“Ero terrorizzato dalla mia maestra”: le conseguenze dell’abuso

COSA ACCADE AL MINORE CHE SUBISCE MALTRATTAMENTI

bimbi-abusiCollecchio è un paese di poco più di 14 mila abitanti nel parmense, sulla riva destra del fiume Taro. Un posto tranquillo, dove si pensa che far crescere i propri figli possa essere più sicuro. I pericoli però si annidano in ogni luogo, anche dove non ci aspetteremmo di trovarli.

Asilo nido Salvador Allende. Una maestra di 55 anni picchia i suoi alunni. Una collega la denuncia e i carabinieri installano telecamere che riprendono le percosse. Viene arrestata e sottoposta agli arresti domiciliari. I genitori, raccontano, non si erano accorti di nulla. Come è possibile capire se il proprio figlio viene picchiato?
Cosa accade nella mente del minore e quali saranno le ripercussioni nella sua vita adulta?

I PRIMI SEGNALI E LA “PAURA DI ANDARE A SCUOLA” – “Innanzitutto nel bambino maltrattato o abusato si può notare una variazione nelle sue normali attività, ovvero nell‘alimentazione, nel sonno, nel gioco. Questi sono i primi indici che c’è qualcosa che non va – spiega il dottor Stefano Capretto, psicologo e psicoterapeuta di Parma -. Sono indicazioni generiche di un disagio, non è detto che indichi un abuso. Ma dovremmo cercare di capirlo”. Si può notare una flessione del tono dell’umore, un’accentuata tristezza, apatia.
Altro campanello d’allarme di una situazione che non va potrebbe essere uno stato di agitazione perenne nel bambino che potrebbe tornare a bagnare il letto la notte o avere difficoltà nell’addormentarsi. Inoltre “importante per capire cosa sta accadendo al bambino è il gioco, durante il quale potrebbe riproporre e rimettere in scena le cose che gli capitano, quello che ha vissuto” ma, spiega Capretto, per gli adulti è molto difficile percepire questo.
Tuttavia uno dei segnali più comuni è quello che potrebbe essere scambiato dai genitori come un comportamento normale: il bambino che viene maltrattato a scuola non ci vorrà più andare. In alcuni casi, aggiunge il dott. Capretto possono svilupparsi “atteggiamenti fortemente oppositivi nei confronti dei genitori quando questi portano il bambino a scuola. Da qui possiamo intuire che proprio lì c’è qualcosa che non va, che lo mette in difficoltà”. “Piangevo sempre prima di andare a scuola“, racconta A., che da bambino è stato schiaffeggiato più volte dalla maestra. Faceva la prima elementare in un piccolo paesino della campagna parmense e racconta che la sua insegnante di italiano, già molto anziana, schiaffeggiava regolarmente i cattivi studenti. “Io ero terrorizzato da lei. Mi impegnavo per essere bravissimo così non poteva trovare il pretesto per punirmi”. Aveva una bacchetta di bambù che utilizzava per minacciare i bambini: intimava di mettere le mani sul banco, alzava la bacchetta e faceva finta di picchiarli. Non li colpiva davvero, tuttavia l’effetto di terrore era lo stesso. “Aveva anche un sacchetto di sassolini e a volte ci diceva che se non facevamo i bravi, avrebbe sparso i sassolini per terra e noi avremmo dovuto inginocchiarci”, aggiunge A. I suoi genitori, dopo aver capito che le proteste per non andare a scuola erano dovute a lei, organizzarono una riunione con gli altri papà e mamme che però non volevano agire. “Cosa vuoi che sia?”, “Alcuni se lo meritano davvero“, “E’ anziana, è abituata così”, giustificavano la maestra. Imperterriti, i genitori di A. sono andati dalla direttrice della scuola e hanno protestato contro questo comportamento orrendo. Hanno ottenuto un richiamo informale per la docente che è andata finalmente in pensione solo quando A. era in terza elementare.
Ho imparato a leggere e scrivere come si deve solo quando lei non c’era più. Ogni volta che la incontravo per strada -ricorda A. – mi nascondevo. Una volta, l’ho vista in montagna e ho pianto tutto il giorno per la paura. Quando ci penso ora mi altero tantissimo perché capisco che i bambini sono indifesi. Se capitasse a mio figlio sarei impietoso. La mia rabbia viene anche dall’omertà del paese“.

LE CONSEGUENZE A BREVE TERMINE – Ma cosa può portarsi dentro un minore che subisce violenza? “Maltrattamenti e abusi sessuali nei confronti di bambini e adolescenti provocano conseguenze emotive e psicologiche molto gravi e persistenti“. A spiegarlo è la professoressa Olimpia Pino, docente di Riabilitazione della memoria al corso di laurea magistrale in Psicobiologia e Neuroscienze cognitive dell’Università di Parma. “L’American Psychiatric Association (Apa) definisce il trauma psicologico come un evento al di fuori della normale esperienza umana cui l’individuo ha assistito o si è confrontato e che ha implicato morte, minaccia o lesioni gravi per l’integrità fisica di sé o di altri – continua la prof.ssa Pino -. Come gli adulti traumatizzati, i bambini e gli adolescenti abusati reagiscono alla situazione con vari meccanismi psicologici. Una modalità tipica è la dissociazione, un processo mentale complesso in cui si verifica un cambiamento nella coscienza con perturbazioni nell’identità, nella memoria, nel pensiero e nelle emozioni“. Questo accade probabilmente per ridurre la consapevolezza dell’esperienza traumatica, tuttavia per alcuni i ricordi possono emergere successivamente. Molto comune è il disturbo da stress post-traumatico che può palesarsi sotto forma di incubi notturni, il momento in cui la nostra mente è più vulnerabile e i ricordi riemergono prepotentemente. “Non ridevo più, non giocavo più, non mangiavo più. Non vivevo”, racconta D., una ragazza vittima di pedofilia.

maltrattamento-ed-abuso-dei-bambini-9916412LE CONSEGUENZE A LUNGO TERMINE – “Principalmente si avranno problemi di autostima – riferisce il dott. Capretto -. Non dimentichiamo che spesso i bambini si assumono la colpa di ciò che accade loro“. Se mi hanno sgridato è perché sono un bambino cattivo. Se mi hanno picchiato è perché sono stato monello. Questi i pesanti meccanismi che si verificano nella mente del bambino, il quale nella vita adulta potrà riscontrare diversi problemi. “Se non c’è un intervento tempestivo si rischia di generare una serie di sentimenti di svalutazione, depressione, difficoltà a relazionarsi non solo in amore, ma anche con amici e familiari”.
Ma le ripercussioni possono essere ancora più devastanti per l’individuo. In età adulta, infatti, possono comparire seri disturbi psichiatrici della personalità, come spiega il dott. Tonna, medico psichiatrico del Dipartimento di Neuroscienze all’Ospedale di Parma. “Questi disturbi si manifestano principalmente con una spiccata incapacità nell’elaborare, nell’esprimere e nel modulare emozioni e con una conseguente instabilità affettiva che si ripercuote anche nelle più semplici relazioni sociali”.
Per questo di fondamentale importanza è l’aiuto immediato di uno specialista che crei uno spazio nel quale il bambino si senta sicuro di poter rivivere ciò che ha subito per ricostruire la propria persona. Sostegno indispensabile insieme ai familiari e i nuovi insegnanti che ascoltando il bambino e facendolo parlare lo aiuteranno ad esorcizzare il trauma.

“MI SONO ROTTA LA PRIMA VOLTA CHE MI HA TOCCATO” – “Sono stata vittima di un pedofilo quando avevo nove anni”. La voce è bassa, quasi stesse rivelando un segreto. Ma non è incerta, non si interrompe. “Era un amico di famiglia. Non l’ho denunciato, i miei genitori non lo sanno. Pensavano che stessi male perché mi trascuravano a causa del loro lavoro. Non ho mai trovato la forza di dire loro che non avevano colpe perché avevo paura che avrebbero sofferto di più”.
D. è stata vittima di abusi sessuali da parte di un uomo di 40 anni per quattro mesi circa. Veniva affidata a lui perchè i genitori lavoravano molto e non volevano lasciarla ad una baby sitter, un’estranea. Meglio optare per una persona fidata, un vecchio amico che lei conosceva già. Si sarebbe sicuramente trovata a suo agio.
“Mi diceva “sei bella, sei buona, sei brava”. Non mi piaceva quello che mi faceva ma lui mi rassicurava, diceva che era normale. Che lo faceva perché mi voleva bene“. D. ha smesso di mangiare, di giocare. A scuola, racconta, era sempre silenziosa e distante dai compagni, verso i quali aveva cominciato a sviluppare istinti violenti: pugni, calci e schiaffi riceveva chiunque provasse ad avvicinarsi o a contraddirla. Era insofferente verso le maestre, non le ascoltava. Per lei, gli adulti non avevano alcuna autorità. “Leggevo tanto, era l’unico modo per non pensare. Mi tuffavo in un mondo che non era il mio, in un mondo più bello. Sedevo sul letto con la musica in sottofondo e leggevo per ore”. I genitori, preoccupati, pensavano che fosse la loro assenza il problema così decisero di modificare i loro orari di lavoro. Non c’era più bisogno che andasse da lui. “Piano piano sono rinata. Ho ricominciato ad avere fame, a ridere. Ma non mi sono più sentita al sicuro. Quando mi ha toccato la prima volta, una parte di me è morta. Mi sono rotta“.
I problemi persistono ancora oggi, anche se non si vedono. D. ha poco più di vent’anni, studia, esce con gli amici e di facciata sembra una ragazza come tutte le altre. Dentro si nasconde un grande buco nero da cui a volte si sente risucchiare, una grande sofferenza che non se ne va mai. “Non riesco a sentirmi al sicuro. Anche quando cammino per strada, ho sempre paura. E’ stupido e me ne rendo conto, ma non posso farci niente. Ho sempre qualcosa in borsa per proteggermi. Non è facile instaurare relazioni con gli altri – continua -. Non mi fido, né degli amici, né dei ragazzi. E’ come se fossi incapace di amare. Come ho fatto ad andare avanti? Per vendetta, credo, o per rabbia. Mi ha tolto l’infanzia, la serenità, non si prenderà anche il resto. Non glielo permetterò. Voglio essere come tutti gli altri, voglio amare e avere fiducia negli altri. Anche se è difficile. Ma ce la metterò tutta”.

 

di Silvia Moranduzzo e Francesca Vignola