Escape Room: come sfuggire da un lavoro convenzionale

ALL'OSPEDALE VECCHIO UNA STANZA IN TEMA RISORGIMENTALE

Per chi non conoscesse l‘Escape Room, si tratta di un gioco di logica e di enigmi in cui i concorrenti, rinchiusi in una stanza allestita a tema, devono cercare una via d’uscita utilizzando ogni elemento della struttura e risolvendo codici, rompicapo e indovinelli. Per poter completare con successo il gioco, i partecipanti – che variano da 2 a 6 persone – devono organizzare la fuga entro un limite di tempo prestabilito, generalmente 60 minuti.
L’obiettivo è quello di stimolare la mente, l’intuito, la logica e, non da ultimo, il team building: la collaborazione tra tutti i partecipanti è infatti un fattore indispensabile per  la risoluzione degli enigmi e il conseguente completamento del gioco.

La prima Escape Room è stata creata nel 2006 da un gruppo di programmatori della Silicon Valley che si è ispirato alle opere di Agatha Christie e ad alcuni videogiochi ‘Real Escape Game’, sviluppati dal giapponese Takao Kato. Nel corso degli anni il gioco è diventato sempre più popolare, non solo negli Stati Uniti e nel Nord America ma anche in Asia, Oceania ed Europa. Dal 2015, partendo da Torino, è approdato anche in Italia. Nel mondo, ormai, si contano quasi 3.000 Escape Room, ognuna allestita in scenari sempre nuovi e sorprendenti.

Parma è stata aperta un’Escape Room, tutta a tema Giuseppe Verdi e Risorgimento, nell’ambito della rassegna Verdi OFF. Le ragioni alla base del successo di questo nuovo fenomeno risultano evidenti dopo aver provato l’esperienza. Ma come nasce una stanza? Chi ci lavora?
Valerio_Bamberga_GameDesigner-iloveimg-resizedValerio Bamberga, 42 anni, da tre anni si occupa della creazione e ideazione di queste stanze.

Come nasce e in cosa consiste il suo lavoro? 

“Mi definisco un game designer. Vengo dal mondo del teatro e dell’informatica, sono un programmatore ma anche attore e regista teatrale. Ho sempre avuto una grande passione per i giochi cooperativi e questo mi ha fatto conoscere Michele Gelli, che si occupa della costruzione di queste stanze. Siamo amici da tempo e avendo lui una casa di produzione di giochi da tavolo, abbiamo messo insieme i nostri percorsi, le nostre esperienze ed è nato questo tipo di gioco.”

Quindi si può autonomamente decidere di aprire una stanza propria ed entrare nel ‘giro’ dell’Escape Room?

“Si può creare, poi chiaramente riuscire a organizzarla non è facile, per diversi aspetti. Ci sono diversi approcci all’Escape room, due filoni principali: il primo punta a una sfida quasi matematica, ci sono campionati in America, ad esempio, dove l’obiettivo è semplicemente quello aprire dei lucchetti che non racchiudono nulla; l’altro approccio è quello che piace di più a noi, cioè la creazione di un’esperienza, una storia dove bisogna comprendere la trama e gli enigmi, necessari per sbloccare altre informazioni. Si tratta di un’esperienza che permette di immergersi nel contesto e in cui occorre indagare e capire quello che sta succedendo.”

22712953_10211963551416529_1705756413_oAttualmente quante stanze gestisce contemporaneamente?

“Una a Rimini, a Ravenna, quella a Parma e una stanza itinerante che segue uno spettacolo teatrale nel nord Italia.  Noi abbiamo scelto di sviluppare anche questo tipo di room mobili.”

In media che durata ha una stanza in termini di consumo?

“Due o tre anni una stanza dura tranquillamente. Tre anni fa abbiamo fondato la stanza a Rimini ed è ancora in funzione, quindi sebbene avessi pensato che dopo un paio di anni l’avremmo dovuta cambiare rimane tutt’ora in funzione.”

Il format è sufficientemente pubblicizzato, attraverso quali canali il pubblico impara a conoscervi?

“Novanta percento avviene tramite il passaparola. Noi siamo anche presenti alle fiere del gioco come il Lucca Comics, ci facciamo conoscere in queste manifestazioni.”

Quali sono i tempi di realizzazione per una stanza?

“E’ molto variabile. Può andare da un mese a sei, dipende anche da quanto la stanza viene resa tecnologica. Quella di Parma è a bassa tecnologia. Abbiamo fatto delle stanze che sono invece completamente robotizzate, e per essere costruite hanno bisogno di molti software e molto tempo.”

22712756_10211963551496531_623078066_oLavora da solo o in team?

“In genere siamo un team di almeno tre persone. C’è una prima fase di testing interno e giochiamo la stanza noi stessi più volte, cercando di capire i vari intoppi che possono capitare o cercando di scovare ventuali incoerenze che  potrebbero trovarsi negli enigmi. Facciamo numerosi turni di test prima di arrivare a un assetto che possa essere presentato al pubblico. E’ tutto un lavoro di squadra.”

Questo è il suo impiego a tempo pieno?

“Domanda difficile. Lavoro a tempo pieno ma a periodi, perché a volte lavoro anche a progetti di informatica, quindi alterno le due cose. Comunque per fare un lavoro di questo tipo ci vuole molto tempo.”

Che futuro ha il format secondo lei?

“Per quanto riguarda il target di giocatori, è molto in crescita, e per il tipo di approccio che noi abbiamo scelto è per sua natura adatto a tutti. Vediamo giocare famiglie, universitari, colleghi di lavoro. Per dei meeting aziendali abbiamo anche una formula che prevede l’inserimento di uno psicologo alla regia che possa osservare tutto quello che succede così da discuterne a gioco concluso. C’è una relazione tra come ci si rapporta durante un gioco e come ci si comporta sul luogo di lavoro. Se parliamo di espansione del target lavorativo, invece, non so se si svilupperà perché molto è dato dalla passione ed è molto più faticoso di ciò che rende.”

Quindi è un campo che nasce e si sviluppa attraverso gli appassionati? Non ci sono aziende che ricercano questi ruoli?

“No, noi abbiamo costituito adesso questa società che si chiama Malus Ink e si occupa di approfondire vari aspetti di questo gioco, non solo la creazione delle stanze in sé, ma appunto le applicazioni, come per il meeting lavorativo, o nel campo dell’investigation, che abbiamo portato anche qui a Parma. L’obiettivo è far conoscere e apprendere qualcosa di nuovo. Ad esempio a Modena, per un progetto scuola-lavoro, una ventina di classi hanno sperimentato il tema ‘diventare imprenditori’ approfondendo le qualità di un imprenditore attraverso una serie di giochi. L’Escape Room era stata creata per mettere alla prova la capacità di lavorare in gruppo e per testare la capacità creativa di rispondere e risolvere problemi in mancanza di informazioni o imprevisti.”

Oggi ci sono molti lavori creativi che 10 anni fa non si pensava potessero prendere piede, ritiene che l’ideatore di Escape Room possa subire una simile sorte?

“Secondo me è un campo ancora agli arbori. È un tipo di gioco che deve ancora evolvere. Ci sono catene più orientate al marketing che al gioco, però sono stati tra i primi ad aprire in maniera così aggressiva in Italia. Si propongono in franchising con un investimento molto basso, noi abbiamo scelto di non fare allo stesso modo. Se qualcuno vuole aprire la propria Escape Room noi facciamo consulenza, se serve produciamo del materiale e creiamo dei software: tutto quello che può servire a chi non può produrre da sé. Ognuno dovrebbe essere libero di guadagnarsi il giusto e lavorare per conto suo. Noi abbiamo preferito questo tipo di approccio. Se qualcuno dovesse essere intenzionato a lanciarsi in questo tipo di mercato, io proporrei di fare così. Probabilmente la creazione di Escape Room resterà un po’ di nicchia, mentre quello che ne verrà fuori sarà un nuovo, inesplorato, settore ricco di possibilità. Ma lavorare all’interno di un Escape Room è una cosa bellissima, si  impara molto osservando chi, in squadra, tenta di risolvere problemi. E’ un’esperienza educativa da svariati punti di vista e non andrebbe ridotta al solo concetto di ‘gioco’.”

 

di Vittoria Fonzo e Valeria Milenati

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