Meo, posso dire che con lei si è formato un bel team. Stiamo lavorando per bei progetti, per una gestione del teatro che abbia una progettualità, delle scadenze. I risultati di questo si vedranno col tempo. Mi sento molto in sintonia con la direttrice, perché la Meo è una persona che vuole il bene del teatro.”

Ha un sogno nel cassetto?

“Il mio sogno è quello di lavorare bene con le persone dando vita a bei progetti. Continuare e non fermarsi mai, essere sempre in movimento, e in grado di recepire le esigenze non solo artistiche ma anche sociali, quelle legate alla vita di tutti i giorni. Il mio sogno è un teatro molto aperto, con tanta gente, diverse iniziative. Un teatro di qualità, ma di grande respiro, di grande apertura.”

 

di Federica Fasoli, Luca Mautone

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