Nuove pietre d’inciampo per le vittime della Shoah

IL COMUNE DI PARMA POSA QUATTRO NUOVE PIETRE PER RICORDARE LE VITTIME DELLA PERSECUZIONE NAZIFASCISTA

Come ogni anno, il 27 gennaio, l’anniversario della liberazione di Auschwitz da parte delle truppe dell’Armata Rossa, il mondo si unisce nella commemorazione delle milioni di vittime della Shoah. Per il terzo anno consecutivo, il Comune di Parma scende in piazza per ricordare le proprie vittime con la posa di 4 nuove pietre d’inciampo: le prime, temporanee, sono state realizzate dagli studenti del Liceo d’Arte “Paolo Toschi”, e successivamente verranno sostituite da quelle dall’artista tedesco Gunter Demnig. Su quelle pietre non vi è solo un nome, ma la storia di uomini e donne che hanno dovuto subire l’odio e l’indifferenza del loro tempo.

L’UNICO SOPRAVVISSUTO – Tra i quattro commemorati, solo uno riuscì a sopravvivere alla persecuzione nazista, Samuel Spritzman, nato il 24 aprile 1904 a Chisinau, oggi capitale della Moldavia. Figlio di un medico, Elia, e di Adelaide Faiman, frequentò il liceo classico in lingua russa. A causa della sua religione ebraica e della condizione di apolide, poiché nato in una città russa contesa dalla Romania, fu rifiutato da tutte le università balcaniche e per questo, nel 1922, si trasferì a Parma per frequentare il biennio in ingegneria. Una volta terminati gli studi fu prima assunto dalla RIV, un’azienda metalmeccanica fondata nel 1906 da Roberto Incerti, dove fu a capo dell’ufficio relazioni con l’URSS, ed in seguito entrò a fare parte della NKDV, la polizia segreta sovietica. Lavorò in FIAT dal 1930 al 1937, anno in cui si trasferì a Milano presso la Magneti Marelli, specializzata nella produzione di motori e apparecchi elettrici, dove vi rimase fino 1939, quando fu licenziato a seguito dell’emanazione delle leggi razziali. Nel giugno del 1940 venne arrestato e incarcerato prima a Parma, in quanto ebreo straniero, e poi a Nepi, nel viterbese, ma la prigionia durò poco meno di un anno: fu liberato dietro pressione dell’ambasciata russa di Roma, dove lavorò per due mesi all’ufficio stampa, prima di essere nuovamente arrestato il 27 giugno, questa volta dall’OVRA (Opera vigilanza repressione antifascismo), in quanto non cittadino sovietico.

Dopo essere stato trasferito a Regina Coeli e poi a Corropoli, nel 1942, per motivi di salute e grazie all’intervento della segreteria di Stato vaticana, Spritzman riuscì a farsi trasferire a Parma come vigilato speciale, ma a seguito della firma dell’armistizio dell’8 settembre, iniziò il periodo più drammatico: arrestato dalle autorità tedesche e recluso nel campo di concentramento di Scipione, gli fu chiesto di collaborare per le organizzazioni dell’Asse come tecnico ed esperto, grazie alla sua conoscenza della lingua russa e tedesca. Proposta che Spritzman rifiutò categoricamente. Da qui iniziò un lungo viaggio di deportazione: dopo la prigionia a Bologna, fu trasferito a Verona insieme ad alcuni partigiani, coi quali fu incaricato di scavare bombe inesplose nella zona tra Verona e Mantova. Nel 1944 fu deportano prima nei campi di concentramento di Bolzano, poi di Merano e infine di Certosa, fino ad arrivare ad Auschwitz il 28 ottobre.

Secondo una testimonianza dello stesso Spritzman, delle quasi 200 persone che viaggiarono nel suo vagone, solo 59 superarono la selezione. Gli altri, essendo troppo pochi per le camere a gas, furono uccisi a colpi di arma da fuoco. Ricevette la matricola B-13735, e fu assegnato a Birkenau, al famigerato “block 11“, dove la Gestapo sottoponeva i detenuti politici a torture e, nei casi più estremi, alle esecuzioni.

Dopo una breve permanenza nella prigione di Breslau, fu trasferito prima al campo di eliminazione di Gross Rosen, e poi a Landeshut, fino all’arrivo dei russi la mattina del 9 maggio 1945. Sopravvissuto alla Shoah e alla deportazione, Spritzman rientrò in Italia nell’agosto dello stesso anno dove si sposò con Ada Tedeschi, anch’essa ebrea residente a Parma. Assieme si trasferirono a New York, dove Spritzman lavorò per vent’anni come ingegnere e riuscì ad acquisire la cittadinanza americana. Nel 1973 i due tornarono a Parma e Ada si riunì con il figlio avuto dal primo matrimonio, Roberto Klotz, mentre Samuel con sua zia, Riwka Candian Spritzman. Samuel Spritzman morirà nel 1982 nella sua casa in via Mascagni.

“L’INDIFFERENZA È IL PESO MORTO DELLA STORIA” – Così diceva il filosofo e giornalista Antonio Gramsci. Se si esclude l’impero romano, il Terzo Reich è passato alla storia come la forza che dominò la maggior parte dell’Europa nella storia dell’umanità. Ma alcuni decisero di non restare a guardare: è il caso di Luigi Longhi e di Ugo Franchini.

Luigi Longhi nacque l’8 marzo 1925 nella casa di famiglia, in via della Salute 46. Ultimo di sei fratelli, tra i quali vi era l’attivista antifascista Bruno, uno dei fondatori del Fronte della Gioventù, dopo avere frequentato la scuola tecnica venne assunto nel 1940 dalla società telefonica Timo (Telefoni Italia Medio Orientale), dove collaborò con una rete cospirativa opposta al regime, la SAP (Squadre di Azione Patriottica). Grazie alle sua abili capacità di intercettare le comunicazioni telefoniche, entrò in possesso di informazioni riservate utili al SIP (Servizio Informazione e Politica) e al SIM (Servizio Informazioni Militari). Oltre all’attività di intelligence, la rete organizzò anche una serie di azioni, tra cui quella del 15 luglio 1944 alla caserma Passo Buole del Comando Provinciale Militare finalizzata al recupero di armi.

Il 21 agosto Luigi venne arrestato insieme ad alcuni compagni e richiuso, una settimana dopo, nel carcere di San Francesco. Da qui venne trasferito nel campo di transito di Bolzano e, infine, di Dachau. A dispetto di altri suo compagni di viaggi, dopo poco venne assegnato al sotto-campo di Überlingen, sul lago di Costanza: a causa dei lavori forzati, le sue condizioni di salute peggiorarono, portandolo alla morte il 7 marzo 1945.

Nato a Parma il 4 maggio 1929 e cresciuto in una famiglia antifascista, Ugo Franchini abitò fino al 1939 insieme ai fratelli, alla madre cucitrice e al padre facchino in borgo Gazzola 23. Fin dalla tenera età lavorò come apprendista sarto presso la caserma dei Carristi in piazzale della Pilotta, aiutando economicamente la famiglia, aggravata dalla morte del padre nel 1941. Subito dopo l’8 settembre del ’43, il giovane prese parte, assieme ai fratelli maggiori Mario ed Enzo, alle prime attività di raccolta armi in favore del nascente movimento partigiano, nel quale si arruolò anche il fratello William. Nei mesi successivi Mario, Enzo e Ugo si unirono alle formazioni operanti in montagna. Con il nome di battaglia “Scampolo”, Ugo partì per ultimo e si aggregò alla 47° brigata Garibaldi, nelle cui file vi militava il fratello Mario. La lotta armata ebbe una svolta drammatica verso la fine del 1944, quando Ugo venne arrestato durante uno dei tanti rastrellamenti nazifascisti. Condotto nel carcere di San Francesco, venne quindi deportato nel campo di concentramento di Mauthausen e poi assegnato nel sotto-campo Gusen II, dove le terribili violenze, il lavoro massacrante e le condizioni materiali e climatiche per niente favorevoli ne provocarono la morte il 9 aprile del 1945, un mese prima del suo 16°compleanno.

DORALICE MUGGIA – Di quest’ultima non vi sono molte fonti storiche. Le poche informazioni a riguardo indicano solo che nacque il 2 giugno 1876 a Colorno. Si sposò con Enea Foà, avvocato, con il quale ebbe due figli, Gastone e Giorgio Nullo, il primo dei quali seguì le orme del padre, ma allo scoppio della guerra mondiale si rifugiò in Palestina. Quella fu l’ultima volta che vide sua figlio: arrestata nel 1944 e condotta al campo di Bolzano, morì a Merano il 15 maggio 1945 in stato di detenzione.

Da mercoledì 6 febbraio sarà disponibile presso l’Uffi­cio di Informazione e Accoglienza Turistica di Piazza Garibaldi una mappa di tutte le pietre d’inciampo presenti in città.

di Mattia Celio

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*