Franco Maria Ricci: “Dissi a Borges che avrei costruito il più grande labirinto al mondo. Obiettò che esisteva già, era il deserto”

INCONTRI, AMICIZIE ED ESPERIENZE DELL'EDITORE E GRAPHIC DESIGNER PARMIGIANO: UN DEDALO TRA ARTE E LETTERATURA

Immagine (1)“Éphémère”: la lettura francese del suo acronimo trae in inganno sulla sua più grande passione. Il libro, la letteratura che perdura nel tempo, risultano infatti per Franco Maria Ricci, editore e graphic designer parmigiano, la massima forma di bellezza e ricchezza al mondo. Celebre per la lunga carriera internazionale, quest’anno ha aggiunto alle sue opere il Labirinto della Masone, sede della Fondazione Franco Maria Ricci, tra le campagne di Fontanellato. Un complesso con una superficie di oltre cinque mila metri quadrati delimitato da decine di migliaia di bambù contornate da filari di pioppi. Il viale principale porta al centro esatto del labirinto dove si colloca la corte centrale, sede di importanti esposizioni e della collezione d’arte dell’editore, oltre che di un’imponente biblioteca. Un labirinto è “un luogo dove perdersi è bello e salutare” perchè permette di ritrovare se stessi lungo il cammino, spiega Ricci, mentre racconta gli incontri, le amicizie con le più importanti personalità della letteratura e dell’arte, emozioni ed esperienze che, dagli studi in Geologia all’Università di Parma, lo hanno condotto lungo una vita dedicata alla ricerca della bellezza e della precisione.

Dagli studi di geologia come è approdato all’attività di graphic designer? 

“Tornato da un viaggio in medio oriente, un apprendistato in una compagnia petrolifera per cui lavoravo, fui coinvolto da alcuni amici nell’organizzazione del Festival del Teatro Universitario. Erano gli anni 60, partecipavano al Festival tutte le università europee: Praga, Parigi, Lisbona… I miei amici hanno voluto che mi occupassi della pubblicità e dell’immagine del Teatro e io lo feci. Poi un giorno è passato da Parma un americano che vedendo il manifesto mi propose di partecipare come grafico a una mostra importante di New York. Ma la mia grafica ancora non esisteva, avevo realizzato solo quel manifesto. Se ne andò, dicendo si sarebbe fatto vivo l’anno seguente. E così è stato: ma a quel punto avevo già progettato l’immagine grafica di molte società e potei partecipare a quella mostra di New York dedicata al Design Italiano. Io rappresentavo la grafica, Gae Aulenti l’architettura d’interni, Pierluigi Nervi l’architettura strutturale e Marco Zanuso il design industriale. Fu in quegli anni che cominciai a frequentare gli USA divenendo amico di molti artisti – era il periodo in cui nasceva la Pop Art – ma anche di personaggi importanti della società, fra cui Jacqueline Kennedy, Stanley Marcus.”

Poi è passato all’editoria. Per quale motivo le due cose risultano collegate? 

È stato proprio l’incontro con Bodoni e la decisione di iniziare la mia carriera di editore con la ristampa del ‘Manuale Tipografico’ a rendere naturale il passaggio da graphic designer a editore: il Manuale è infatti un libro di mere superfici, di segni grafici esentati dall’obbligo di comunicare, insomma un’opera puramente grafica.”

Come si è sviluppata la sua passione per la letteratura? 

“Di innato al mondo non c’è niente. Io ho vissuto sempre circondato dai libri perché mio padre era un amante dell’arte e della lettura. Durante la guerra, sfollati nell’Appennino parmense, mio padre portò con sé pochissime cose ma molti libriFinita la guerra, ritornati a vivere in città, mi inventò un nuovo gioco: mi dava ogni tanto mille lire chiedendomi di andare a visitare Lucca, Pavia o Mantova e al ritorno di fargli il resoconto delle cose viste. Fu così che mi appassionai alla Storia dell’Arte”.

 Quale tra le esperienze formative ritiene più importanti? 

“Viaggiare, ma viaggiare con curiosità. Saper parlare le lingue, soprattutto oggi, è fondamentale, ma è altrettanto importante approfittare della facilità con la quale si può girare il mondo adesso per scoprire itinerari inusuali, osservare le culture nel profondo senza lasciarsi trascinare dalle attrazioni e dalle esperienze più scontate.”

994975201_740215_0000000000_noticia_normal.000Che consigli darebbe ai giovani che vorrebbero oggi intraprendere la carriera nei settori che l’hanno vista protagonista? 

Essere un designer o un editore, oggi come ieri, richiede una grande preparazione culturale: è importante leggere Dante, Joyce, Calvino, e soprattutto visitare città e musei, appassionarsi e cercare di distinguere sempre ciò che è bello e ciò che non lo è.”

Cosa rende unica la sua casa editrice Franco Maria Ricci, oltre che il pregio delle opere pubblicate? 

“Con i miei libri ho codificato uno stile poi ripreso e copiato da molti altri editori. L’attenzione a tesori sconosciuti e inediti, la precisione nei dettagli, l’accurata scelta delle immagini, rese ancora più incisive dall’impiego del nero, che dà risalto alle opere… Oggi sembrano cose naturali ma all’inizio furono una vera scoperta. E poi la dedizione ai progetti di cui mi occupo. Oggi l’editoria è un mondo frenetico, specie quando si parla di internet; nella mia casa editrice un singolo libro è sempre stato frutto di un lavoro che dura molti mesi… in alcuni casi anni!

Quali tra i suoi contatti con importanti personalità della letteratura e dell’arte sono divenute amicizie perdurate nel tempo? 

“Nella mia carriera ho avuto la fortuna di incontrare numerosi artisti, tra questi vorrei ricordare lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, che ha svolto un ruolo determinante anche nella mia scelta di costruire un labirinto. A più riprese Borges fu mio ospite, a Milano e a Fontanellato. Le traiettorie che i suoi passi esitanti di cieco disegnavano in spazi per me facili e familiari mi facevano pensare alle incertezze di chi si muove fra biforcazioni ed enigmi. Gli dissi, uno di quei giorni, che mi sarebbe piaciuto, prima o poi, costruire un labirinto; aggiunsi, peccando un po’ di superbia, che sarebbe stato il più grande del mondo. Borges obiettò che il più grande labirinto del mondo esisteva già, ed era il deserto. Una cosa mi sembrava sin da allora certa: non avrei mai potuto costruire uno di quei labirinti infiniti, o pressoché infiniti, che Borges aveva descritto in certi racconti di Finzioni o de L’Aleph. Ma amici furono pure Calvino, Roland Barthes, Zavattini…

Parma è legata alla grande personalità di Giambattista Bodoni, che legame sente con la sua eredità? ù

“Con Bodoni sento una grande vicinanza e familiarità, soprattutto per amore e interesse in un aspetto della cultura, la grafica, che al limite fra arte e industria, ha in Bodoni un operatore fondamentale, l’esempio più importante di quanto essa sia soprattutto fatto d’arte e di pensiero. Inoltre il suo motto “Je ne veux que du magnifique, je ne travaille pas pour le voulgaire”, il mirare alla bellezza, alla precisione, nonché ad un’estetica quasi “pop” nella quale il segno supera la sua funzione originaria e vive in una dimensione autonoma e fantastica, sono stati da sempre alcuni dei principi fondamentali che hanno guidato il mio lavoro.”

Labirinto_masone_aerea.phCarloVannini.800x689Cosa rappresenta per lei il labirinto? Come è nata l’idea? 

“Si è trattato di un percorso tortuoso e imprevedibile. Frutto di esperienze, incontri, emozioni e pensieri che a un certo punto sono confluiti e si sono coagulati in un progetto. Due esperienze, una nell’infanzia e una nella giovinezza, hanno segnato i miei primi incontri con i labirinti. Quando ero un bambino, di tanto in tanto zingari e zingare dalle lunghe gonne colorate arrivavano a Parma con i loro baracconi (li chiamavano così) e installavano un labirinto di specchi contrapposti, che mi colmava di meraviglia. Al secondo anno di università invece, mentre frequentavo la Facoltà di Geologia, nei week-end e nelle vacanze estive mi avventuravo nelle buie viscere della terra, scoprendo labirinti sotterranei. Quando fui cresciuto un po’, i labirinti uscirono dalla mia vita, come da quella di chiunque. Se a un certo punto, molto tempo più tardi, quei percorsi laboriosi riemersero come da una sorta di oblio e cominciarono ad attirare la mia attenzione fu, prima per la lettura, poi per l’incontro e l’amicizia con Jorge Luis Borges. A conferire un principio di concretezza al progetto fu un altro incontro, avvenuto negli anni Novanta, quando Borges ormai non c’era più: quello con Davide Dutto, un giovane di Torino studente in architettura.
Dutto mi aveva proposto un affascinante progetto editoriale, da me accettato con entusiasmo: l’idea era di ricostruire, con l’uso di nuovi software, l’isola di Citera, il luogo descritto nel più prezioso fra i libri a stampa, l’Hypnerotomachia Poliphili, pubblicato a Venezia nel 1499 da Aldo Manuzio. Grazie al computer, e grazie a Dutto che lo sapeva usare, il volume Il Giardino di Polifilo rivelò così l’immagine smagliante di quel luogo incantato, immaginario.
Le immagini ottenute da Dutto col computer mi ricordarono il labirinto e la vaga intenzione, da cui ero stato sfiorato parlando con Borges, di costruirne uno. Per un anno io e Dutto continuammo a disegnare labirinti irrealizzabili, finché grazie a lui e a Pier Carlo Bontempi, un architetto di Parma noto e attivo su un piano internazionale, da sempre affascinato come me dal gusto classico, o meglio neoclassico, non prese forma un progetto più concreto, che comprendeva un Labirinto vero e proprio, un Museo, una Biblioteca… Il labirinto rappresenta la nostra perplessa esperienza del reale, un luogo dove perdersi è bello e salutare, perché riflettendo nel cammino possiamo ritrovare noi stessi.”

Perché ha scelto Parma e non città di maggior interesse storico/letterario o comunque più grandi? 

“Perché è la città in cui sono nato e cresciuto, La Masone di Fontanellato, dove ho costruito il Labirinto, è la tenuta che ho ereditato da mia nonna.”

Che legame sente con la città che oggi è rappresentata da un nuovo marchio che porta la sua firma? 

“È la mia città, anche se negli anni l’ho frequentata meno, lavorando a Milano, ma da qualche anno sono tornato a stare qui. Ritengo oltretutto che Parma e il territorio circostante, gremito di città e di antichi borghi (Sabbioneta, Fidenza, Fontanellato, Busseto, Salsomaggiore…), siano ricchi di bellezza e arte, ed è mia intenzione farle conoscere, soprattutto agli stranieri curiosi e appassionati delle cose belle (e buone…). È questa infatti una delle intenzioni della mia Fondazione che ha sede nel Labirinto.”

 

Di Vittorio Signifredi

3 Commenti su Franco Maria Ricci: “Dissi a Borges che avrei costruito il più grande labirinto al mondo. Obiettò che esisteva già, era il deserto”

  1. RITA BELLACOSA // 11 maggio 2019 a 10:49 // Rispondi

    Franco Maria Ricci sei stato un amico e un mentore fondamentale nella mia formazione intellettuale

  2. RITA BELLACOSA // 11 maggio 2019 a 10:50 // Rispondi

    il deserto é il più magico labirinto
    RITA BELLACOSA

  3. Nicola Napoli // 10 ottobre 2019 a 17:44 // Rispondi

    Il labirinto, con le sue aperture e chiusure, successi e fallimenti, avanzate e ritirate, è una singolare metafora della vita. Per questo ha sempre esercitato una forte seduzione sulla mente umana: lo stesso cervello è, a suo modo, un labirinto.

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