“Ti faresti mai saltare in aria?” Musulmani a Parma tra islamofobia e prove d’integrazione

LA COMUNITA' SI APRE ALLA CITTADINANZA, L'IMAM: "SERVE CONOSCERSI, ORA PIU' CHE MAI"

ADEL“Mai, ci tengo alla mia vita”. Risponde così a chi, vedendola indossare il velo, le chiede se farebbe mai la kamikaze, Sara Ben Chouchane, studentessa di Chimica e tecnologie farmaceutiche all’Università di Parma, nonché responsabile dell’associazione cittadina ‘Giovani Musulmani’. Nonostante le tante domande che si è sentita rivolgere in queste settimane, per lei, di origini egiziane, ma nata e cresciuta in Italia, non sembra essere cambiato molto dopo la strage di Parigi. “Chi mi conosce ha sempre lo stesso sguardo. A prescindere dalla religione, è umano non voler essere violenti. Il Corano dice che non bisogna far del male a nessun essere umano. Anzi, a nessun essere vivente in generale”. Aggiunge, però, che gli sguardi cambiano e si fanno più diffidenti – o comunque più curiosi – nel momento in cui indossi un simbolo che ti identifica, come il velo musulmano. “Ho sentito di dovermi impegnare di più per essere accettata quando ho deciso di portare il ḥijāb: a primo impatto mi sentivo tutti gli occhi addosso ed era strano vedere la faccia sbalordita della gente appena mi sentivano parlare in perfetto italiano”. Sara ha le idee ben chiare sul tema dell’integrazione: crede infatti che chi vuole veramente inserirsi in una nuova società, trova il modo di farlo. “Non condivido la scelta di chi, decidendo di cambiare Paese, non dimostri una certa apertura mentale”. Le sue parole fanno eco al dialogo iniziato venerdì scorso con l’apertura alla cittadinanza del centro islamico di Parma in occasione del settimanale momento della preghiera della comunità.

UN PONTE INTERCULTURALE – L’evento, che ha visto coinvolte anche le istituzioni (in primis il sindaco Federico Pizzarotti), è stato solo l’ultima occasione di confronto all’interno di un tentativo di dialogo aperto da anni. “C’è sempre stata un’apertura da parte nostra verso le altre comunità – sostiene Soufiane Lamzari, presidente della comunità islamica di Parma –  ma non l’abbiamo mai ‘pubblicizzata’ in maniera diretta come è avvenuto in quest’occasione. In città siamo una realtà presente da 30 anni, ma non abbiamo mai visto così tanta gente”. Obiettivo raggiunto per un incontro che ha dato prova di come la cittadinanza sia sensibile a tematiche del genere. In realtà però una rondine non fa primavera: il passo fatto è solo il primo di un cammino ancora lungo nel quale è necessario valutare bene la strada. “Siamo molto preoccupati per l’ ‘islamofobia’ di ritorno – aggiunge Soufiane – ma dobbiamo farci conoscere perché i nostri comportamenti sono opposti a quelli degli attentatori”. Anche i media talvolta non facilitano il percorso. “Siamo ‘bombardati’ dalla disinformazione ogni ora e spesso nei programmi televisivi la questione viene strumentalizzata fomentando l’odio: per noi questo è catastrofico”. L’ignoranza su questi temi è presente da entrambe le parti, spiega il presidente, portando come esempio la chiusura mentale che distingue la prima generazione di musulmani dalla seconda. “I primi – afferma – hanno una visione un po’ ristretta riguardo l’integrazione, mentre molti che sono nati qui stanno cominciando a vedere le cose in modo diverso”. Una parte non trascurabile della colpa è da attribuire ai personaggi politici che sfruttano l’incertezza della situazione facendo leva sulla paura. “In Italia – conclude –  si ha paura dello ‘sconosciuto’ e alcuni sciacalli ne approfittano”.

regole islam

OLTRE LA PAURA – Si tratta di equilibri estremamente delicati, in cui ogni aspetto va valutato con attenzione. A partire dalla questione religioso-culturale legata al territorio, come sostiene Adel, giovane segretario della comunità islamica di Parma: “Per far conoscere la nostra religione e la nostra cultura dobbiamo partire dalle moschee per rafforzare l’autorità religiosa sul territorio”. Eppure in Italia ci sono soltanto quattro moschee ufficialmente riconosciute (Ravenna, Roma, Colle Val D’Elsa, Segrate), un numero esiguo in un Paese dove l’Islam è la seconda religione per numero di fedeli. Il motivo lo spiega proprio Adel: “Lo Stato italiano sostiene che non ci sia un interlocutore comune con cui dialogare, un rappresentante che raggruppi tutte le comunità presenti sul territorio. Ma è impossibile farlo soprattutto perché ogni realtà ha le sue prerogative. L‘assenza di moschee ci priva della possibilità di istruire i fedeli: molti ragazzi, arrivando già da situazioni disagiate, se incontrano le persone sbagliate finiscono per prendere decisioni errate. Gli attentatori di Parigi erano gli stessi che bruciavano le auto nelle banlieue qualche anno fa”. Insomma, c’è una linea molto sottile tra la parola rivelata e il senso che ognuno può attribuirle; per questa ragione è indispensabile per un giovane musulmano studiare e comprendere al meglio quelle correnti moderate che sono prevalenti nel mondo islamico. “L’Islam non ripudia del tutto l’uso della violenza – specifica – che è consentita solo per difesa e contro le persone che ti combattono in maniera attiva. Noi siamo contro il terrorismo da molto tempo, non solo adesso: in 27 anni che frequento le moschee non ho mai sentito un discorso che fomentasse l’odio”.

imamSALAM ‘ALAYKUM – Il punto d’incontro tra le parole dei principali esponenti della comunità islamica si riassume in un messaggio di pace, come ribadisce lo stesso Imam Kamel Layachi. “Crediamo fermamente in questo modo di fare: solo il dialogo abbatte i muri e scioglie le paure”. Dal confronto e dalla conoscenza reciproca si può quindi intraprendere un percorso finalizzato ad instaurare un rapporto di fiducia reciproca. Ora più che mai è necessario impegnarsi e prendere l’iniziativa per non lasciare che a farlo siano coloro che rappresentano la parte più estrema della religione e della cultura islamica, ovvero i terroristi. “Noi ci siamo – ribadisce l’Imam – siamo disponibili e coscienti del momento storico che stiamo attraversando, nel quale sono necessarie responsabilità e chiarezza”. Quanto avvenuto venerdì è stato senza ombra di dubbio una “scossa”, uno snodo necessario a far sì che tutti prendano consapevolezza della situazione per invertire la rotta a partire dal contributo fondamentale delle giovani generazioni. “Mi piacerebbe fare un lavoro con i giovani. Soprattutto loro possono essere in grado di diffondere la cultura del rispetto, non solo tra diversi credi religiosi ma principalmente in quanto membri della stessa società.” Dopotutto siamo  simili, è forse proprio questo il problema. “Entrambe le religioni hanno la stessa fonte, ovvero dio, ma si vuole diversificare creando fratture e incomprensioni. In realtà in molte epoche della storia c’è stata una convivenza pacifica ma adesso né l’Occidente né noi musulmani riusciamo a convivere con le differenze che abbiamo al nostro interno, da entrambi i lati. Dobbiamo tornare a vivere in pace come una volta”, chiosa il presidente Lamzari.

 

di Filippo De Fabrizio e Giuseppe Mugnano

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