Come stiamo avvelenando l’aria? A Parma 42 giorni di sforamento

DAL TRAFFICO AL CIBO, L'INQUINAMENTO HA TANTE FONTI ED E' EMERGENZA PER LA SALUTE

Non esiste un solo agente inquinante, come non esiste una sola origine per le polveri sottili. Quando pensiamo all’inquinamento ci vengono in mente immagini di traffico, smog e gente con la mascherina che cerca di non inalare troppi agenti inquinanti. Ma ci sono altre fonti di inquinamento, tra cui alcune che mai penseremmo, come gli allevamenti intensivi o la sabbia del Sahara.

Mercoledì 12 dicembre presso il Centro Sant’Elisabetta del Campus Scienze e Tecnologie dell’Università di Parma si è tenuto un workshop sul tema delle emissioni di Particolato dai Motori a Combustione Interna, organizzato dal Centro Interdipartimentale per l’Energia e l’Ambiente (CIDEA) dell’Ateneo insieme alla sezione italiana SAE-NA della Society of Automotive Engineers-SAE americana. Tra gli ospiti, Stefano Cernuschi, del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano, Vanes Poluzzi e Marco Deserti, di ARPAE, Silvana Di Iorio, dell’Istituto Motori CNR di Napoli, Panayotis Dimopoulos Eggenschwiler, dell’EMPA, e Massimo Corradi, del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma. Da questo incontro è nata una riflessione più ampia sulle fonti di inquinanti meno note.

POLVERI SOTTILI – Le polveri sottili sono la prima cosa a cui pensiamo quando sentiamo parlare di inquinamento. Si classificano in base alla loro grandezza, più sono fini più sono dannose perchè riescono a penetrare più a fondo e, secondo alcuni studi, anche a trasportare gli agenti nocivi nel circolo sanguigno, causando grossi rischi per la nostra salute. Le PM10, le polveri che hanno un diametro uguale o inferiore a 10 millesimi di millimetro, un tempo erano considerate estremamente fini, ma oggi si conoscono anche le PM2.5 che sono molto più sottili e, di conseguenza, più dannose.

Nel nostro paese, l’area più critica per quanto riguarda questo tipo di inquinamento è la Pianura Padana che, insieme alla San Joaquin Valley in California e la zona intorno a Xi’an in Cina, è una delle tre aree al mondo più difficili da controllare. Questo è dovuto sia al suo alto tasso di industrializzazione e di urbanizzazione, sia alla conformazione, che crea una circolazione dell’aria invertita, che ne impedisce il ricambio. Di conseguenza, i livelli di polveri sottili sono molto elevati, soprattutto nei picchi giornalieri. In questa zona, infatti, rispettare i limiti imposti dall’OMS è molto difficile e spesso vengono superati, come le notizie di cronaca mostrano chiaramente. Recente è stato infatti il blocco del traffico nelle città dell’Emilia Romagna, che han visto per quasi una settimana livelli di PM10 superiori al limite raccomandabile per la salute.

A Parma, dal 1 gennaio ad oggi, i rilevamenti di PM10 superiori al limite giornaliero nella stazione di rilevamento della Cittadella sono stati 38, 42 invece nella stazione di rilevamento Montebello. I limiti fissati per cui è tollerato superare 50 µg/m3 è fissato al massimo a 35 volte in un anno. Queste piccole emergenze hanno comportato l’esecuzione di limitazioni ai veicoli più inquinanti come prevede il piano regionale. Ma questo basta? Le auto infatti non sono l’unica fonte di inquinamento.

CAUSE DI INQUINAMENTO- Sicuramente le fabbriche e il traffico sono due cause molto significative di inquinamento, ma non sono le uniche. Ad oggi, le emissioni residenziali non sono più trascurabili. Alcuni oggetti di uso comune per noi, come possono essere le piccole stufe elettriche che molti di noi accendono d’inverno, inquinano e anche molto. Nonostante questo dato sia ormai noto, non riusciamo a rinunciarci.

Ma ci sono anche cause meno conosciute, come la polvere del deserto del Sahara, l’aerosol marino e l’attività vulcanica. In particolare nelle zone meridionali del nostro paese, non molto lontane dal deserto, spesso il vento porta grandi quantità di sabbia, che causano picchi di PM10. Il problema dell’aerosol marino è invece non trascurabile nelle zone costiere, anche se la zona adriatica ne è meno influenzata, a causa della natura di quel mare, tendenzialmente calmo. Allo stesso modo, anche i vulcani sono fonte di inquinamento, che crea problemi nelle zone limitrofe.

Poichè si tratta di fenomeni naturali, che non possiamo controllare in alcun modo, l’unico modo che ci rimane per evitare che si innalzino i livelli delle PM10 in maniera eccessiva, è ridurre il più possibile l’inquinamento prodotto dall’uomo, per far sì che i fenomeni naturali non portino a superare i limiti.

GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI – Gli allevamenti intensivi minacciano il pianeta, anche se non molti ne sono consapevoli. “Il metano deriva dalla fermentazione nei processi digestivi di alcune specie animali e dalla trasformazione delle loro deiezioni; a queste, e al loro trattamento, è legato il protossido di azoto, mentre l’anidride carbonica viene dalle combustioni di tutta la filiera della carne. E poi, produzione e uso di fertilizzanti e pesticidi, trasporto, attività e le operazioni di mantenimento degli allevamenti, soprattutto quelli intensivi”. Questa spiegazione è stata data da Annamaria Procacci, consigliere nazionale dell’Enpa, nel 2015 durante un’intervista a Repubblica.

Emissioni per macrosettori in Emilia-Romagna (fonte: Arpa, 2010)

In Emilia-Romagna, gli allevamenti intensivi hanno un’influenza molto importante, come si può notare dal grafico, in cui le emissioni di questo tipo sono di colore viola. Sicuramente le eccellenze alimentari, come i salumi tipici, sono un grande elemento distintivo della regione, ma non sono privi di conseguenze. Per produrli sono necessari allevamenti intensivi, che permettano di mantenere alta la produzione. Ma molti animali equivalgono a grandissime quantità di consumo d’acqua. L’aspetto più pericoloso però riguarda le acque reflue e le deiezioni animali, che possono inquinare le falde acquifere, con pericolosi rischi per la salute. Ma non è tutto, le deiezioni animali sono infatti fonte di metano, il secondo gas responsabile dell’effetto serra dopo la CO2. La loro gestione, inoltre, insieme all’utilizzo di determinati fertilizzanti, provoca emissioni di protossido di azoto, gas responsabile sia dell’effetto serra che dell’assottigliamento dello strato di ozono. Non sono tuttavia solo gli animali ad ‘inquinare’. Il trasporto su ruote degli animali verso i macelli è fonte di inquinamento, come anche i macchinari utilizzati per la produzione di salumi e il trasporto del prodotto finito verso le fonti di distribuzione.

PAIR 2020 E SUPERSITO – L’Emilia Romagna per la qualità dell’aria ha attuato due progetti interessanti. Per studiare e ridurre le emissioni ci sono il progetto Supersito e il Piano Aria Integrato Regionale 2020.
Supersito prevede misurazioni tramite 5 stazioni di monitoraggio: 3 urbane (Parma, Bologna, Rimini), una di misura remota (Monte Cimone) e una in una zona rurale (San Pietro Capofiume). L’obiettivo è migliorare la conoscenza delle PM2.5, delle PM1 e delle PM0.1, ossia delle polveri fini e ultrafini, le più pericolose, sia in ambienti indoor sia outdoor. Ad oggi, sono state rese pubbliche molte relazioni che forniscono dati molto specifici sui singoli agenti inquinanti presenti in atmosfera. I dati del 2016 hanno mostrato come ci sia una forte omogeneità a livello regionale in termini di distribuzione spaziale delle principali specie chimiche nel PM2.5, che sembra avere le stesse origini principali, anche se con differente rilevanza: traffico di veicoli, combustione di biomassa, agricoltura, processi di ossidazione di gas o aerosol precedenti, trasporto di inquinanti a lungo raggio. Altre fonti, come il sale marino hanno una rilevanza minore.

Il PAIR2020 è invece un piano regionale in vigore dal 2017, con l’obiettivo di ottenere entro il 2020 una riduzione significativa dei principali inquinanti, rientrando nei limiti fissati dall’OMS e, di conseguenza, riducendo i pericoli per la salute dovuti alle polveri sottili.  Gli obiettivi, nello specifico, sono: salvaguardia della salute della popolazione, riduzione delle emissioni, uscita dalla logica dell’emergenza. Per raggiungere questi obiettivi, sono previste delle misure specifiche. Tra di esse, il rinnovo del parco autobus, con un potenziamento del trasporto pubblico locale del 10% e del servizio ferroviario del 20. Inoltre, altre due misure in programma sono: divieto di utilizzo dei camini ‘aperti’ o a bassa efficienza alimentati a legna sotto i 300 metri di altitudine da ottobre a marzo, l’obbligo di chiusura delle porte degli edifici con accesso al pubblico, per evitare dispersioni termiche e il divieto di utilizzo di impianti di climatizzazione invernale ed estiva negli spazi comuni degli edifici.

Questi due piani servono per la riduzione a lungo termine dell’inquinamento, ma, come si può intuire, nel quotidiano la misura più efficace per abbassare i livelli di polveri sottili nel breve periodo è il blocco del traffico, finchè i livelli non tornano sotto i limiti. Ma oltre a tutto questo, serve che ognuno di noi si sforzi per ridurre le proprie emissioni, per salvaguardare la salute di tutti.

I PERICOLI PER LA SALUTE – L’esposizione agli inquinanti, come è noto, è  associata ad una grande varietà di effetti pericolosi, nella maggior parte dei casi a carico dell’apparato respiratorio e di quello cardiovascolare. Solo una fetta ristretta della popolazione arriva ad avere effetti gravi dovuti all’inquinamento, di conseguenza il problema viene spesso sottostimato, nonostante numerosi studi mostrino la conseguenze dell’inquinamento.

A luglio 2013 la rivista Lancet Oncology ha pubblicato i risultati di uno studio condotto in 36 paesi per indagare la correlazione tra inquinamento e tumore ai polmoni. Ad ogni incremento di 5 microgrammi di PM2.5, il rischio aumenta del 18%. Mentre, ad ogni incremento di 10 microgrammi di PM10, cresce del 22%.

UNA QUESTIONE INTERNAZIONALE- Dati allarmanti, che ci spingono a interrogarci su cosa fare per risolvere il problema. Che si tratti si un’emergenza è ormai chiaro. Emergenza che non si può più risolvere solo a livello locale, ma necessita interventi a livello nazionale ed europeo. Si è chiusa di recente a Katowice in Polonia, la COP24, la conferenza sul cambiamento climatico organizzata dalle Nazioni Unite, a cui hanno partecipato i rappresentanti di 196 paesi. Dopo due settimane di negoziazioni sono state stabilite delle norme per mettere in pratica entro il 2020 le decisioni della COP21, la conferenza sul clima che si è tenuta a Parigi nel 2015. Nello specifico, sono stati decisi i criteri per misurare le emissioni di anidride carbonica e valutare come contrastare il cambiamento climatico nei singoli paesi. A questo proposito, è stato deciso come ogni paese, in base al proprio livello di sviluppo, dovrà ridurre le emissioni e su come i paesi più ricchi dovranno aiutare quelli più poveri a rispettare gli obiettivi.

Stando alle opinioni di alcuni osservatori, queste decisioni non sono sufficienti per affrontare il problema del cambiamento climatico. Secondo altri, invece, questi compromessi sono gli unici possibili, anche se non sufficienti. Al di là delle opinioni, è palese che si debba fare qualcosa a partire dalle abitudini quotidiane di ogni cittadino. Per vedere se le decisioni prese a Katowice aiuteranno a risolvere il problema o meno, bisognerà aspettare del tempo senza tuttavia rimanere inermi a guardare e aspettare che le imposizioni ci arrivino dall’alto.

di Lara Boreri

 

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