Il mobbing, la truffa dei figli, la pensione insufficiente: la storia di P.

UNA DONNA INTRAPPOLATA IN PROVINCIA DI REGGIO CHIEDE AIUTO PER TORNARE A PARMA

Mobbing‘; una parola che sicuramente molti di voi avranno già sentito nominare. In ambito lavorativo, definisce una forma di pressione psicologica esercitata attraverso ripetuti comportamenti vessatori da parte di colleghi o superiori. In poche parole, un atteggiamento che impedisce alla vittima di lavorare o di svolgere serenamente la propria attività ma che spesso però viene preso sottogamba semplicemente perché non ritenuto eccessivamente grave. E’ così che molte vittime di mobbing non vengono ascoltate e aiutate da nessuno.

Una di queste è Patrizia, nome di fantasia per una signora nata a Parma che ha da poco superato i 60 anni di età, e che ha deciso di non tacere testimoniando la sua esperienza affinché qualcuno la possa aiutare.
Dieci anni anni fa, mentre lavorava come educatrice d’infanzia in un asilo nido, si accorse che una sua collega maltrattava fisicamente e psicologicamente i bambini, spaventandoli e facendoli piangere. Patrizia decise di parlarne alla pedagogista che dirigeva la struttura. Fu così che la sua la sua collega cominciò a metterla contro tutti, fino a obbligarla a dare le dimissioni. In seguito a questo avvenimento Patrizia visse un periodo di completa depressione, vulnerabilità e fragilità, che si aggravò quando subì un imbroglio da parte dei suoi parenti più stretti e di cui si fidava ciecamente. E’ così che oggi Patrizia si trova intrappolata in un paesino in provincia di Reggio Emilia e con meno di 500 euro al mese. 

In che modo ha subito mobbing sul lavoro? 

“Una mia collega era molto aggressiva con i bambini sia psicologicamente che materialmente e quando ne ho parlato con la pedagogista, lei ha cominciato a complottare contro di me e a mettermi contro le altre colleghe. Mi facevano lavorare molto meno, mi hanno tolto la mia sezione che avevo a tempo indeterminato e mi avevano rimesso alle supplenze. Un esempio: alle 7 del mattino, al piano terra, quando dovevo sia accogliere i bambini con i genitori sia tenere d’occhio gli altri bambini già arrivati, loro apposta mi aprivano le porte facendo scappare i piccoli.
Alla fine non ce l’ho fatta e ho litigato: sono stata veramente male per tutta la situazione, per tutto questo menefreghismo e per l’aggressività nei confronti dei bambini.

Esattamente che tipo di maltrattamento infliggeva ai bambini la sua collega?

“Imboccava i bambini facendo ingoiare con forza quando non avevano nessuna voglia di mangiare, li sbatteva e urlava loro contro facendoli piangere. Schiaffi o sculaccioni non ne dava, però comunque la violenza c’era.”

Come si è trovata nel nuovo paese?   

“Qui non ci sono mezzi pubblici, quindi sono completamente isolata, non ho amicizie e ho bisogno per forza di una macchina per spostarmi. Però non lavoro e la pensione di invalidità che prendo ora è insufficiente per vivere. Sono anni che vivo con 500 euro al mese e, da uno, con solo 200. Da molto tempo chiedo di tornare a Parma, dove potrei risparmiare i soldi di un’auto.”

Pensione di invalidità?

“Soffro di diverse patologie tra cui una chiamata ‘fibromialgia’ che può dare diversi disturbi e tanto dolore, quando vengo a Parma a volte mi stanco talmente tanto che poi non sono in grado di guidare per tornare a casa.”

Torniamo al mobbing: ha denunciato?

“Ne ho parlato con il medico e per lui si trattava di mobbing, mentre per i sindacati non lo era. Purtroppo il mio grande sbaglio è stato non aver fatto subito la denuncia ai carabinieri, ma non volevo dare ai genitori il dispiacere di far sapere che i loro bimbi non erano al sicuro e così, siccome mi fidavo della pedagogista, ho parlato con lei.”

Come è cambiata la sua vita dopo le dimissioni? 

“Sono stata diversi anni molto male, con una depressione molto forte, un po’ per aver perso il lavoro e un po’ per ciò che ho subito. Nel frattempo, ero rimasta sola con ancora una parte di mutuo da pagare, i miei figli erano andati a vivere per conto loro. Finché mia figlia mi ha in un certo qual modo indotto a venderla per comprarne una più piccola, quella dove abito tuttora. La nuova casa doveva essere intestata ad entrambi i miei figli, ed in cambio della mia quota, io ci avevo investito tutto ciò che avevo ossia ¾ del costo, avrei dovuto averne l’usufrutto. E’ così che mi sono completamente disinteressata della faccenda della casa di Parma dove abitavo prima, che mia figlia mi ha in un certo qual modo indotto a venderle per comprare quella dove abito tuttora perché io non riuscivo più a pagare il mutuo.”

E poi?

“L’anno scorso, dopo anni che chiedevo di ritornare a Parma, quando ho chiesto i documenti dell’usufrutto con il quale avrei potuto tornare a vivere in città per trovare lavoro, per socializzare di nuovo con le mie amiche e, in parole povere, per rifarmi una vita, ho scoperto che in realtà non avevo in mano nulla, la casa è di proprietà solo di mia figlia e mio genero mi ha pure risposto in un certo modo…. Quindi ho chiesto a mia figlia di concedermi quello che mi aveva fatto credere di avere, che era mio diritto, o almeno la restituzione dei soldi che ho investito, ma mi è stato risposto che la casa era loro e che io vivevo grazie a loro.”

Perché crede che sua figlia abbia agito in questo modo? 

“Il motivo vero e proprio non lo so, però so che io mi fidavo ciecamente di mia figlia, non avrei mai pensato a una cosa del genere. Io sono stata un genitore unico da quando i miei figli erano piccoli, il loro padre non ha mai contribuito. Eppure in 10 anni non mi hanno mai lasciato per più di 10 minuti le mie nipotine, anche se tra di noi c’è un legame affettivo molto forte, perché venivo considerata “la nonna povera” e quindi inaffidabile. Mio genero in un certo senso ha manipolato mia figlia, anche se sicuramente sarà d’accordo pure lei. Per tanti anni lei mi diceva “si adesso vediamo cosa si può fare“, però ogni volta tirava fuori scuse così da posticipare il problema e io ho vissuto in questi 10 anni riempiendomi di debiti con la banca per poter vivere.”

E adesso?

“A settembre dell’anno scorso mi sono rivolta a un mio amico, che è avvocato, il quale ha inviato una lettera ai miei figli dicendo che io avevo bisogno del mantenimento che spetta ai genitori quando sono in difficoltà e per quanto riguarda mia figlia avevo richiesto l’usufrutto della casa dove vivevo. Mia figlia ha risposto negativamente a tutto, non era disposta a concedermi nulla. Così è cominciata la causa. Alla prima udienza, a settembre, il giudice ha chiesto se potevamo metterci d’accordo e loro mi hanno proposto un appartamento in comodato d’uso qua in città non lo posso accettare perché col comodato d’uso ti possono cacciare dalla sera alla mattina. Ma soprattutto ho bisogno di riprendere le redini della mia vita, vivere con ciò che mi sono guadagnata, non posso più tollerare tante umiliazioni.

La seconda udienza si è tenuta lo scorso 25 ottobre: “Purtroppo non si è concluso niente, quindi il giudice ha stabilito un altro incontro dove io e mia figlia ci dobbiamo confrontare davanti al magistrato, a febbraio”

Patrizia, che vorrebbe tanto uscire da questo buco nero, chiede gentilmente una mano da parte di tutti. Se qualcuno fosse interessato contatti la redazione ParmAteneo.

 

di Silvia Motzo

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