Dietro ogni fucile c’è un pericoloso vuoto di memoria

OMICIDIO DI LODI: PIÙ CHE UN SEMPLICE ENNESIMO CASO DI LEGITTIMA DIFESA

Ancora. Questa volta però a Gugnano di Casaletto Lodigiano (Lodi). Una colluttazione. Poi, due colpi d’arma da fuoco. L’oste Mario Cattaneo, di 67 anni, voleva difendere la sua famiglia, la sua osteria, il suo lavoro. Qualche rumore di troppo, e la paura diventa insopportabile, riluttante di fronte ad ogni forma di autocontrollo. Il sudore freddo in fronte, il corpo irrigidito, una vampata di ansie e turbamenti oscurano la ragione. E quando ti trovi faccia a faccia con l’aggressore, il dito fa presto a spingere il grilletto ‘per legittima difesa’. Ma la legittima difesa, insegna il codice penale, non ammette l’istinto per mera paura, il timore di un pericolo del tutto potenziale che la maggior parte di noi (involontariamente) reclama. Quello su cui la legge si concentra è quel preciso momento, precedente allo sparo, per il quale devono essere accertati alcuni elementi.

salvini-cattaneo-300x225COS’E’, QUINDI, LA LEGITTIMA DIFESA? – Nel diritto penale, è una causa di giustificazione. L’art 52 prevede che il fatto cessa di diventare antigiuridico perché commesso per la “necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta”. L’aggressione può costringere a difendersi quindi, e perché vi sia uno sfondo di legittimità, oltre che necessaria (vale a dire non devono esserci altri strumenti di difesa diversi e meno lesivi da quello utilizzato), la difesa deve essere proporzionata. Insomma: il male inflitto non dev’essere superiore a quello minacciato. Un fucile, per intenderci, non può rispondere a un pugno; il valore della vita non corrisponde al valore di un quadro. Tra l’altro, quando si parla di proporzionalità alcuni giuristi insegnano che essa non è esigenza strutturale della fattispecie. Tradotto: la sua assenza non esclude inevitabilmente la legittimità della difesa. Anzi, la sua presenza serve ad individuare una soglia, non troppo esterna, d’equilibrio tra gli interessi in gioco. Perché “l’aggredito – dicono i giuristi – non ha una bilancia in mano”.
Le cose cambiano, anche se non di molto, quando ci si trova di fronte ad un estraneo, immersi nel buio corridoio di casa. Il 2° Comma, aggiunto all’art 52 nel 2006, propone quella legittima difesa ‘speciale’ di cui i recenti fatti di cronaca: una presunzione assoluta di proporzione tra difesa e offesa ammessa tutte le volte in cui un estraneo viola il nostro domicilio (nelle forme di cui l’art 614 cp, ndr), c’è un imminente pericolo di aggressione fisica e da parte dell’estraneo non v’è alcuna desistenza. Quindi, se al primo avvertimento il ladro non desiste, allora, forse, si può sparare. Meglio, ci si può difendere.

LETTERA AL PARLAMENTO – Difendersi dal pericolo diventa legittimo, oltre che moralmente, politicamente ammesso, se è strettamente indispensabile. La situazione del Signor Cattaneo, non dissimile da quella che ha visto coinvolti molti altri prima di lui, è pressoché inimmaginabile per il tesoriere delle mille opinioni. L’incertezza, l’ansia, il pensiero ai cari che rischiano di essere selvaggiamente aggrediti nel sonno al piano di sopra, s’intrufolano ogni dove. E per questo è difficile giudicare; impossibile farlo fuori dal Tribunale. Ma se impossibile diventa astenersi dal dire la propria, si ricordi almeno che da qui ad osannare la difesa ad ogni costo, la difesa ad ogni filo d’ombra che cammina sulle pareti di casa, c’è una rete di filo spinato. Le opinioni che sul tema fioccano da qualche anno sono pericolosissime. Un delitto, va chiarito, non fa dell’autore un criminale incallito. Caso per caso, dinamica per dinamica, la giustizia privata è l’ultima arma anche contro la recidiva più efferata. In particolar modo, quando è possibile evitare di difendersi (intendendo la difesa come risposta arma contro arma). L’istigazione a una pena feroce quale è la morte, è cosa troppo semplice e troppo umana. Che di pena, tra l’altro, non si potrebbe parlare. Ma se ‘punire e negare’ è il desiderio che alcuni sbandierano, ricordiamoci che rieducare è la funzione vitale di ogni pena. Inseguire e sparare, piuttosto che chiudersi in stanza e chiamare la polizia – ripeto: ove le circostanze lo permettano – non è la strada che per anni giurisprudenza e dottrina stanno cercando di tracciare. Sparare alle spalle del ladro in fuga col bottino, secondo la sentenza 11610/2011 della Cassazione, non è legittima difesa.

Uscire dai confini di leggi dunque, per immergersi dentro la marea della paura e della vecchia legge de ‘Ognuno ha la sua staccionata’ rischia di inquinare gli equilibri su cui si fonda la nostra macchina giudiziaria. Che, seppur lenta, riflussi filosofici ricordano indispensabile.

BREVE LETTERA CONTRO IL MORALISMO –
Contestare i moralisti è giusto. Farlo da nuovi moralisti no. L’“io avrei sparato, chi dice di no è un moralista”, è noiosa faziosità da politicanti. Significa non aver capito nulla. Pragmatismo da quattro soldi, che suggerisce becere soluzioni dall’alto. Più in alto rispetto a chi è tacciato di pragmatismo per altro verso. Ma sia chiaro che ogni forma di moralismo è, a sua volta, dentro ogni tentativo di giudizio. E i giornali ne fanno molto spesso da contenitore, ring degli scontri tra opinioni imponderate. Quello che dimentichiamo è il nostro compito da ‘cittadini a prescindere’. Non giudicare, ma capire, proporre, aiutare. La condanna dell’uno o dell’altro non è il nostro compito. Altrimenti la situazione si farebbe rebus: dietro l’istigazione alla pena feroce, c’è un moralizzatore inumano da rieducare insieme al reo, e proteggere il cittadino da se stesso è del tutto impossibile. Chi spara crede di rendere libero se stesso. Ma sopra un uomo morto, l’omicidio, l’istigazione all’omicidio, non libera davvero nessuno. Neanche i moralisti.

La condanna al ladro, la condanna all’oste, la condanna ai moralisti, la si deve tenere sempre a debita distanza. La persona cara, il cane di una vita (tua o di altri) una donna, un bambino, una signora anziana e indifesa, un rom, un nero, un senzatetto, e continuate voi, coinvolta in una situazione del genere e con la quale abbiamo un rapporto assai intimo, ci spoglia delle vesti di giudice equo. E’ innegabile. Ma gli altri, che ruotano intorno alla vita di società e si fanno portatori di salvezza, alla legittima difesa devono guardare con cautela e con sguardo collettivo. Rafforzare la sicurezza pubblica. Incentivare la tempestività dei giudizi. Certezza della pena! Bisogna pensare alla protezione della società tutta, non a come ognuno debba difendersi da se. La sicurezza è collettiva, pubblica. Ma non nel senso di insieme di difese individuali. In questo senso, sarebbe un ritorno. Il maelstrom di Allan Poe. ‘Un corso e ricorso’ che non ci possiamo permettere. Ogni severità che oltrepassi i limiti di legge, è abuso. E l’abuso è ciò che cerchiamo di impedire, non ciò che proponiamo, suggeriamo, sbandieriamo per innocente, tonta politica. Non bisogna confondere la difesa, per altro legittima, con la violenza. La mera violenza.

 

di Carmelo Sostegno

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