Il coach Zennoni: “Nella boxe la prima cosa è il rispetto. Delle regole e delle persone”

DA ALLIEVO AD ALLENATORE: IL 'PROFETA DEL RING' RACCONTA I SUOI QUARANT'ANNI ALLA BOXE PARMA

zennoniIl ‘profeta del ring’, alias Maurizio Zennoni, nasce nel 1958 a Montebello di Corniglio, località dell’Appennino parmense. Si avvicina, fin da piccolo, al mondo del pugilato e ancora oggi, a cinquantasette anni, ne fa parte: colonna portante ed allenatore della Boxe Parma ha portato al trionfo sul ring 9 campioni italiani, 2 campioni d’Europa e un campione mondiale. Per la dedizione e la passione con cui inserisce i giovani nel mondo del pugilato gli è stato conferito il Guanto d’Oro, prezioso riconoscimento per il lavoro svolto. Per Zennoni la boxe è come una partita a scacchi in cui servono strategia, intelligenza e riflessione. La sua missione è quella di sfatare la credenza secondo cui il pugilato è uno sport violento cercando di far passare il messaggio che sul ring la violenza va lasciata fuori.

Quando e come è iniziata la passione per il pugilato?

“A quindici anni. Dopo aver frequentato le scuole medie a Corniglio, venivo a Parma per studiare da geometra: in quel periodo ho iniziato a vedere in televisione i primi match di pugilato e mi sono chiesto ‘perché non provare?’. In realtà ero un ragazzo molto timido e la prima volta che ho messo piede in palestra l’ho fatto con un mio amico, più grande di me, per vincere la paura. In quegli anni la Boxe Parma era al secondo piano del palazzo dove ora c’è il Teatro Due, al piano di sotto c’era la mensa per i poveri: al mio ingresso in palestra ho visto tutti i pugili che si allenavano e sono rimasto impietrito, mentre dalla mensa arrivava quel tipico odore di cibo. E’ stato in quel momento che davanti a me è arrivato Odino Baraldi, presidente nonché fondatore della società, e mi ha chiesto se avevo bisogno e cosa facevo lì. Dopo tre mesi ero sul ring a disputare il mio primo match da dilettante”.

Quali sono i momenti più importanti della sua carriera da boxeur?

“Da dilettante ho vinto il campionato regionale e sono stato vice campione d’Italia. Sono passato professionista nel 1974, a ventun’anni. Ben presto ho, però, lasciato perdere la carriera agonistica: avevo le ‘mani da signorina’; in soli due match mi sono rotto prima la mano destra e poi la sinistra, una per partita. Però avevo vinto. La boxe mi piaceva, ma il professionismo non faceva per me, così ho abbandonato e mi sono trovato un’altra occupazione che mi permettesse di sbarcare il lunario.”

Cosa si prova quando si sale sul ring?

“Quando sali la scaletta e oltrepassi le corde ch ti separano dal ring, provi davvero di tutto. Consiglierei a tutti di provare quell’emozione: ciò che cresce in quel momento è soprattutto l’autostima, si diventa più sicuri di se stessi. Quando ti trovi faccia a faccia con il tuo avversario capisci che quell’incontro si deve svolgere rispettando le regole e con grande lealtà; il pugilato è uno sport di testa, i pugni da soli non bastano.”

zennoniSettimana tipo di un pugile. Quanti allenamenti e quanto impegno occorrono per ottenere buoni risultati?

“A livello di dilettanti e juniores, ma anche di giovani allievi, l’allenamento è solitamente di un’ora al giorno; la domenica è giorno di riposo ma tra i ragazzi c’è chi decide comunque di impegnarla con attività fisiche, la corsa è la più gettonata. Bisogna partire dal presupposto che il pugilato è uno sport povero e come tale, a livello dilettantistico, non ti dà di che mangiare: molti dei ragazzi che alleno lavorano durante il giorno e in pausa pranzo o alla sera vengono qui in palestra per allenarsi, se non riescono tutti i giorni vengono due o tre volte alla settimana ma sempre ad intervalli regolari. Per i professionisti è diverso: l’allenamento di Giacobbe Fragomeni per il titolo interazione Wbc di Città del Messico del 2011 consisteva nel passare le mattinate in alta quota per abituarsi all’altitudine del luogo dove avrebbe disputato il match: siamo stati a Corniglio, al Lago Santo, sul Monte Marmagna; al pomeriggio invece l’allenamento era in palestra con ginnastica, pesi e preparazione atletica e pugilistica. In casi come questo l’allenamento occupa l’80% del tempo di una giornata.”

Come ha iniziato la sua carriera da allenatore?

“Era ad inizio anni ottanta, avevo trovato un lavoro fisso ma il pugilato mi mancava, così sono tornato da Odino Baraldi e gli ho chiesto cosa avesse in serbo per me. Il presidente aveva sempre avuto molta fiducia in me: ero il suo pupillo, così non ci pensò due volte e mi elesse come suo successore. La mia carriera è iniziata al contrario, prima di essere allenatore sono stato delegato provinciale e presidente della Boxe Parma. La svolta è arrivata ai campionati italiani di Foligno, durante un match in cui accompagnavo i ragazzi della squadra in qualità di presidente: ero all’angolo del ring prima dell’inizio della gara e l’arbitro mi fece allontanare, solo gli allenatori potevano stare in quella posizione. E’ stato allora che ho deciso di fare il corso da maestro di pugilato. La mia prima esperienza da allenatore è stato nel 1987. Oggi in palestra alleno talenti dai dieci anni in su.”

zennoniCosa insegna per primo ai ragazzi che allena?

“Il rispetto delle regole e della persona. Non bisogna pensare che chi pratica pugilato sia rude o violento, i boxeur nella vita di tutti i giorni sono dei ‘cuccioloni’ e quando andiamo nelle trasferte riceviamo sempre i complimenti dagli albergatori che rimangono sorpresi della nostra educazione. Chi pratica pugilato sa che una delle regole fondamentali è il rispetto dell’avversario: al termine dell’incontro ci si abbraccia e i pugili sono in ottimi rapporti, anche di amicizia, tra loro. Non deve mai succedere che un rivale sul ring venga deriso o sbeffeggiato al termine del match.”

C’è un rituale prima della gara oppure una frase che dice sempre a loro per incitarli? 

“Ogni pugile che alleno ha un carattere diverso, per cui è impossibile avere un rituale che sia valido per tutti: prima delle gare c’è chi è in grado di fare training autogeno e si concentra da solo, c’è chi ha bisogno di essere caricato sentendo il rumore dei colpi dei guantoni sul punchball e chi, invece, va tranquillizzato e rilassato con un massaggio. Tra l’allenatore e i ragazzi si instaura un rapporto molto profondo: io ormai li conosco talmente bene che so cosa è meglio per ognuno di loro prima di salire sul ring. Un altro momento molto importante dal punto di vista psicologico per i pugili è quello fra una ripresa e l’altra, qui il ruolo dell’allenatore è fondamentale per non far perdere la concentrazione.”

La maggior soddisfazione della carriera di allenatore?

“Ogni vittoria dei miei ragazzi è per una grande soddisfazione, li ricordo tutti ad uno ad uno. Il momento più emozionante è sicuramente stato ricevere il Guanto d’oro, un riconoscimento che spetta ai tre più grandi allenatori di boxe italiani: mi sono commosso anche perché a premiarmi su quel palco è stato il mio idolo, Nino Benvenuti.

Come è l’avventura del reality ‘Ti aspetto fuori’ di Cielo tv?

“Abbiamo finito di girare da poco, a breve sarà in onda. Quando mi hanno telefonato, ho detto subito di no perché non avevo esperienza come attore e davanti ai riflettori temevo di non trovarmi a mio agio, poi mi sono lasciato convincere. E’ stata una bella esperienza, molto positiva e a posteriori sono contento di averla vissuta, anche perché ho coinvolto la mia società e i miei ragazzi hanno partecipato alle riprese. Il reality l’abbiamo girato a Milano, con orari impossibili: mi sono trovato bene con la troupe, sono grandi professionisti; però devo ammettere che in questo periodo ‘televisivo’ ho trascurato l’attività in palestra e questo mi è dispiaciuto molto. Ad una probabile seconda edizione ho già detto di no: gli allenamenti e i miei ragazzi prima di tutto”.

Progetti futuri?

“Dallo scorso anno sono responsabile nazionale dei maestri professionisti: ci stiamo attrezzando affinché Parma diventi un centro federale per i professionisti del nord Italia, ma non solo. Abbiamo già predisposto un ring olimpico per far sì che Parma diventi patria del pugilato e un punto di riferimento importante a livello nazionale. I miei sogni li ho realizzati quai tutti, grazie ai risultati positivi dei miei allievi: mi piacerebbe che il mio lavoro e la mia passione in questo sport venga tramandato alle generazioni future e che i miei ragazzi diventino un domani quello che sono stato io per loro.”

 

di Chiara Corradi

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