Rieducazione ed istruzione: nasce il Polo Universitario Penitenziario

UN PROGETTO PER DARE LA POSSIBILITÀ' AI DETENUTI DI PARTECIPARE AI CORSI UNIVERSITARI, ANCHE IN REGIME DI MASSIMA SICUREZZA

A Parma, in accordo tra l’Università e gli Studi Penitenziari di Parma, è stato inaugurato il primo Polo Universitario Penitenziario (PUP), un contesto di studio istituito per dare la possibilità ai detenuti di partecipare ai corsi universitari o continuare un percorso già iniziato. Tra futuri fruitori di questo progetto saranno vi saranno anche i detenuti in regime di massima sicurezza, primo nel suo genere. Si presenta, dunque, come una sorta di sfida particolare nel panorama nazionale e gli organizzatori sono d’accordo sul fatto che sia giusto dare loro una possibilità per integrarsi nella società civile.

AVVICINARE IL CARCERE ALLA CITTÀ – La presentazione del progetto, tenutasi il 4 dicembre presso la Sede del Consiglio dell’Ateneo, ha visto la partecipazione del Rettore Paolo Andrei, il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Francesco Basentini, il Direttore degli Istituti Penitenziari di Parma Carlo Berdini, il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna Antonietta Fiorillo, la Delegata del Rettore per i rapporti tra Università e carcere Vincenza Pellegrino, il Direttore Generale della Formazione del Ministero della Giustizia Riccardo Turrini Vita, il Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria per Emilia Romagna e Marche Gloria Manzelli, la docente di Diritto Costituzionale dell’Ateneo Veronica Valenti e la responsabile amministrativa dell’Ateneo per le attività negli Istituti Penitenziari, Annalisa Andreetti.

Il Rettore Andrei si è detto molto contento di questo progetto, sul quale stavano lavorando da qualche mese: “Già durante la consegna della laurea ad honorem a Don Ciotti, questi temi sono stati posti all’attenzione della comunità. Temi che per noi non sono nuovi ed è per questo che sono contento di arrivare oggi alla formalizzazione di tale intervento che sancisce una collaborazione anche al livello formale, oltre che istituzionale. Abbiamo sempre cercato di intravedere questo progetto con un fine fondamentale, ovvero riconoscere la dignità di tutte le persone, a seconda dei ruoli che coprono in un determinato momento“.

Questo sarà il primo protocollo in favore dei detenuti in massima sicurezza, a livello regionale, anche se tutti i membri sperano che questa iniziativa sia la prima di una lunga serie. Su questo è intervenuta la professoressa Gloria Manzelli: “Ho accettato questa sfida perchè va a dedicare i propri sforzi su una tipologia di detenuti per i quali c’è spesso una sorta di rassegnazione, dato che fuori dal carcere ci sono pochi progetti disponibili ad accoglierli a causa della loro cattiva reputazione. Per cui credo, a maggior ragione, che essere magnanimi con i nostri studenti, nonostante possano fare grande fatica, porterà a grandi risultati”.

La formazione e lo studio saranno le strade principali con cui valutare e dare uno strumento ai detenuti per cercare di cambiare positivamente la propria vita. Come ha affermato la Presidente Fiorillo: “È scorretto pensare che il trattamento complichi la sicurezza: se è fatto seriamente aiuta ad arrivare alla sicurezza. Dobbiamo dare ai detenuti la possibilità di farsi conoscere perché anche il carcere fa parte della società. Non è certo la parte migliore, ma non per questo deve essere rimossa. I problemi si risolvono affrontandoli. Si tratta di fare questo non solo per loro ma anche per la collettività; dobbiamo fare in modo che il detenuto, una volta uscito dal carcere, non commetta più reati”.

LA NUOVA SEDE – La nuova sede si inserisce all’interno della rete dei 27 poli già esistenti in altri atenei italiani che, tramite l’esempio dell’università di Torino, negli anni hanno avviato progetti analoghi per garantire il diritto allo studio universitario a studenti detenuti. La particolarità del nuovo Polo Penitenziario sta nell’accogliere studenti detenuti in regime di alta sicurezza, presentandosi quindi come una sfida particolare nel panorama nazionale. Oltre agli esami, alle sedute di laurea e agli incontri con i docenti, all’interno dell’Istituto verranno svolti incontri di orientamento e brevi cicli di lezioni in presenza di studenti detenuti e non, sempre nel totale rispetto delle condizioni di sorveglianza.

L’Università, dunque, si metterà a disposizione per funzioni di docenza, consulenza e supervisione delle attività di studio e di orientamento condotte negli Istituti penitenziari, e si impegnerà a fornire nei prossimi anni supporti culturali e didattici per lo studio dei detenuti, implementare l’accesso dall’esterno alle lezioni e ai materiali di studio con l’utilizzo di piattaforme informatiche, ad esplorare attivamente la possibilità di canali streaming, fornendo supporto allo studio dei detenuti con forme specifiche di tutoraggio, attraverso la selezione di figure in grado di svolgere in modo adeguato l’approfondimento dei programmi.

Da parte loro, gli Istituti Penitenziari cercheranno nei prossimi anni di fornire supporto organizzativo sulla base delle proprie funzioni: dall’allestimento di spazi per lo svolgimento delle attività, all’entrata dei tutor e dei docenti finalizzata allo studio e al sostenimento delle prove di valutazione; dalla concessione ai detenuti dello studio negli spazi appositi delle biblioteche per un numero di ore adeguato e più ampio di quelle previste, sino all’utilizzo delle piattaforme e-learning nelle forme consentite dalle istanze di sicurezza.

METODI DI RIEDUCAZIONE – Era il 19 maggio 2015 quando venne inserita la delega al Governo per la riforma dell’Ordinamento Penitenziario e il Ministro della Giustizia Andrea Orlando convocò addetti ai lavori ed esperti del settore, dando avvio agli Stati Generali dell’Esecuzione Penale. Diciotto tavoli di lavoro sui temi più importanti relativi alla detenzione. Circa duecento persone coinvolte, in un percorso che si concluse ufficialmente il 12 aprile 2016 e che avrebbe dovuto segnare l’inizio di un nuovo modo di vedere il carcere, anche da parte del potere esecutivo. Con l’entrata in vigore della legge n. 203 del 23 giugno 2017, la delega diventò norma ed il Parlamento affidò al Governo la riforma dell’Ordinamento Penitenziario, indicando i criteri da rispettare e gli istituti su cui intervenire. Come ha spiegato la professoressa Vincenza Pellegrino: “La forza del lavoro educativo che uno può svolgere è molto vasta ma, al di là di questo, gli Stati Generali affermano che il lavoro non è solo una questione di ore, ma è soprattutto la ‘forza della cultura’ che anima l’operato della polizia penitenziaria. Non esiste la differenza cattivo/buono. Tutti questi tentativi di rieducazione cambiano anche il carcere. Rieducazione vuol dire anche istruzione – continua la professoressa – ed è per questo che oggi abbiamo firmato l’apertura dell’istituto penitenziario, in modo da fare credere al detenuto che, nonostante tutto, può ancora cambiare“.

Primi ad essere convinti di questa possibilità di cambiare devono essere gli stessi detenuti, e su questo filtra ottimismo. “Tanti detenuti parlano del loro futuro, di quello che vogliono fare nella vita, della loro voglia di riallacciare i contatti con le loro famiglie, di studiare e manifestano questa loro voglia. Anche i poliziotti fanno parte di questo trattamento, quindi devono sentirsi responsabili del fatto che stanno accompagnando questa persona alla trasformazione. Tale sostegno, però, deve esserci anche nel momento in cui l’ormai ex-detenuto viene rilasciato, perché non è escluso che possa trovare enormi difficoltà a riambientarsi nella comunità”.

Sulla procedura di rieducazione da parte dei detenuti è intervenuta la psichiatra Maria Inglese, che molte volte ha lavorato a contatto diretto con i detenuti, osservando quindi ancora più da vicino la vita che questi ultimi conducono. Come afferma la psichiatra: “Un cambiamento può avvenire solo in maniera collettiva, non si può pretendere da una persona di cambiare; anzi dobbiamo essere in grado di accompagnarla in questo lungo percorso, nel quale è molto importante il modo in cui la si guarda in faccia. Noi operatori rappresentiamo una piccola parte dello stato ed è per questo che il nostro inter-faccia con un detenuto gioca un ruolo importante, perchè se lo guardiamo con negligenza, lo stesso faranno i cittadini quando il detenuto uscirà dal carcere. Inoltre, è importante anche il tono con cui ci si rivolge a quest ultimo e bisogna stare anche attenti alle parole. Dobbiamo fare in modo che il detenuto non si senta giudicato”.

di Mattia Celio

 

 

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