Brera, Sarri e il detestato Mourinho: intervista a Gianni Mura

"IL GIORNALISMO PUO' CAMBIARE IL MONDO MA I NUOVI GIORNALISTI MI FANNO TENEREZZA: NON SIAMO PIU' ESSENZIALI AL SISTEMA"

Gianni Mura_pp1Ma si può sapere lei per chi tifa? “Da giovane tifavo Inter, fino alla cessione dell’ ‘Angelo Biondo’ Angelillo. Oggi non sono più interessato, anche se mi riservo la possibilità di appassionarmi alle squadre minori. Mi piace l’Atalanta.”

Classe 1945, penna precoce del giornalismo italiano, Gianni Mura si occupa di sport da 52 anni. Ma lo sport non è l’unica passione. Venerdì scorso ha presentato – ‘scivolando’ comunque costantemente su straordinari aneddoti di sport – il suo libro ‘Non c’è gusto’, un tour nella società italiana “delle trattorie, spina dorsale di questo Paese”, all’interno della seconda edizione di ‘Bar Sport – racconti di vita e di gioco’. Per tre giorni il Workout Pasubio è stato teatro di incontri letterari e spettacoli uniti dal fil rouge della passione sportiva. Dai 10 eroi di sport (poi 11 con l’appendice dedicata a Gianfranco Zola)  di Andrea Scanzi alle esibizioni freestyle di skateboard e basket, da Open di Agassi in musica e parole ai 40 scudetti vinti da Parma in 11 discipline. Eppure forse è stato proprio Gianni Mura l’ospite più capace di emozionare gli sportivi con aneddoti schietti, ironici, malinconici.

Gianni Mura, quale è il suo eroe dello sport?
“Mah… sono tanti. Se stiamo in Italia direi Mennea, Sara Simeoni. Nel calcio Riva, Scirea. Penso che il meglio sia già passato. Oggi ce ne sono di bravi, ma non ho particolari pruriti da intervista verso nessuno.”

Non ce n’è uno su tutti?
“No, è difficile: è un po’ come chiedere se vuoi più bene al papà o alla mamma. Ci sarebbe anche Pantani. Ci sono poi degli sport di cui non capisco molto, ad esempio tutti quelli dove c’è di mezzo un motore io non li seguo.”

Se dovesse abbinare ad un piatto qualcuno di questi suoi eroi, che piatto sceglierebbe?
“Eh qui è più difficile. In generale, siccome mi piacciono gli eroi semplici, sceglierei dei piatti semplici. Riva potrebbe essere una polenta con salsiccia, sarda però, che è molto più saporita della nostra. Mennea era uno specialista in velocità quindi dovrei scegliere un piatto che si cucina velocemente: due uova all’occhio. Nel caso della Simeoni abbinerei una pasta e fagioli perché è veneta, un piatto della sua zona.”

Nel suo ultimo libro racconta di una simpatica esperienza con il cronista parmigiano Bruno Raschi…
“Feci il primo Tour a 21 anni e mezzo. Già dopo qualche giorno dalla partenza, l’equipaggio (Raschi, Rino Negri e l’autista) iniziò a ripetere ‘ah quando arriviamo a Saint-Malo ci mangiamo un Plateau Royal’. Una volta arrivati, ci sediamo a tavola e ci portano queste alzate piene di ghiaccio tritato con granchi, gamberi, ostriche (12 ostriche a testa). Io ho mangiato la prima e poi sono corso in bagno. Da lì il mio rifiuto della crudité marina che dura tutt’ora. Io ritengo che l’Italia come cucina sia superiore, e comunque dopo essere sopravvissuto in Corea non ho più paura di nulla.”

Di Parma, invece, c’è un piatto che preferisce?Gianni Mura _pp2
“Gli anolini.  Ma se devo dire una grandezza assoluta è il Parmigiano stagionato, con un bel bicchiere di vino rosso e un pezzo di pane buono (cosa che a Parma c’è ancora). Credo che questi siano prodotti che fanno la miglior reclame gastronomica per tutta la città e la provincia.”

Tornando allo sport, il rapporto tra giornalista e atleta è diverso oggi rispetto al passato?
“E’cambiato tutto il giornalismo e quindi anche quello sportivo. Direi che oggi, anche per motivi di crisi economica dei giornali, si viaggia molto meno. Io ho avuto la fortuna di capitare in un periodo d’oro rispetto a questo. Una delle cose che sognavo di fare quando ero studente era quella di viaggiare. I miei giri li ho fatti e questo mi è servito anche secondariamente a farmi una certa cultura gastronomica. Perché fare i giri di Francia, Italia, Spagna, vuole dire fare 25 giorni cambiando 25 alberghi, 25 ristoranti e capitare in posti dove non sai se torni… Quindi almeno nel ciclismo prima che in bravi o cattivi, i giornalisti si distinguono in: con la gastrite o senza. Cibo a parte, oggi nel ciclicmo non c’è più nessun livello di familiarità, di amicizia o confidenza: è già tanto se ti fanno entrare nella hall.
Per quanto riguarda il mondo del calcio, i giocatori di oggi sono inavvicinabili, e se li avvicini ti dicono tre banalità. Anche il rapporto tra giornalista e allenatore è cambiato: l’ultimo con cui sono riuscito a parlare è stato Sarri quando era ancora ad Empoli. Dopo il suo trasferimento a Napoli non è stato più possibile.”

Brera aveva il suo Rivera, lei ha avuto il suo?
“No. Però su Sacchi c’era una diversità di vedute, perché lui andava allo stadio solo quando il Milan giocava in casa, io invece andavo quando giocava in trasferta perché non gli piaceva viaggiare. E quindi a seconda di chi scriveva, Sacchi era un pazzo (per Brera n.d.r.) o un genio. Io non ho un Rivera, ma se c’è una persona che detesto cordialmente è Mourinho.”

In una precedente intervista lei ha parlato di ‘calcistizzazione’ del ciclismo. Cosa intendeva dire? E lo sport in generale sta andando verso una ‘calcistizzazione’ totale?
“Sta andando verso una forma di robotizzazione. E’ il calcio che piace di meno, quello molto calcolatore, molto attendista per cui fare un dribbling è quasi una colpa. Il ciclismo che si calcistizza è come il ciclismo che abbiamo visto all’ultimo Tour, dove non attacca nessuno e i direttori sportivi telecomandano i corridori con la radiolina. Il ciclismo è sempre stato lo sport più ricco di avventura, di improvvisazione, anche di furbizia in cui era il corridore a decidere come e quando attaccare. A me vedere questi sciagurati con gli auricolari mi fa molta tristezza. Lunga vita a Peter Sagan che è uno che per fortuna vince molto e rema in direzione opposta, perché a differenza degli altri ci mette allegria, passione, fantasia. Lui sì che ha il gusto della corsa sfrontata!”

C’è oggi una ricetta perfetta (o quasi) per diventare un buon giornalista?
“A parte scrivere in un buon italiano, in un secolo che sembra preferire l’inglese anche quando non serve, io credo che la cosa più importate per un giornalista sia la sensibilità: è quella che ti permette di cogliere le sfumature, le differenze. Anche se tutti partecipiamo alla stessa conferenza stampa, quelli più bravi notano un’esitazione nella voce, o un ridere eccessivo. Il giornalismo ormai si muove in gruppo ed è molto difficile fare un’intervista individuale. Siamo obbligati a stare tutti quanti sullo stesso osso, e a disputarcelo come se fosse un filetto ma invece è un osso che ci danno per carità. La differenza tra un giornalista della carta stampata e uno della televisione è che quello della carta stampata ti intervista ma non ti fa reclame, mentre in tv se qualcuno viene intervistato dietro ci sono tutti gli sponsor. Noi non siamo più essenziali al sistema, prima o poi ci faranno anche pagare il biglietto. L’unico modo di difendersi secondo me è quello di essere consapevoli della situazione ed evitare di pompare dei mediocri, dei cafoni, degli arricchiti, dei ladri.”

Quindi è un mestiere che consiglierebbe ancora oggi nonostante tutto?
“Se uno ha molta passione sì. Perché una volta almeno si era pagati bene, oggi invece non si è pagati per niente. Mi dispiace per voi che avete passione, che avete giustamente un’altra visione del mondo e dei sogni. Io pensavo che un buon giornalismo potesse cambiare il mondo e lo penso ancora, ma se nessuno legge più diventa un po’ difficile. Non avrò mai un blog perché boicotto la cosa, non mi interessa internet, nemmeno i social network. Se mi vogliono leggere leggono il mio giornale. Cinquant’anni e rotti di mestiere mi bastano, non ho bisogno di grande popolarità.”intervista_mura

Oggi chi vuole fare questo mestiere deve per forza scendere a compromessi?
“A me fate molta tenerezza. Qualcuno mi manda dei pezzi per avere un mio giudizio e ce ne sono pure di bravi. Il problema è: chi li prende? E se li prendono è  a condizioni quasi da fame. Questo si verifica anche nei grandi giornali: non ci sono più gli stipendi di una volta. Succede di avere a che fare con delle controparti politiche e sportive sempre più arroganti e ricattatorie, con la conseguenza di avere un potere di denuncia sempre più limitato.”

Ci vuole raccontare qualcosa rispetto al suo battesimo come giornalista?
“Io ero nella redazione calcio della Gazzetta dello Sport, e siccome la vita di tutti è fatta di colpi di fortuna, è successo che un redattore del giornale è caduto dalla moto durante la Milano-Sanremo. La Gazzetta si è trovata all’improvviso con un inviato in meno a due mesi dal Giro, quindi o ne prendevano uno bravo da un altro giornale che però costava, oppure provavano a buttare in acqua uno che era lì da 4 mesi, che ero io. Sono stato a galla anche grazie a persone come Vittorio Adorni.  E’ stato fondamentale per me quel Giro: c’era un clima diverso, un clima di aiuto molto forte nei confronti dei più giovani, che poi non ho più trovato. Col tempo ho fatto carriera, ma i primi 2 o 3 anni sono indispensabili, soprattutto se c’è qualcuno che ti lascia crescere in libertà e magari anche sbagliare. Io non volevo fare il giornalista, non ci pensavo nemmeno, hanno dovuto insegnarmi l’abc.”

 

di Veronica Novelli e Ludovica Salvatori

1 Commento su Brera, Sarri e il detestato Mourinho: intervista a Gianni Mura

  1. Vincenzo Martucci // 20 novembre 2016 a 15:12 // Rispondi

    Grazie, per essere rimasto te stesso. Sempre grande. Un abbraccio V.

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