Killfie: una morte da 1 milione di like

E TU FINO A DOVE TI SPINGERESTI PER UN SELFIE?

virale o vitale (2)Salire sul grattacielo più alto. Perdere l’equilibrio. Cadere. Tutto per scattare il selfie perfetto. Secondo lo studio ‘Me, Myself and my Killfie” –  svolto dalla Carnegie Mellon University negli Usa e l’Indraprastha Institude of Information Technology in India – sono 127 le morti dovute ai selfie avvenute da marzo 2014 a settembre 2016, oltre ai numerosi casi di persone ferite. Ma cos’è un selfie? Per chi ancora non lo sapesse – secondo il dizionario Treccani – il selfie è un “autoritratto fotografico generalmente fatto con uno smartphone o una webcam e poi condiviso nei siti di relazione sociale”. Una pratica che però è sfuggita di mano. Fare una fotografia per ricordarsi di un luogo visitato non è più sufficiente. Bisogna immortalare anche il piatto della colazione, l’outfit che si indossa a una festa, il bacio dato ‘spontaneamente’ al fidanzato. E quando pure fotografare e postare online momenti quotidiani della vita privata non basta più, allora si passa ancora oltre. Forse troppo oltre. Oggi infatti anche il selfie con il piatto di una cena in un ristorante di lusso non è più tanto ‘di moda’. L’ultima tendenza è rappresentata dai cosiddetti selfie estremi. Oggi certamente rispetto a qualche anno fa, il numero di persone che muoiono facendo un selfie estremo è in aumento.

Non sapete con chi fare il vostro selfie oggi? Beh c’è lui ovviamente, il signor squalo che non aspettava altro che diventare famoso su Instagram. Ma se non vi piacciono gli squali ci sono sempre tanti altri animali: tigri, elefanti. Avete solo l’imbarazzo della scelta. E se non siete nemmeno amanti degli animali non disperate, ci sono tanti altri modi di morire facendo un selfie. La maggior parte delle persone morte facendosi un selfie infatti sono cadute da elevate altezze, come ad esempio i grattacieli. Poi ci sono quelle morte per annegamento, e quelle investite da un treno in corsa. E ancora ci sono quelle che muoiono fotografandosi con un’arma da fuoco.

Dal romanticismo, al surrealismo, al selfie. Gli artisti del 21esimo secolo stanno diventando forse i selfisti? Se un tempo per essere considerati artisti bisognava possedere delle grandi doti artistiche e un talento innato, oggi paradossalmente è sufficiente avere uno smartphone. Ed è subito una ‘gara’. Una gara a chi fa lo scatto più bello, a chi ottiene più ‘mi piace’, a chi ha più followers. Il premio? L’apprezzamento di sconosciuti seguaci virtuali. Ma cosa c’è alla base di questa eccessiva corsa verso la fama virtuale? In principio vi è il bisogno di ammirazione. L’uomo è – come oramai noto – un animale sociale e in quanto tale ha bisogno di continue conferme dal mondo che lo circonda. Ovviamente non c’è nulla di male nel desiderare l’ammirazione e la stima degli altri, chi non lo fa? Il problema però è quando questo desiderio diventa ossessione.

Quando la propria vita e la propria felicità dipendono da come sta andando la propria vita virtuale. Quando la virtualità divora la realtà, quando le ore del giorno soccombono sotto il numero di like e le ore di sonno si sprecano controllando le notifiche. Quando l’account diventa vivo e la persona vive solo per servirlo. Quando si muore per fare una foto. Questo è il punto in cui il bisogno di ammirazione diventa ossessivo e nocivo per la persona. Quando si nota di essere arrivati a questo punto la cosa migliore da fare è fare un passo indietro. Riappropiarsi della propria vita e usare i social media con moderazione e, quando necessario, farsi aiutare. Ma soprattutto prima di fare un selfie porsi una domanda: sarà virale o letale? Se esiste anche solo l’1% di probabilità che sia letale allora lasciate perdere, non ne vale la pena.

 

di Yara Al Zaitr

 

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