Sì al suicidio assistito, ma senza il medico. La posizione della FNOMCeO

ALLA LUCE DEI RECENTI SVILUPPI IN MATERIA FINE VITA, L'ORDINE NAZIONALE DEI MEDICI PRENDE POSIZIONE DICENDO NO AD UN SUICIDIO ASSISTITO MEDICALIZZATO

“Giuro di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona”.

Questa citazione riportata è uno stralcio del celebre giuramento che viene prestato dai medici prima di iniziare a praticare la loro professione: il Giuramento di Ippocrate. Non si tratta soltanto di una recita di fine anno né tantomeno di una poesia da imparare a memoria per il pranzo di Natale, ma di un importante momento nella carriera di un medico che pone le basi del suo futuro agire, mettendo in chiaro il rispetto che questo deve avere per la vita umana.

La recente sentenza emessa dalla Corte Costituzionale in merito al caso Cappato – Dj Fabo sembra aprire tuttavia la strada, anche nel nostro Paese, ad una possibile legittimazione del suicidio assistito, ovviamente all’interno di casi limite in cui un paziente, vittima di sofferenze fisiche e psicologiche irreversibili dovute ad una situazione senza prospettiva alcuna di miglioramento, decida di sua spontanea iniziativa che non valga più la pena continuare a vivere. L’enorme eco mediatico di tale sentenza è stato in grado di riaccendere il dibattito italiano sul fine vita, mai del tutto sopito, tanto da provocare l’attenzione della FNOMCeO (Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri). Questa si è infatti riunita venerdì 18 ottobre 2019  a Parma, presso Palazzo Soragna, con lo scopo di discutere il tema nel corso del convegno “Il suicidio assistito tra diritto e deontologia. La legge, il consenso e la palliazione“, organizzato dall’OMCeO di Parma e dalla Consulta Nazionale Deontologica Primo GDL su Suicidio Assistito e Eutanasia. Tra i numerosi relatori intervenuti nel corso dell’evento, anche Filippo Anelli, presidente nazionale della Federazione e Pierantonio Muzzetto, presidente dell’OMCeO di Parma.

NUOVI SCENARI: VERSO UN SUICIDIO ASSISTITO MEDICALIZZATO? –  Quale deve essere il ruolo del medico in quelle situazioni in cui la dignità umana e il diritto all’autodeterminazione del singolo si scontrano con i principi del codice deontologico che vogliono sempre e comunque la salvaguardia della vita del paziente? La risposta è tutt’altro che semplice e necessita di ampie ed accurate riflessioni, rese ancora più complesse nel nostro Paese da un pesante vuoto legislativo in materia. Immaginiamo una società in cui si chieda ad un medico di preparare una dose letale di un farmaco per un suo paziente: un apparente paradosso in contraddizione con il giuramento di Ippocrate. Non si tratta tuttavia di un immaginario impossibile. In molti pensano infatti che il medico debba essere una figura chiave di sostegno specialistico anche durante un percorso come quello del fine vita. Questo tipo di concezione viene largamente discussa, in quanto aprirebbe le porte non solo all’eutanasia attiva (somministrazione diretta di un farmaco letale al paziente) e passiva ( l’atto di cessare le attività extracorporee che tengono in vita l’individuo), ma anche e sopratutto al suicidio assistito medicalizzato, che si verifica quando il medico si limita a mettere il paziente in condizioni tali per cui possa procedere in autonomia ad avviare la propria morte.

Dj Fabo, ad esempio, divenuto cieco e tetraplegico in seguito ad un incidente, ha deciso di porre fine alla sua vita mordendo un pulsante che ha attivato l’iniezione di un farmaco letale, dopo essere stato accompagnato dal radicale Marco Cappato in Svizzera, paese in cui la procedura è perfettamente legale. Proprio in riferimento a tale caso la Corte Costituzionale si è pronunciata, il 25 settembre 2019, con una storica sentenza di assoluzione destinata a ridefinire il dibattito italiano in materia.

Marco Cappato e Fabiano Antoniani (Dj Fabo) foto di associazionelucacoscioni.it

LA SENTENZA – Quello di cui si parla è un tema senza dubbio complesso e scottante, in grado di polarizzare fortemente tanto l’opinione pubblica quanto il dibattito istituzionale, in quanto, almeno in Italia, il suicidio assistito viene condannato in ogni eventualità dall’art. 580 del Codice Penale. Questo almeno fino all’ordinanza emessa il mese scorso dalla Corte Costituzionale in merito al caso Cappato-Dj Fabo, precedentemente citato. In tale documento si dichiara testualmente che è “non punibile, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Si tratta certamente di un importante punto di svolta nel dibattito italiano su suicidio assistito e diritti dell’essere umano in materia di autodeterminazione, che dovrà tuttavia avere pieno compimento a livello parlamentare, con l’emanazione di una legge che ancora non esiste. La sentenza stessa della Corte auspica infatti un “indispensabile intervento del legislatore“.

IL CONVEGNO – Durante il convegno di venerdì 18 tenuto in collaborazione con FNOMCeO, gli aspetti fondamentali su cui si è focalizzato il dibattito sono stati principalmente due: la valenza della dottrina ippocratica in medicina e il rispetto della dignità del paziente, in riferimento alle basi del codice deontologico, ovvero l’insieme delle norme morali ed etiche che regolano l’esercizio del medico. Per quanto riguarda il primo punto, i relatori che sono intervenuti si sono trovati d’accordo nel dare un grosso peso a quello che il presidente nazionale dell’ordine Filippo Anelli definisce come un “bagaglio millenario” che la medicina si porta dietro, ovvero lo scopo che la medicina ha sempre avuto nel corso degli anni: allontanare la morte. Un’attenzione particolare viene riposta però allo stesso tempo anche alla nuova concezione di medicinapost-ippocratica“, come la definisce Maurizio Benato, membro del Comitato nazionale di Bioetica, che propone una visione del medico come “artista del corpo con uno scopo ancora da definirsi”.

Da sinistra Benato, Nicolussi, Anelli, Muzzetto, Monaco, D’Agostino, Di Mola

LA PAROLA AI PRESIDENTI E LA FIGURA “TERZA”- Nonostante le differenti visioni che possono trovare spazio all’interno di un tema tanto complesso, la comunità medica italiana sembrerebbe essere unita lungo un fronte comune, espresso dal presidente Anelli: “E’ giusto che un paziente che ritenga di non farcela più, rifiutando anche i trattamenti di sedazione profonda, decida di porre fine alla sua vita ed è giusto che chi lo aiuta non venga punito così come oggi il codice penale prevede, ma il vero tema è se sia giusto medicalizzare il suicidio assistito, perché il medico ha in testa un’altra idea che è quella di mantenere e allungare la vita, non di accorciarla”. A questo punto risulta però naturale chiedersi quale dovrebbe essere effettivamente il ruolo del medico in una situazione del genere. A tale quesito trova una risposta ancora una volta il presidente Anelli: “Il nostro compito è quello di assistere i nostri malati fino all’ultimo, fino anche a dopo la morte, che dovrà essere certificata. Noi vogliamo continuare a fare il nostro lavoro, anche se il paziente decidesse di suicidarsi, sicuramente non interromperemmo le cure palliative, sarebbe impensabile. In questi casi il nostro compito sarebbe mantenere per lo meno una situazione di controllo del dolore“. All’interno della stessa ottica anche il presidente dell’OMCeO di Parma Pierantonio Muzzetto: “La stella polare che ci guida è il rispetto dei valori della vita del paziente e della sua dignità, nel vivere come nel morire, non accettando d’essere pedine di una legislazione che non tiene conto della coscienza del medico, volto a seguire la logica del fare il bene del paziente sia nella malattia, sia nella fase di terminalità”. Rimane però un grosso problema che nasconde un vuoto legislativo di dimensioni rilevanti, ovvero, chi dovrà effettivamente occuparsi dell’assistenza al suicidio nei casi previsti? Anelli propone una soluzione: “Sarebbe giusto che la società individuasse qualcuno che rispetti la volontà del paziente: un pubblico ufficiale o comunque una figura garantita dallo Stato che si prenda carico della volontà del paziente”.

UN DIVERSO APPROCCIO – La linea guida ufficiale dell’Ordine appare dunque piuttosto chiara. Non sono mancate tuttavia opinioni discordanti, anche all’interno della stessa classe medica, riguardo a tale presa di posizione. Tra queste anche quella del medico anestesista rianimatore Giuseppe R. Gristina, che nella sua lettera “Suicidio assistito. Il paternalismo dei medici“, pubblicata su Quotidianosanità.it, sottolinea la possibilità di un approccio diverso, ma non per questo meno legittimo alla questione. “Che l’assistenza al suicidio sia o no una procedura estranea all’impegno del medico dipenderà dalla sua impostazione morale e dall’approccio etico alla professione e alla relazione di cura che gli sarà proprio”, si legge nella lettera. “Altri colleghi fondano invece il loro approccio etico alla persona malata sul presupposto secondo il quale il principio di beneficienza (fare il bene della persona malata) si realizza attraverso il rispetto del principio di autonomia (diritto della persona malata all’autodeterminazione) – continua Gristina – Proprio perché è compito del medico alleviare le sofferenze, l’assistenza a un malato che ha deciso di rinunciare alla vita perché la malattia gli ha tolto dignità, speranza e fiducia, rappresenta l’ultima cura che un medico può prestare“. L’anestesista rianimatore continua poi proponendo una diversa soluzione pratica al problema: “Sarebbe allora auspicabile che i medici non si dichiarassero estranei alle funzioni di difesa e garanzia della persona malata che esige questo diritto, ma che fosse semplicemente garantito loro di appellarsi all’obiezione di coscienza. Così, gli Ordini svolgerebbero al contempo la loro funzione di protezione nei confronti delle persone malate e di imparzialità nei confronti dei medici, permettendo a quelli di loro che sono disponibili di tutelare, senza correre il rischio di essere sanzionati, quei diritti considerati dalla Corte suscettibili di protezione sulla base della Costituzione”.

di Vincenzo Balenzio e Gabriele Sani 

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