‘Pentcho’ di Stefano Cattini vince il primo premio al Festival dei Popoli

SULLE TRACCE DI UN VIAGGIO IN FUGA DALLA SHOA, UN FILM PER “GUARDARE AVANTI”

“Ancora oggi Anci non sa se ringraziare la Fortuna, o quello stesso Dio a cui, in fondo, non ha mai creduto. In attesa di risolvere il dubbio è arrivato a 95 anni.”

Una frase autentica come la storia da cui proviene. È tratta dal nuovo film di Stefano Cattini, ‘Pentcho’ (Italia/Gran Bretagna 2018), vincitore al Festival dei Popoli di Firenze 2018 del Primo Premio ‘Gli Imperdibili’ e Menzione Speciale del Premio ‘Lo sguardo dell’altro. La sfida del dialogo tra culture e religioni’, assegnato dall’Istituto Sangalli per la Storia e le Culture Religiose di Firenze.
Il documentarista parmigiano, lo scorso 5 novembre, ha presentato alla 59° edizione del prestigioso festival il suo docu-film: la storia del viaggio di 514 persone – tra cechi, slovacchi, polacchi – per 6 mesi stipate in un vecchio rimorchiatore. Per 4 anni hanno vagato per l’Europa prima di raggiungere quella che avrebbero potuto chiamare casa, la Palestina. Il Pentcho è stata l’ultima imbarcazione a salpare dalla Slovacchia, l’8 maggio 1940, nel tentativo di sottrarre un gruppo di ebrei alla follia del Nazismo.

Menzione Speciale

Menzione Speciale

‘Pentcho’ è un film sulla Shoah, ma non sullo sterminio. Narra del campo di internamento calabrese di Ferramonti, ma non di morte. Si tratta di uno dei pochi esempi positivi in cui l’uomo – in questo caso la Marina Militare italiana – ha disobbedito agli ordini per nascondere e salvare. Parla di viaggio, “di perseveranza” e di perpetrazione della vita nonostante tutto; di esistenze cambiate irreversibilmente, di sopravvissuti che hanno insegnato ai propri figli umiltà, caparbietà e fede semplicemente nella vita. Stefano Cattini racconta per immagini un’avventura quasi impossibile. Con le testimonianze dei superstiti o dei loro figli, spesso per anni inconsapevoli della vicenda divenuta impenetrabile tabù, riesce a far immaginare il viaggio di una nave persa negli abissi, ripercorrendone l’itinerario: da Bratislava, lungo il Danubio, al Mar Nero e attraverso lo stretto dei Dardanelli fino all’Egeo.

Fotogramma del film

Fotogramma del film

Cattini ci fa salire sul Pentcho, focalizzando l’obiettivo sui ‘buoni’ piuttosto che sui ‘cattivi’, facendoci entrare in empatia con loro. Mettendoci al fianco di chi fugge, racconta la Shoah da un’angolatura nuova e imprevista, senza commento né retorica, con una lucida ricostruzione ed esposizione dei fatti. Tra i vari personaggi Karl domina la scena diventando, da intervistato, intervistatore. E vive mille vite. La sua e quelle di tutti i sopravvissuti, che incontra con Stefano, o di cui ha vecchie registrazioni video, gelosamente conservate in attesa che qualcuno si interessasse a questa storia. A storie che sono diventate tutte un po’ sue. Ed emerge che “l’uomo, quando opera per il bene e la bellezza, ha potenzialità immense”, come ha spiegato il regista. “È una storia importante, che mi ha attratto subito e che valeva la pena di essere raccontata.”
Pur essendo realizzata attraverso un flusso di parole continuo, non pretende di impartire una lezione di storia. “Nel lungo periodo di realizzazione ho visto segni sempre più chiari di un ritorno al fascismo in Italia e non volevo fare passare un messaggio buonista”, ha aggiunto. “Da Karl vorrei aver imparato a guardare soprattutto avanti. Quando gli chiedevo, ‘Karl, perché hai fatto questo o perché quello?’ Mi rispondeva ‘Stefano, si deve fare qualche cosa!’ La trovo una bella risposta.”

Stefano Cattini al Festival dei Popoli

Stefano Cattini al Festival dei Popoli

Rispetto al suo stile, con ‘Pentcho’ Cattini cambia prospettiva. Nei lavori precedenti l’occhio osservatore era neutrale e discreto nell’accostarsi delicatamente ai soggetti senza invadere lo spazio – muto come i bambini ritratti in ‘L’isola dei sordobimbi’ (2014), musicale come la natura pervasiva de ‘L’ora blu’ (2013) –, con una narrazione per asindeto senza commento registico. Qui rivoluziona l’approccio alla materia trattata, apostrofa direttamente i protagonisti, prende posizione ed entra in campo, in tutti i sensi. La sua presenza è determinante per far emergere la vicenda, delicata e complessa, che è in realtà un’unione di tante storie: vite diverse che si sono ritrovate a percorrere lo stesso binario, per un tempo breve ma folgorante, che le avrebbe accomunate per sempre. Il processo narrativo procede per accumulo di ricordi, come un flusso in cui ogni intervistato aggiunge il proprio pezzetto, non necessariamente coerente, al grande mosaico di memoria condivisa.
“Ho imparato solo durante il percorso che film stavo facendo”, ha affermato il regista. “Quando capita di impiegare anni per finire un film, si può scoprire che il mondo della partenza è molto diverso da quello dell’arrivo. Quattro anni o forse più. Un viaggio lungo come quello del ‘Pentcho’. Il viaggio del film e quello della nave. Un tempo breve se ti volti indietro, ma infinito mentre lo vivi. Il tempo che serve per raggiungere una meta, e poi scoprire che come sempre, è soltanto una tappa.”

Il regista Stefano Cattini in un'intervista durante le riprese

Il regista Stefano Cattini in un’intervista durante le riprese

Proprio per questo risulta fondamentale la scelta di direzionare il narrato, sia dentro che fuori lo schermo: svolgere le interviste e guidare lo spettatore con la propria voce è determinante quanto la selezione del materiale raccolto, dal potenziale filmico infinito. Maneggiare un tema che implica visioni, commenti e vicende, che avrebbero potuto scatenare la narrazione con forza centrifuga, è indice di un’evoluzione stilistica quasi obbligata; forse dalla storia in sé, forse dalla decisione stessa di raccontarla. Nei lavori precedenti i temi avevano contorni ben definiti, venivano sviscerati e presentati senza commento, senza possibilità di fuga. Ora da un unico grande contenitore ne emergono molti altri, come gas a pressione che tentano di fluttuare liberi, di trascinare via dalla strada segnata. E la potenza del film di Stefano Cattini è proprio questa: riuscire a mostrarli, senza sguinzagliarli tutti, arrivando fino alla fine di una storia che ha una possibilità di approfondimento esponenziale. Ma Cattini resiste alla tentazione e riesce a trattenere i venti nell’otre di Eolo, dal Danubio all’Egeo, senza perdere la rotta.

 

di Duna Viezzoli

Pentcho_trailer IT from Doruntina Film on Vimeo.

3 Commenti su ‘Pentcho’ di Stefano Cattini vince il primo premio al Festival dei Popoli

  1. Mi e’piaciuta molto la prospettiva per raccontare ka shoa. Esiste un testo che racconta l a storia della Pentcho, o sarebbe possibile fare della sceneggiatura una trasposizione per un racconto teatrale?Grazie. Manuela . muelasanna@gmail.com

  2. Giuseppe Campellone // 29 gennaio 2019 a 10:41 // Rispondi

    Dove o come è possibile vedere questo Pentcho? Grazie, Giuseppe Campellone

  3. Bello e commovente soprattutto per me che sono figlia un ex internato a Ferramonti. Grazie al regista per aver affrontato questa tragedia in maniera così delicata.

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