Cesare Lievi tra passato e futuro: “Il teatro non è un luogo per giovani”

"IL TEATRO È UN GENERE CHE LENTAMENTE STA MORENDO" : INTERVISTA AL REGISTA DEL DON CARLO TRA PAURA E NUOVI PROGETTI

Apertura Don Carlo“Se un giovane mi dicesse di voler diventare regista teatrale gli direi con sincerità di cambiare lavoro. Sono stato troppo cattivo?”

Diretto e preoccupato per le sorti future del teatro, soprattutto per i giovani, il regista Cesare Lievi racconta le tappe principali della sua pluridecennale carriera, ricca di traguardi, successi e nuovi progetti. Il drammaturgo bresciano, a Parma per l’apertura del Festival Verdi 2016, ha visto accogliere il suo ‘Don Carlo’, con applausi scroscianti e un clima di calorosa partecipazione.  Monumentale, d’impatto e classica, la scenografia e la scelta sapiente dei costumi hanno rappresentato un valore aggiunto all’opera dove, in apertura, svetta la lapide marmorea di Carlo V. Strutture mobili e ambienti cupi sono valorizzati dall’opulenza dei costumi, soprattutto quelli della Regina e delle dame di corte, in cui il lutto e il nero imperano tra i crisantemi del giardino. Nel tetro clima della Controriforma, la scena è illuminata solo dalla fioca e gelida luce che si accende con i vividi colori resi dai roghi dei libri e degli eretici.
Cura dei particolari, attenzione alle sfumature e ai dettagli: così, Cesare Lievi ha regalato a Parma un’opera abilmente eseguita.
Da una realtà piccola come Gargnano sul Garda al Metropolitan di New York e alla Scala, passando per Berlino, Vienna, Zurigo e Parigi, Lievi ha dimostrato ancora una volta la capacità di fare teatro attraverso un linguaggio universale, in continua evoluzione ma senza stravolgimenti.

Come si è avvicinato a questo mondo?

“E’ una domanda che darebbe spazio a una risposta molto ampia. La mia storia inizia dal mio paese natale dove abbiamo fondato un gruppo che si chiamava ‘Teatro dell’Acqua’. Parlo di un noi perché, agli inizi, c’era mio fratello Daniele che realizzava le scenografie. In quella piccola realtà ci hanno scoperto prima i tedeschi e poi Franco Quadri, il quale ci ha invitato in Biennale e, grazie allo Barbablù, siamo diventati famosi.”

Che scommessa è stato il ‘Teatro dell’Acqua’?

“Volevamo fare il teatro da professionisti e, per noi, quella era l’unica possibilità. L’abbiamo sfruttata fino in fondo e alla fine siamo stati premiati: restare nel luogo dove siamo nati è stata una scommessa, ma credo che se fossimo andati a Milano o a Roma avremmo perso di vista il nostro obiettivo che è sempre stato quello di fare teatro nel miglior modo possibile. Dopo il ‘Teatro dell’Acqua’ abbiamo fatto molti passi in avanti, siamo cresciuti soprattutto grazie all’enorme opportunità che ci è stata concessa di lavorare nei grandi teatri tedeschi come il Berliner Ensamble e in teatri d’opera importanti come la Scala.”

Come definirebbe il suo modo di fare teatro?

“È difficile definire il mio modo di fare teatro perché, nel tempo, si è profondamente evoluto. Sicuramente devo ammettere di essere stato molto fortunato, ma nonostante questo, se dovessi definirlo, il mio modo di fare teatro è quello di una persona che ama molto quest’arte, che l’ha sempre considerata un metodo di comunicazione ed espressione. Ci tengo, però, a precisare che non voglio assolutamente che al mio modo di fare teatro sia attribuita una categoria fissa come teatro sperimentale, d’avanguardia, nuovo o vecchio in quanto questa è una divisione molto provinciale: ci sono mille modi di fare teatro, l’importante è che venga fatto bene. Solo in Italia ragioniamo con queste categorie vecchie, attribuite da alcuni critici solo per fare carriera, ma che in realtà non esistono. Purtroppo, il problema è che certi giovani credono ancora a questi schemi inutili.”

Tra le sue opere, ce n’è una a cui è maggiormente legato?

Una scena di Barbablù“L’opera che ci ha fatto conoscere in tutto il mondo è il Barbablù di Trakl, preparato dal ‘Teatro dell’Acqua’ e presentato in occasione della Biennale di Venezia nel 1984, messo nuovamente in scena nel 1991 a Vienna, poi Berlino e Spoleto nel 2010. Con quest’opera abbiamo vinto anche molti premi e, recentemente, mi hanno proposto di renderlo protagonista di una tournée nel mondo. Questo è forse lo spettacolo più significativo, ma non è l’unico perché sono molto legato anche a tante altre opere della mia lunga carriera.”

Cos’ha significato partecipare a un’esperienza prestigiosa come il Festival Verdi?

“Con il ‘Don Carlo’ è stata è stata la mia prima volta a Parma. Devo ammettere che non ho lavorato molto nell’opera in Italia, fatta eccezione per Palermo, Catania, Milano e Modena; ho lavorato invece su palcoscenici internazionali, come Tokyo, Vienna, Parigi, San Paolo, Berlino e molti altri. Nonostante io abbia sempre lavorato in teatri d’opera molto prestigiosi, Parma ha completato e aggiunto alla mia carriera un’esperienza che mi mancava, sicuramente bella e stimolante perché mi sono trovato molto bene e ho percepito interesse e amore: nel complesso, un bilancio positivo.”

Com’è riuscito a rendere il rapporto tra Schiller e Verdi nel ‘Don Carlo’?

“È stato un lungo lavoro di analisi e lettura di Schiller e Verdi. Chiaramente Verdi ha contribuito con le musiche e con un testo teatrale molto bello e importante, ma non sempre fedele poiché a volte ha inventato, aggiunto o arricchito alcune parti, a volte le ha impoverite: la mia scommessa è stata quella di capire quello che stava facendo Verdi e quali fossero le sue intenzioni.”

Nell’opera, quali sono stati i momenti più emozionanti e perché?Scena Don Carlo
“Nel ‘Don Carlo’ abbiamo svolto un ottimo lavoro con molta calma e determinazione, soprattutto per la sinergia raggiunta con i solisti, il coro, i tecnici delle luci e tutti coloro che hanno collaborato alla buona riuscita dell’opera. A mio parere, direi che ogni momento è stato ‘il momento’ emozionante, nessuno escluso.”

Che cosa significa fare teatro oggi in Italia e quali sono le principali difficoltà?

“In Italia, la percezione è che il teatro sia un genere che lentamente sta morendo, agonizzante e in via d’estinzione: la principale difficoltà è quella di avere a che fare con una realtà che si trova in queste condizioni. Non bisogna però dimenticare che c’è chi si impegna e combatte quotidianamente affinché il teatro non sia così, ma le difficoltà rimangono. Penso sia un miracolo che si faccia ancora teatro in Italia e dovrebbero essere lodati coloro che lo fanno e portano avanti questo linguaggio con tenacia.”

Secondo lei, che rapporto hanno i giovani con il teatro?

“È molto difficile rispondere, sicuramente i mezzi di comunicazione, per come si sono sviluppati, non sono favorevoli al teatro e quest’ultimo è diventato un luogo estraneo ai giovani, che poco frequentano o non conoscono. Questo non significa che possa cambiare, ma in questo momento il teatro non è un luogo dei giovani.”

Che consigli darebbe a un giovane che vorrebbe diventare registra teatrale?

“Purtroppo gli direi di non farlo. Se però l’ambizione e le motivazioni sono forti, il mio consiglio è uscire dall’Italia e provare questa carriera andando all’estero.”

 

di Francesca Bottarelli e Silvia Santospirito

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