Il treno della comunicazione contemporanea

COME I MEDIA DI OGGI DANNO FORMA ALL'ARTE (E ALLA NOSTRA VITA), A PARMA UN NUOVO CORSO DI LAUREA

Museo del Pradodi Michele Guerra, professore associato di Teorie del cinema e coordinatore del CdS in Comunicazione e Media Contemporanei per le Industrie Creative |

Su un binario della stazione di Casarsa, c’è una vecchia locomotiva ottocentesca. Tra i segni moderni della stazione, le macchine che si vedono alle sue spalle e i palazzi sullo sfondo, è come un intruso proveniente da un tempo fatto di altri ritmi, di altre fatiche, di altre aspettative. Guardarla dà come una sensazione di tranquillità, il risultato di una nostalgia per un tempo che se tornasse ci precipiterebbe senz’altro in un incubo, equilibrato da una reticente soddisfazione perfino per un regionale veloce, che ti porta – senza troppo affumicarti – da Parma a Gorizia e da Gorizia a Parma in circa cinque ore e mezzo a tratta. Forse non avrei pensato a tutte queste cose (ero pur sempre fermo a Casarsa e i pensieri avrebbero dovuto correre altrove, a un altro tipo di antimodernità…) se non mi fossi letto, sfruttando il lungo viaggio, il libro di un amico e collega che racconta la storia della ferrovia, dei treni e delle stazioni italiane, come imprescindibile sistema di comunicazione e di segni che hanno contribuito alla costruzione della nostra composita identità. Decido così, approfittando della fermata, di sporgermi dalla porta del treno ancora aperta e di fotografare la locomotiva. Estraggo di tasca il mio smartphone, mi posiziono, fa tutto lui: inquadra e mette a fuoco e io schiaccio un pulsante che non è neanche più un pulsante, è un segno su uno schermo. Naturalmente niente di tutto questo passa per la mia mente, anzi sono già proiettato sull’app di Whatsapp per mandare, con breve e ironica didascalia, la fotografia al mio amico esperto di treni. In quel preciso istante, il mio smartphone mi avverte che è arrivata un’email e schiacciando in una zona non lontana da quella che pochi secondi fa mi aveva permesso di introiettare l’immagine della locomotiva, leggo l’invito a scrivere le parole che state leggendo (o meglio l’invito a scrivere non di quei miei pochi minuti casarsesi, ma di un nuovo corso di laurea triennale dell’Università di Parma cui sto riservando, come direbbero gli studiosi del divismo, un’entrata in scena ritardata).

La mia memoria è ormai prolungata nell’agenda del mio smartphone (sapete che un gruppo di scienziati del Missouri ha stabilito che il solo allontanamento da uno smartphone può portare perdita dell’autocoscienza e disagi psicologici??), guardo: devo andare in Calabria, avrò le tesi di laurea, un seminario sul cinema come fonte di storia e poi Bologna… niente, dovrò scriverlo domenica, ma accetto e rispondo. Poi penso che tutta questa storia, incapsulata in partenza entro la mia volontà di spedire una fotografia della locomotiva di Casarsa, non avrà mai corpo fuori dai media digitali che l’hanno resa possibile. Non parlerò con nessuno, non vedrò le facce di chi mi chiede questo “editoriale”, ma soprattutto il mio articolo non sarà toccato da nessun lettore: lo scriverò sul mio laptop, lo spedirò con la stessa nonchalance e rapidità con cui ho spedito una locomotiva, verrà pubblicato online e, a meno che qualche strano e antiquato soggetto (qualche locomotiva ottocentesca, ancora ce n’è parcheggiate qua e là…) lo stampi, resterà nello spazio dell’intangibile, pur potendo (noi ci speriamo) avere l’effetto di avvicinare studenti al corso di “Comunicazione e Media Contemporanei per le Industrie Creative”.
Eccolo il nome del nuovo corso triennale e chi vorrà leggerne di più potrà andare a questo link: http://www.unipr.it/ugov/degree/3704 (la storia continua, come vedete). Il lungo preambolo ci è servito per sottolineare, se ce ne fosse bisogno, come i media contemporanei conformano la nostra vita, modificano i nostri comportamenti, la nostra socialità, ridisegnano gli orizzonti del nostro immaginario. Tutto questo avviene senza che noi fruitori ce ne rendiamo conto, mentre è sempre più urgente affinare strumenti di analisi e di studio che ci permettano di fronteggiare la rivoluzione mediale in cui siamo immersi. La contemporaneità, e in modo particolare la comunicazione contemporanea, richiede attenzione, pazienza e tenacia per essere compresa, richiede prospettive storiche che procurino molte delle chiavi che servono ad aprire le sue tante porte (anche qui siamo pur sempre partiti da un esempio di tecnologia e visione del XIX secolo) e il corso intende fare questo, riunendo storici, filosofi, informatici, sociologi, psicologi, economisti, scienziati, architetti, grafici, giuristi e naturalmente storici della letteratura, dell’arte, della fotografia, del teatro, della musica, del cinema, della televisione e dei media, dell’editoria. È un corso in cui le arti vengono rilette all’interno del sistema della comunicazione contemporanea, come attori di una trasformazione mediale e culturale che le investe e che le costringe a ripensare il loro statuto e il loro ruolo nella società. È un corso in cui la mediazione con il “mondo del lavoro” (di cui si parla, rispetto alla formazione accademica, come qualcosa di “non suturabile”) è accorciata dalla presenza di molti professionisti in dialogo con docenti e studenti, con la gran parte degli insegnamenti che vedrà affiancate alle lezioni ex cathedra workshop coordinati da esperti dei vari settori che porteranno le loro competenze a implementare il fondamentale apporto storico-teorico di cui un giovane che si interessi di comunicazione in senso esteso dev’essere provvisto. È un corso che guarda, anche, al nuovo spirito imprenditoriale rappresentato dalle industrie creative (al link che vi ho segnalato più sopra ne trovate una definizione precisa) il cui impatto economico e occupazionale è in crescita costante. È un corso che si rapporta da vicino con due Centri universitari del nostro Ateneo: CSAC (Centro Studi e Archivio della Comunicazione: www.csacparma.it), un archivio-museo del Novecento unico in Europa, e CAPAS (Centro Studi per le Attività e le Professioni delle Arti e dello Spettacolo: http://www.unipr.it/ateneo/organi-e-strutture/musei-centri-e-altre-strutture/centri-universitari/capas-centro-le) che gestisce, tra l’altro, le attività extra-curricolari dell’Ateneo, e edita anche il settimanale online che state leggendo. Infine, è un corso, che ha, tra i docenti, un’età media di 46 anni, assai bassa per l’università italiana; ciò significa che a figure di esperienza si affiancano giovani professori e ricercatori in una relazione sinergica che non può che fare bene alle forme di dialogo che il corso auspica a più livelli. Per la smorfia napoletana il 46 è il numero del denaro, ma siamo gente acculturata, non crediamo a queste cose…

 

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