Giuseppe Verdi e la regina Vittoria: il diavolo e l’acqua santa
ACCETTAZIONE O REPULSIONE DI UN PERSONAGGIO PARTICOLARE COME GIUSEPPE VERDI IN EPOCA VITTORIANA?
Giuseppe Verdi e la regina Vittoria. Lui italiano, lei inglese. Coetanei. Vite parallele. Visioni opposte. Ma stesso anno di morte: quel lontano 1901.
Questo è stato l’argomento della conferenza tenutasi presso l’auditorium della Casa della Musica giovedì 30 Novembre 2017, intitolata “Verdi in Victorian London“, percorrendo l’opera omonima di Massimo Zicari.
La loro contrapposizione è notevole: da un lato c’è una regina molto puritana e rispettosa dei costumi, dall’altro un compositore carismatico ed anticonformista.
Per comprendere meglio ciò è necessario fare un breve excursus storico.
All’inizio dell’Ottocento in Inghilterra il massimo esponente teatrale era Gioacchino Rossini, dapprima contestato come ogni novità che arriva senza preavviso, poi accettato e considerato addirittura un modello per la sua bravura e particolarità.
Successivamente il trono inglese ha visto l’ascesa della regina Vittoria e notevoli sono stati i cambiamenti da lei apportati: un eccessivo rigore di costume e un’assoluta pudicizia hanno trasformato qualsiasi cosa ritenuta immorale in un tabù.
Tutto procedeva nella norma quando inaspettatamente è entrato in scena Giuseppe Verdi, contrastato fin da subito nelle pagine di numerosi giornali.
Henry Chorley del “The Atheneum” si è scagliato contro di lui a causa del profondo amore per la cultura passata e per l’ineguagliabile Rossini.
James Davison nel “The Musical World” ha fatto trasparire il suo nazionalismo ed amor di patria, promuovendo esclusivamente la musica inglese a vantaggio dell’italiana.
Col tempo però questa novità è stata metabolizzata e finalmente Giuseppe Verdi ha potuto godere del successo, della fama e della considerazione da parte del pubblico londinese, tutto ciò a partire dagli anni ’70.
Una figura rassicurante, un modello, un “santo” da venerare.
Tutti parlavano di lui. Le riviste hanno inserito appendici, immagini, ritratti, elenchi con tutte le sue 27 opere, ma hanno avuto l’onore di essere rappresentate solamente in poche.
Non solo dunque i quotidiani musicali, ma addirittura quelli scientifici gli hanno puntato fin da subito i riflettori contro.
Questa fama è rimasta anche post mortem, quando sono stati eretti numerosi monumenti in suo onore e attraverso la considerazione di tutte quelle opere ritenute per lungo tempo secondarie.
Il fatto più eclatante però è legato all’accettazione finale de “La traviata”, rappresentata per la prima volta nel 1853. Dietro c’è il testo di Alexandre Dumas “La signora delle camelie”, censurato in quegli stessi anni per la trama, considerata immorale rispetto ai principi del “vittorianesimo”.
Le contestazioni primarie nei confronti dell’opera verdiana erano due: da un lato non si accettavano le cantanti, di cui si dubitava spesso la moralità per la loro presenza scenica e per la professione in sé, ritenuta ai tempi scandalistica. Dall’altro c’era la scelta della protagonista, una prostituta francese.
Ma soprattutto… perché Dumas era stato inserito nella dispregiativa “Scuola satanica francese” e Verdi, alla fine dei conti, era stato accettato?
La risposta è molto semplice: la scena che aveva suscitato grande scalpore, quella in cui Alfredo lanciava del denaro a Violetta per risarcirla del vitto e alloggio che gli aveva offerto, è stata ritoccata.
L’uomo ha iniziato a lanciare qualcosa di innocuo alla donna e gli inglesi, che assistevano allo spettacolo senza comprendere una singola parola in lingua italiana, non associavano più quel gesto al pagamento di una prostituta.
Per questo motivo ha avuto grande successo nella Londra perbenista, però non sono mancate certamente accuse di “traviatismo” o immoralità.
Da sempre, in ogni epoca, si sono lodate e criticate le persone che si sono distinte dalla massa e Verdi ne è stato la prova.
Di Francesca Acquaroli
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