Cosa devo fare se ho capito di essere violento?

NON SOLO PER LE VITTIME: SEMPRE PIU' DIFFUSI I CENTRI CHE SI OCCUPANO DI AIUTARE CHI AGGREDISCE

La violenza non è istiNascita violenzanto. L’aggressività è istinto. La violenza è azione volontaria. “Quando non è possibile esprimere una sana aggressività difensiva, quella che serve a progettare, rendersi indipendenti, realizzarsi, arrivano frustrazione e violenza”, spiega Elisa Moro, psicologa e psicoterapeuta.
Come si prevengono? “Con l’educazione al rispetto, soprattutto al rispetto di se stessi. Per prevenire la frustrazione occorre studiare, impegnarsi e credere che realizzarsi sia possibile. Molti bambini e giovani adulti però purtroppo crescono in un contesto in cui queste cose non vengono insegnate, o non ci sono esempi positivi tra gli adulti.”  
Eppure a volte l’educazione non basta o meglio “non avviene in modo soddisfacente così assistiamo quotidianamente alla violenza” spiega il professor Alessandro Bosi, sociologo.
“Nella nostra visione – aggiunge una rappresentante del ‘Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti’ di Ferrara – la violenza non è una patologia da curare ma un comportamento culturalmente appreso“.

Comportamento che ognuno di noi è spesso in grado di riconoscere negli altri, ma su se stessi? Se ci si rende conto di essere violenti, cosa si può fare?

stop alla violenzaCENTRI PER UOMINI MALTRATTANTI E CURA ALLA VIOLENZA – Così come esistono centri anti violenza che si occupano della tutela delle vittime, esistono anche centri che ne promuovono la cura: “Nasce a Firenze nel 2009 – racconta Federica Boveri, psicologa e psicoterapeuta – il primo centro anti violenza che si rivolge anche ai maltrattanti, persone che si accorgono di avere un problema e che chiedono a loro volta aiuto per interrompere azioni e pensieri disfunzionali che andrebbero a ledere le persone più care. Se mi accorgo di essere una persona violenta mi posso e mi devo rivolgere ad uno psicologo”.
La cura per la violenza, studiata e messa in pratica da psicoterapeuti con delle piccole differenze a seconda della scuola di psicoterapia, si applica oggi in diversi centri in Italia (Ferrara, Roma, Milano): “Svolgiamo diverse attività, dai colloqui individuali con gli uomini autori di violenza agli incontri nelle scuole, quindi abbiamo anche un lavoro di prevenzione. Il nostro obiettivo è dare strumenti per riconoscere la violenza, in sé e negli altri, e i meccanismi che la generano, arrivando ad avere un profondo cambiamento nel modo di essere e di comunicare con se stessi e con gli altri”, spiega una rappresentante del ‘Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti’. 

“In percorsi abbastanza lunghi, si impara a tramutare la violenza in sana aggressività positiva: capacità di difendere i propri progetti, posticipare la gratificazione, mantenere impegni con pazienza e fiducia in essi”, chiarisce la dottoressa Moro. Con un lungo lavoro cognitivo ed emotivo si impara a contenere la violenza, a comprenderne le cause e rendersi conto delle conseguenze.  I centri terapici contro la violenza, come ‘Medea’ a Milano, lavorano in questo senso, applicando differenze di genere perché la violenza femminile è specifica e diversa da quella maschile. A loro volta, ogni essere umano è diverso e rappresenta un caso specifico: amiamo in modo diverso, abbiamo esperienze infantili e familiari diverse e di conseguenza reagiamo in modo diverso alle situazioni. La violenza può avere mille facce, dall’abuso e sopruso fisico a più subdole umiliazione e costrizioni, e ciascun percorso riabilitativo deve tenerne conto.

esplosione violenzaIL PERCORSO COME VIOLENTO – Atti di violenza, comportamenti prevaricanti. La prima tappa è la conoscenza: “Attraverso un periodo iniziale si arriva a un quadro diagnostico – spiega la dottoressa Moro – così durante le prime sedute ci si rende conto se il paziente ha le risorse per affrontare la psicoterapia” e lo si fa indagando anche tutta la sua sfera relazionale famigliare e non, l’ambiente lavorativo, la sessualità, la scuola.”
“In seguito si analizza la domanda”, si cerca cioè di capire se la persona in questione è consapevole della situazione e per quale motivo ha iniziato la psicoterapia. “Quando non si può lavorare sulla responsabilizzazione e coscienza, si lavora in modo da far comprendere alla persona le conseguenze negative per lui stesso” come il carcere o la possibilità di denuncia. “Dopodiché si fanno scelte sempre diverse. Si può partire dal sogno, dal desiderio. Questo porta il paziente verso una maggiore indipendenza e la capacità di costruire progetti”. La cura della violenza allora sta nella realizzazione. Il percorso può essere lungo e diverso ma l’obiettivo è quello di incanalare la rabbia in un progetto futuro che ti apra aspettative e sogni per non ricadere nella frustrazione, nell’insoddisfazione che causa il malumore.

Seguendo le parole della dottoressa Franca Bo, psicologa e psicoterapeuta, analizziamo un esempio di terapia per la violenza. Luigi (nome fittizio ma corrispondente a una persona reale) picchia la fidanzata davanti a una frequentata stazione perché convinto fosse sulla strada verso casa dell’amante. In seguito alla condanna del giudice, si eseguono test per capire se il soggetto è capace di intendere e, in caso positivo, si inizia un percorso di cura. La terapia parte dall’evento lavorando anche sulla mentalizzazione: ovvero sul mettersi nei panni dell’altro. In questo caso alla psicoterapia si affianca la farmacologia, perché si riscontrano nel background del protagonista della vicenda crisi paranoiche di gelosia. “Spesso chi commette questi reati pur sembrando molto forte, non tollera la ferita narcisistica di non essere l’unico”. Si lavora anche sugli aspetti emozionali, seguendo sedute settimanali con l’obiettivo di incoraggiare alla comprensione della gravità del gesto. Nonostante ciò il soggetto continua ad avere deliri di gelosia per cui si decide in seduta finale di applicare un trattamento psichiatrico continuativo e imporre il divieto di avvicinarsi al nucleo famigliare. Non sempre a una cura, infatti, corrisponde una guarigione.

 

 di Giulia Moro

2 Commenti su Cosa devo fare se ho capito di essere violento?

  1. Camilla Roggeri // 6 dicembre 2017 a 13:02 // Rispondi

    Articolo molto interessante, che affronta un problema ahimè molto vasto e attuale con approfondimenti ben articolati e chiari. Complimenti all’autrice!

  2. C è una rete di aiuto anche a Napoli? Grazie

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