“Libere dal Voodoo”: parlano le vittime di tratta salvate dalla Praise House di Parma

"CI SONO RAGAZZI E RAGAZZE CHE PIANGONO TUTTI I GIORNI PERCHÈ NON VORREBBERO SPACCIARE DROGA O PROSTITUIRSI"

Ha compiuto un anno la ‘Praise House’, la prima casa di accoglienza di “migranti per migranti”. Sorta a Corcagnano, il 23 settembre 2017, la ‘Praise House è una casa di accoglienza per donne in difficoltà, vittime di tratta e violenze, completamente curata e ideata dalla comunità nigeriana di Parma. Questo rifugio è nato con lo scopo di superare gli ostacoli dell’integrazione. Lo scorso sabato 13 ottobre l’associazione e il progetto di accoglienza degli “accolti che accolgono” hanno compiuto un anno e nella sede della ‘Festival of praise and care‘, nell’ex quartiere Salaminiè stata festa con le ospiti, i volontari e i tanti amici vicini al progetto.

La casa ospita fino a sei donne, che hanno alle spalle storie difficili, fatte di abusi fisici e psicologici, vittime di tratta e costrette a sofferenze inimmaginabili, mentre sognavano una vita migliore al di là del mare. Ci sono tante voci che si possono ascoltare provenire da quella casa. Storie diverse ma legate tra loro da un luogo, questo rifugio dall’incredibile umanità, che ha cambiato nel loro possibilità il futuro di queste giovani donne.

 

IL VIAGGIO VERSO L’ITALIA DI SHANI E NIA- Shani e Nia (i nomi sono di fantasia per garantire la privacy delle ragazze) vivono da un anno nella Praise House, hanno rispettivamente 21 e 22 anni e sono entrambe nate a Lagos, la più grande città della Nigeria. Sono arrivate in Italia tre anni fa, in un Paese che credevano avrebbe dato loro una vita migliore. “Ero affascinata dall’Europa e dall’Italia, dalla loro storia e dalla bellezza delle loro città. La prima volta che ho visto una città italiana mi sono detta: voglio vivere qua – racconta Shani – ma quella che credevo fosse una scelta, ora ho capito essere una prigione”.

Anche per Nia l’Italia rappresentava un luogo di speranza, lei infatti ha deciso di intraprendere il lungo viaggio, da sola, a soli 17 anni, con l’intento di studiare e aiutare i propri fratelli: “In Nigeria avevo tanti problemi, ero senza genitori, sola con i miei fratelli, era molto difficile vivere”.

Il viaggio per entrambe è stato un inferno, giorni e giorni senza acqua, cibo e vestiti: “Per tutta la durata del viaggio – racconta Shani – sono stata picchiata e violentata da chi ci accompagnava, dormivamo e ci svegliavamo ed eravamo sempre in viaggio. Molti sono morti nel deserto ancor prima di arrivare in Libia”. Ed è proprio la Libia il luogo in cui spesso si decide il destino dei migranti: “La polizia libica mi ha arrestato – continua – loro controllano i viaggiatori. Io ero vestita da musulmana ma hanno capito subito che non ero una semplice cittadina in viaggio e mi hanno portato in prigione. Qua sono rimasta per due giorni, senza cibo né acqua, prima di svenire ed essere trasportata in ospedale. Una volta ripresa, sono stata venduta a qualcuno dalla Polizia“. Le ragazze, una volta in Libia, spesso rimangono per lunghi periodo di tempo nelle ‘Connection House‘, veri e propri bordelli. “Le più fortunate rimangono lì uno o due mesi, ma qualcuna aspetta anche un anno prima di imbarcarsi – continua Nia – Si viene vendute continuamente, una volta comprate se non si ha soldi con sé si viene rivendute ancora e ancora”.

Alla fine i più fortunati arrivano al mare, inizia l’attraversata del Mediterraneo sognando l’arrivo dei soccorritori. “Sono stata in mare due giorni – dice Shani – i soccorritori sono arrivati e mi hanno salvata, ma non tutti hanno questa fortuna. Per alcuni l’attesa è molto più lunga perché le navi sono piccole e si riempiono subito, così c’è chi deve aspettare ore e ore in acqua, anche un giorno, prima di essere salvato, e tante persone muoiono aspettando; nel mio viaggio infatti sono morte 150 persone“.

L’ARRIVO IN ITALIA E L’INIZIO DEI RICATTI – Una volta giunte in Italia, le ragazze hanno ricevuto cibo e indumenti, ma dopo due mesi arriva il momento di pagare il viaggio. “Mi ha chiamata la persona che ha pagato il viaggio per l’Italia, dovevo iniziare a lavorare per restituire i soldi – racconta Shani – queste persone si chiamano ‘Madame’ o ‘Boss’, a seconda del sesso, e per un anno ho fatto questa vita”. L’unico lavoro cui è permesso fare è la prostituta, per le ragazze prostituirsi è l’unica via per poter pagare queste persone che le tengono in pugno. Ma non è solo una questione economica: è molto più complicata, si fonda su basi culturali e convinzioni religiose. Durante la detenzione in Libia, infatti, sia le ragazze che i ragazzi, vengono costretti a compiere un giuramento, un vero e proprio patto di sangue al cospetto di stregoni fatto di suggestioni e riti voodoo.

I ragazzi e le ragazze vengono costretti a lasciare qualcosa di personale allo stregone: sangue, unghie, capelli, oppure una foto o un ciondolo; e a giurare di essere fedeli ai loro ‘padroni’. Con l’inganno le ragazze verranno obbligate a prostituirsi, mentre i ragazzi, quasi sempre, verranno assoldati nello spaccio di droga.

Per chi non è all’interno di queste dinamiche è estremamente difficile capire quanto sia forte e profondo questo giuramento, non si tratta di un qualcosa di meramente simbolico. Dalle testimonianza di Shani e Nia e di alcune responsabili della Praise House si evince che il soltanto parlare di questo patto provochi ansia, forti dolori e in alcuni casi svenimenti nelle vittime. I ragazzi che subiscono questo ‘legame’ temono possibili rivendicazioni, ripercussioni sulla loro mente che va aldilà dell’immaginabile.

Ci sono dei ragazzi che piangono tutti i giorni perché non vorrebbero spacciare droga, ma purtroppo non hanno la forza e il coraggio di uscire da questa spirale” racconta Irene, una delle educatrici delle ragazze. Proprio su questo fa leva chi gestisce il racket della droga o lo tratta delle donne: “Manodopera facile a costo zero, che genera soldi, reinvestiti poi in parte per ‘comprare’  i sogni di una vita migliore di altri giovanissimi , alimentando così un circolo vizioso che sembra non avere fine”.

L’AIUTO DI CHI È STATO AIUTATO- “Uscire da questa situazione è molto difficile, ci vuole tantissima forza di volontà ma sopratutto un aiuto”. Un tipo di aiuto spirituale prima di tutto, che attraverso un lungo percorso può portare ad annullare il giuramento. In questo senso è estremamente importante il lavoro svolto dalla chiesa pentecostale e delle figure delle ‘counselor spirituali’. Fondamentale, perché altrimenti le ragazze e i ragazzi non riescono a superare i blocchi psicologici e a raccontare la loro storia; fino a poco tempo fa non era una cosa scontata: “Ora, con il passare del tempo, quasi tutte le associazioni che aiutano queste ragazze, hanno capito l’importanza di questo tipo di percorso – spiega Irene, responsabile nella Praise House – da quando sono stati coinvolti i pastori ecclesiastici la situazione è molto migliorata“. Si può dunque intuire come, a portare il successo di questa associazione, sia il fatto che a gestirla sia la stessa comunità nigeriana cittadina, anche se dietro alla collaborazione del Comune di Parma. Persone che ben comprendono la cultura alla base di questi giuramenti e delle paure che ne conseguono.

Una svolta importante in questo senso si è avuta ad inizio anno, quando Ewuare II, sovrano di uno Stato del sud della Nigeria e massima autorità religiosa locale, conosciuta come ‘oba’, ha celebrato un rito contro chiunque promuovesse l’immigrazione illegale: in questo modo ha eliminato ufficialmente annullato i riti voodoo che vincolavano alla schiavitù sessuale le donne vittime della tratta di esseri umani in altri paesi.  “Questo è stata una spinta in più per le ragazze a cambiare vita – spiega Irene – libere dal giuramento hanno trovato il coraggio di andare avanti; il numero di ragazze che sono entrate in case di protezione e accoglienza è aumentato di circa il 50% dopo l’annuncio del capo supremo“.

LA RINASCITA- “Quando sono iniziati i ricatti io mi sono rifiutata di lavorare per lororacconta Nia – sono stata nei centri di accoglienza a Bologna e poi nella casa di Baganzola. Infine l’associazione Lunaria mi ha portato qui, nella sede dell’associazione Festival of Praise and Care, per pregare”.

L’esperienza di Shani, invece, è diversa, lei ha trovato il coraggio di raccontare la propria storia soltanto dopo molto tempo e indelebili sono state le esperienze vissute sulla strada, dove oltre a persone meschine ha conosciuto anche chi ha intravisto per lei una speranza, spronandola ad uscire dalla prigionia. La vita di Nia e Shani è cambiata radicalmente da quando sono entrate a contatto con la ‘Praise House’. E ora anche le ragazze riescono anche a sorridere a chi le intervista facendole ricordare i momenti più bui. Sorridono come dovrebbero fare tutte le ventenni.

“L’anno trascorso nella Praise House è stato splendido per loro” racconta con un po’ di emozione Irene. E’ trascorso veloce, tanto che Nia perde il conto dei mesi passati: “Pensavo fossero passati otto mesi, invece è già un anno, il tempo è volato”. Per le ragazze è come essere in famiglia, sono ormai come delle figlie per le educatrici. “La prima regola è che si dorme sempre a casa, alle otto dobbiamo rientrare, ma anche questa è una cosa positiva” commenta compiaciuta Shani.

Ora possono vivere una vita normale, entrambe vanno a scuola, entrambe pensano alla loro carriera lavorativa. Shani studia per diventare estetista ma nasconde una passione: “Un giorno mi piacerebbe diventare una giornalista, magari…“. Nia invece non ha ancora le idee chiare, per il momento vuole solo fare del proprio meglio  a scuola e imparare a parlare correttamente in italiano, il poi “si vedrà”.

 

di Pierandrea Usai e Riccardo Tonelli

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