Flop pubblicitari, tra sessismo e stereotipi: è ora di aggiornarci?

QUANDO SPOT E COMUNICAZIONE RIFLETTONO UNA SOCIETA' ANCORA TROPPO RETROGRADA

 

E’ solo di pochi giorni fa la polemica che ha visto coinvolta un’azienda di Langhirano specializzata nella vendita di elettrodomestici. A scatenare l’indignazione degli utenti sul web è stata una pubblicità sessista comparsa sulla pagina Facebook del negozio e rimossa poche ore dopo la sua pubblicazione: “Te la do gratis“, recita lo slogan che accompagna la foto di una giovane ragazza seduta sopra ad una lavatrice e, poco sotto, scritto in piccolo, “la consegna“.

Potremmo fingerci sorpresi dal cattivo gusto che caratterizza questa campagna pubblicitaria, tra l’altro anche poco originale, ma la verità è che immagini del genere, non solo negli spot, sono quasi all’ordine del giorno.

Allusioni sessuali, ammiccamenti, tette e culi in bella mostra per cercare di vendere occhiali, birre, oli motore ed elettrodomestici.  Possibile che, in una società sempre più attenta ai temi del femminismo e della parità di genere, il ruolo della donna nei media pubblicitari sia ancora così spesso quello di mero oggetto sessuale?

Possibile che, nonostante i numerosi casi di proteste e campagne ritirate, ancora siano messi in circolazione certi ‘obbrobri’ della comunicazione? Spesso si tratta di ignoranza da parte di chi lavora alla promozione dei prodotti (il che non è comunque una giustificazione), altre volte invece, il sessismo è deliberato e la via percorsa è quella del ‘bene o male purché se ne parli’, con tutti i rischi che ne conseguono in termini di reputazione. Che sia l’uno o l’altro caso, il risultato finale non cambia: un uso sistematico e incontrollato del corpo femminile, che contribuisce a diffondere  l’idea, già fin troppo diffusa, secondo cui una donna possa essere utilizzata un po’ come si vuole. Un esempio tra i tanti a proposito, per citare un prodotto noto ai più, è quello della pubblicità dell’ Amaro del capo, in cui l’immagine di una ragazza nuda che appoggia sensualmente un rompighiaccio sulle labbra è accompagnata da un ‘argutissimo’ gioco di parole con il nome del prodotto: “Fatti il capo“.

L’idea che la donna debba essere rappresentata sempre e comunque come sensuale ed appetibile sembra essere talmente radicata nell’immaginario collettivo che non viene messa da parte nemmeno quando ad essere pubblicizzati sono prodotti destinati ad un pubblico prevalentemente femminile. Piuttosto che presentare immagini femminili non conformi ai canoni estetici tradizionali, infatti, si preferisce spesso ricorrere ad evidenti forzature e addirittura ad errori logici, presentati così frequentemente da non essere nemmeno più notati. Ecco allora che vediamo ragazze perfettamente depilate lamentarsi di non poter uscire di casa a causa dei peli, per poi compiacersi quando il rasoio di turno riesce nell’impossibile impresa di rendere lisce gambe che già lo erano. Altrettanto deliranti sono molte pubblicità di creme antirughe e in generale di prodotti contro l’invecchiamento, sponsorizzati da modelle poco più che trentenni.

Che dire poi del pauroso colore rosso del sangue mestruale? Molto meglio il rassicurante liquido blu che viene fatto colare sopra agli assorbenti negli spot.

Ma il sessismo all’interno del mondo pubblicitario non si ferma unicamente all’oggettificazione dei corpi,  vi è infatti anche un’aspetto apparentemente più innocente legato a rappresentazioni spesso stereotipate, tanto delle figure femminili quanto di quelle maschili. Sessismo e stereotipo non sono la stessa cosa, è vero, ma il confine tra essi è sottile.

SPOT CHE HANNO FATTO DISCUTERE- Le situazioni che ci vengono proposte all’interno delle pubblicità cercano di portare il destinatario ad identificarsi in esse, così da creare una maggiore connessione tra il prodotto e il suo potenziale fruitore. Si cerca dunque di rappresentare la realtà attraverso generalizzazioni che possano risultare vere per la maggior parte delle persone. Il problema è che così facendo vengono portati avanti anche modelli talvolta arcaici, ostacolandone il superamento.

Prendiamo il caso delle faccende domestiche: secondo l’ultima indagine Ocse a riguardo, in Italia le donne impiegano più del doppio del loro tempo, rispetto agli uomini, nei lavori di casa. Negli spot televisivi in effetti, sono quasi sempre le madri a servire la cena, lavare, stirare ed occuparsi della cura dei figli, mentre gli uomini vengono presentati come lavoratori o professionisti.

Una recente pubblicità della Mutti arriva persino a definire eroe un padre che cucina per il figlio mentre la mamma non è a casa: “Polpette alla… ‘Quando tu esci e il papà fa l’eroe’” recita lo spot. Se l’idea di partenza poteva strappare un sorriso, si nasconde tuttavia sottilmente il concetto distorto di base, presentando ciò che dovrebbe essere ‘normale’ come un grande evento degno di essere lodato.

La rappresentazione maschile, tuttavia, non è sempre così lusinghiera. E’ di pochi mesi fa ad esempio una pubblicità di Gillette che ha fatto molto discutere. Lo spot in questione tratta il tema della ‘mascolinità tossica‘, partendo dallo slogan storico dell’azienda: “The best a man can get” ovvero “Il meglio che un uomo può ottenere/diventare“. Vengono rappresentati dunque alcuni comportamenti sessisti o aggressivi protratti da alcuni uomini e ragazzi nella vita di tutti i giorni, che tendono spesso ad essere giustificati con la scusa del “sono cose da maschi“. A questi esempi negativi, sono presentati comportamenti virtuosi ed opposti, quelli a cui, secondo lo slogan, ogni uomo dovrebbe ambire. C’è il ragazzo in strada che molesta una ragazza di passaggio, ma poi l’amico lo ferma: “Not cool, not cool”. Altre scene vedono il meglio di un uomo fermare un pestaggio o  incoraggiare la propria figlia. Un invito a migliorarsi dunque, ricordando che la virilità non deve necessariamente coincidere con aggressività e parole dure. Nonostante il messaggio positivo, tuttavia, lo spot è stato condannato da diversi uomini e clienti del colosso delle lamette da barba. Lo spot, frainteso ed accusato di sessismo nei confronti degli uomini, è stato criticato perchè mostrerebbe una visiona distorta e generalizzante della figura maschile.

A proposito di spot con protagonisti gli uomini, vale la pena ricordare anche la pubblicità di Tampax in cui ad un gruppo di ragazzi veniva chiesto di spiegare il funzionamento di oggetti tipicamente femminili, tra cui anche i tamponi assorbenti. Dopo risultati disastrosi, tentando di barcamenarsi tra mascara, reggiseni e calzemaglia, ecco che arrivati ad avere a che fare con l’assorbente, tutti riescono a capirne il funzionamento senza problemi; da qui lo slogan: “Tampax, a prova di uomo“. Una pubblicità dall’intento ironico, che riesce indubbiamente a strappare la risata. Ma cosa sarebbe successo a ruoli invertiti, con donne intente a districarsi tra carburatori, attrezzi da falegname e altri oggetti considerati prerogativa maschile? Per capire le reazioni che uno spot del genere potrebbe generare oggi, possiamo considerare una vecchia pubblicità dei tappi di alluminio Alcoa, risalente al 1953, e caratterizzata da uno slogan del tutto analogo a quello precedentemente citato nel caso dei Tampax. “You mean a woman can open it?“, troviamo scritto sotto alla foto di una donna stupita dalla facilità con cui riesce ad aprire una bottiglia, compito considerato evidentemente molto difficile per una signora. Uno spot del genere non sarebbe assolutamente accettato alla luce di una lettura moderna. Oggi in effetti basta molto meno per scatenare valanghe di critiche sul web.

 

Vi ricordate il passo falso di Pandora? Era il 2017 quando la pubblicità natalizia del brand di gioielli affissa nella metropolitana di Milano causò numerose polemiche: “Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora. Secondo te cosa la farebbe felice?“, si chiedeva ai passanti. L’azienda fu accusata di aver riassunto la maggior parte degli stereotipi femminili in un unico slogan, tanto che fu costretta a scusarsi pubblicamente, cercando di spiegare meglio le intenzioni della campagna pubblicitaria. Scuse che ovviamente non suscitarono la reazione sperata.

Simili cadute di stile possono danneggiare seriamente l’immagine di un’azienda e si rende spesso necessario correre ai ripari.  Lo sa bene Guido Barilla, presidente del noto brand di pasta che, con le sue dichiarazioni contro le famiglie omosessuali rilasciate durante un’intervista radiofonica del 2013 – “Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale […], la nostra è una famiglia classica dove la donna ha un ruolo fondamentale. Se a loro piace la nostra pasta e la nostra comunicazione, la mangiano, altrimenti mangeranno un’altra pasta. Uno non può piacere sempre a tutti” – causò aspre polemiche e persino un tentativo di boicottaggio da parte di alcuni attivisti ai danni del brand. Le scuse di Barilla non tardarono ad arrivare e, in seguito ad un lungo percorso di avvicinamento alla comunità Lgbt, l’azienda arrivò persino, nel 2018, a mettere sul mercato una confezione speciale di spaghetti con protagonista una coppia lesbica.

Recente invece il sonoro flop di Dolce & Gabbana che sponsorizzò una sfilata che si sarebbe dovuta tenere a Shangai nel novembre 2018, con protagonista dello spot una ragazza cinese che tenta maldestramente di mangiare piatti italiani come pizza, spaghetti e un cannolo, servendosi delle tipiche bacchette orientali. Ad accompagnare il tutto, musiche, vestiti ed arredi che rimandano ad un immaginario occidentale e stereotipato dei paesi asiatici. Come se non bastasse, furono inserite anche allusioni sessuali nella scena della modella con il cannolo: “E’ ancora troppo grande per te?”. Il video promozionale fu ritenuto razzista e derisorio, tanto che la sfilata fu cancellata e il brand di moda italiano fu rimosso dai principali siti e-commerce cinesi. Le reazioni furono così dure anche a causa di alcuni messaggi estremamente offensivi inviati dal profilo Instagram di Stefano Gabbana in risposta alle polemiche generate dallo spot. Lo stilista ritrattò poco dopo attribuendo la colpa di quelle dichiarazioni ad un fantomatico hacker, per poi diffondere un video di scuse realizzato insieme al compagno, in cui i due si impegnavano a prestare maggiore attenzione in futuro. Anche qui con scarsi risultati a livello di comunicazione.

Soprattutto alla luce delle più recenti polemiche scaturite da questi linguaggi pubblicitari, risulta chiaro come il pubblico abbia un’influenza sempre maggiore sulle scelte delle imprese. Ma questo mostra anche come una via verso una comunicazione più attenta e rispettosa di tutti e tutte sia fattibile, e che parta proprio dai consumatori. Alcuni potrebbero dire, con un pizzico di benaltrismo, che in fin dei conti le pubblicità non siano così importanti e che si dovrebbe impiegare il proprio tempo per cause più alte. Il cambiamento però, passa anche e soprattutto attraverso le piccole cose. Le campagne pubblicitarie sono lo specchio della nostra società, dei nostri usi e costumi; e permettono di monitorare l’evoluzione dei ruoli di genere nel corso del tempo. Far passare una visione obsoleta del mondo, figlia del sessismo e degli stereotipi, contribuisce ad alimentare questi fenomeni rendendone più difficile lo sradicamento nella vita di tutti i giorni.

Pensiamoci la prossima volta che sorridiamo davanti alla tv a una di queste allusioni in un nuovo spot publicitario.

 

di Gabriele Sani

1 Commento su Flop pubblicitari, tra sessismo e stereotipi: è ora di aggiornarci?

  1. Ho letto gli articoli sono d’accordo con quello che scrivono le lettrici. Le mie lamentele sono perché sempre giovane nude magre e volgare per qualsiasi publicita. Perché non donne over 60 per le creme antirughe , perché non donne grasse e con vera celulita e non donne di 20 che la celulita “secondo me c’è l’hanno solo nel cervello” per le creme. Perché ragazze magrissima anoressiche e senza ne pancia e ne cullo per vedere la publicita enterogermine pancia grassa. Spero che qualcuno lega questo mio messaggio e cambi un po le publicita fasulle. Su tutti i canali a qualsiasi ora e per qualsiasi prodotto a mio Tito non veritiere. Grazie

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