Il rumore del lutto: chi ha paura della morte?

UNO SGUARDO ALLA XIII EDIZIONE DELLA RASSEGNA CULTURALE CHE AFFRONTA SENZA PAURA IL TEMA DEL LUTTO E DELLA PERDITA

(Fotografia di Alice Leporati)

Passare oltre o a miglior vita, spegnersi, scomparire, trapassare, abbandonarsi al sonno eterno: sono numerosi, nel linguaggio comune, i modi per dire che qualcuno o qualcosa ha cessato di vivere. Veri e propri eufemismi che sembrano voler allontare quanto più possibile l’idea stessa di morte, considerata ancora oggi, almeno nella cultura occidentale, un grande tabù. Affrontare questo tema non come qualcosa da cui fuggire o nascondersi, ma come un momento fondamentale dell’esistenza umana, a cui guardare con consapevolezza e positiva accettazione: questo l’intento alla base de ‘Il rumore del lutto‘, rassegna culturale giunta quest’anno alla sua XIII edizione e nata a Parma da un’idea della tanatologa, formatrice e giornalista Maria Angela Gelati e del dj, critico musicale e fotografo Marco Pipitone. Incentrato quest’anno sul tema dei ‘Passaggi‘, il progetto di ricerca e riflessione sul lutto ha visto susseguirsi, dal 30 al 4 novembre, con alcune anteprime già a partire dal 12 di ottobre, un ricco programma con circa 100 ospiti e 48 eventi tra loro assai diversificati, quasi tutti ad ingresso libero. Musica, arte, architettura, teatro, letteratura, cinema, psicologia, medicina e tante altre discipline al servizio di una rassegna quanto mai vitale e partecipativa, pensata per un pubblico il più eterogeneo possibile. “In fondo – scrivono i due curatori – i passaggi che sperimentiamo sempre nell’esistenza e che ci trasportano da un prima ad un dopo, da una fase di vita ad un’altra, sono solo l’ombra di quella luce, del passaggio più importante, quello che ci porterà da una forma di vita ad un’altra e che possiamo, se lo vogliamo, cominciare a immaginare”.

GALA IN NERO – Tra le anteprime della rassegna e giunto ormai alla sua ottava edizione, il Gala in Nero, svoltosi sabato 19 ottobre 2019 presso l’ex Chiesa di San Ludovico, si conferma ancora una volta come uno degli eventi di punta de ‘Il Rumore del lutto‘. Capace di reinventarsi di anno in anno e di richiamare un vasto pubblico proveniente non solo da Parma, ma anche e soprattuto da fuori città, il gala presenta un’unica ed imprescindibile regola facilmente intuibile già dal titolo stesso dell’evento: il dresscode dei partecipanti deve essere total black, con possibili e ben accette rivisitazioni in stile vittoriano, goth, steampunk, cosplay ed elegante.

L’atmosfera che si respira non appena varcata la soglia dell’ex chiesa, oggi galleria d’arte, è dark e fiabesca, degna dei migliori film di Tim Burton. Non solo i vestiti: ogni cosa all’interno del salone è nera, dalle decorazioni al cibo offerto agli ospiti. Una sorta di grande e simbolica cerimonia funebre, in cui le sembianze degli stessi  partecipanti rievocano il colore che per eccelenza è simbolo del lutto e della morte. Eppure il clima dell’evento è festoso; si tratta di un’occasione per stare in compagnia e celebrare, anche solo idealmente, il senso alla base dell’intera rassegna: la morte non è da temere, bisogna imparare ad accettarla, cercare di comprenderla, per riuscire poi ad affrontarla con maggiore consapevolezza e serenità. Quale modo migliore per sottolinearlo di una grande festa in cui tutto richiama il lutto, senza che vi sia però traccia di turbamento o paura?

Ad arricchire la serata, la musica dal vivo dei Kirlian Camera, band fortemente sperimentatrice e protagonista della scena alternativa italiana, ma conosciuta anche e soprattutto all’estero, come in Germania, dove il loro ultimo album ‘Hologram Moon‘ ha soggiornato per diverso tempo nelle classifiche ufficiali e indipendenti. Un genere musicale certamente difficile da inquadrare all’interno di uno schema preciso quello portato avanti dal nucleo della band, costituito da Elena Alice Fossi (voce solista, moog theremin, stylophone) e Angelo Bergamini (synth, backing vocals), accompagnati per l’occasione da altri musicisti: sonorità elettroniche dal ritmo serrato che richiamano la Darkwave e il Synth pop. L’evento è stato realizzato con il sostegno di ADE Servizi Onoranze Funebri e in collaborazione con Verdi Off, Endenocte Dark Night, Valico Terminus.

LA STANZA DELLA VERITÀ DEL VINO – A partire dal 30 ottobre per poi ripetersi nei giorni successivi, ha avuto luogo presso l’enoteca Tabarro, in strada Farini, ‘La stanza della verità del vino‘: un’installazione con intervista a cura di Diego Sorba, proprietario del locale. L’evento, per cui era necessaria una pre-iscrizione, permetteva di partecipare ad un solo spettatore alla volta, chiamato attivamente ad interrogarsi e a dialogare con sè stesso attraverso la scrittura. Spento infatti  il cellulare e fatto accomodare ad un tavolo presso la cantina del locale, immerso in un’oscurità rischiarata dalla sola luce di poche candele accese, tra bottiglie di vino e stralci di vite, il partecipante veniva posto di fronte ad una penna e a tre fogli bianchi, ognuno dei quali rappresentate di un momento diverso della vita umana. Veniva infatti chiesto nel primo foglio di sondare il passato rievocando un ricordo legato al vino, per poi passare al presente nel secondo, con una riflessione sulle sensazioni suscitate da una citazione letteraria pescata casualmente a inizio evento tra sei possibili. Il terzo ed ultimo foglio si concentrava invece sul futuro, chiedendo di scrivere delle proprie ambizioni e di quello che assolutamente si vorrebbe fare prima di morire.

Ad accompagnare ed ispirare il flusso di pensieri e parole, una playlist musicale a tema e tre bicchieri di vino, ciascuno corrispondente ad uno dei momenti precedentemente citati: un vino giovane da poco imbottigliato nel primo, uno maturo al perfetto stadio di decantazione nel secondo e uno più invecchiato e vicino alla sua fine nel terzo. I 30 minuti a disposizione per la stesura dei testi appaiono come dilatati; l’atmosfera raccolta e la condizione di solitudine all’interno di un contesto tanto particolare, assieme ai sorsi del vino che certamente aiutano a sbloccare il flusso creativo della penna, portano le parole ad uscire con estrema naturelezza. Questa particolare esperienza è in grado, per chi decide di lasciarsi andare e viverla senza paura, di rivelare pensieri e idee che forse non si sarebbe pensato di poter elaborare in un primo momento, offrendo al tempo stesso un’importante occasione di autoriflessione. Scopo ultimo dell’iniziativa è quello di raccogliere in un futuro prossimo le varie “interviste” realizzate all’interno di una raccolta o di un vero e proprio libro, secondo modalità ancora da definirsi.

LE EARTH STATION DI MICHELE DE LUCCHI – Tra gli eventi principali della rassegna di quest’anno, merita certamente una menzione speciale l’incontro intitolato ‘Il rumore del lutto è il rombo del futuro‘, tenutosi il 31 ottobre presso l’auditorium del Palazzo del Governatore in piazza Garibaldi e organizzato in collaborazione con l’Ordine degli architetti P.P.C. di Parma. Ospite e relatore d’eccezione Michele De Lucchi, designer e architetto d’avanguardia di fama internazionale, tra i protagonisti del settore sin dagli anni ’70. Dopo i saluti istituzionali dell’assessore Michele Allinovi, del presidente dell’Ordine degli Architetti parmigiani Daniele Pezzali e del co-curatore della rassegna Marco Pipitone, il maestro si è addentrato fin da subito nel cuore della conferenza, sottolineando quanto sia difficile parlare del lutto e della morte usando toni rassicuranti, ma ribadendo al tempo stesso l’importanza di una riflessione a riguardo. La prima parte della conferenza è stata dedicata ai progetti passati che De Lucchi ha realizzato confrontandosi con questi temi, dalle ‘Coppe della Filosofia‘ disegnate ispirandosi alla tradizione delle urne cinerarie, fino al progetto per l’Hospice di Ivrea o per un Crematorio a Lodi ancora non realizzato, passando per l’essenziale Cappella di Fischbachau, realizzata nel cuore della foresta bavarese per i pellegrini diretti a Santiago di Compostela, e per il progetto realizzato in collaborazione con Arte Sella, museo d’arte all’aperto in provincia di Trento che lascia la natura libera di esercitare il suo intervento sulle opere esposte.

Un secondo momento è stato invece dedicato al tema cardine dell’evento, quello del futuro. Come spiega l’architetto stesso nel testo di presentazione dell’incontro infatti: “Il rumore del lutto è il rombo del futuro e tutti siamo, chi in un modo chi nell’altro, chi tanto chi poco, impegnati a immaginare il futuro e soprattutto a costruirlo[…]. Come architetti il nostro compito è proprio quello di costruire occasioni reali di incontro non conflittuale, per affrontare i grandi temi che oramai non possono più essere trattati individualmente. Al rumore del lutto del pianeta rispondiamo con il rombo di costruttive visioni del futuro“. Tali visioni prendono forma negli innovativi progetti delle Earth Station, veri e propri luoghi di incontro e crescita culturale in cui ritrovarsi e confrontarsi assieme alla collettività, nel pieno rispetto delle esperienze umane. Mostre, conferenze, esposizioni, occasioni di dialogo senza barriere in luoghi ideali da progettare in posizioni strategiche. Accanto ad esse, il più specifico progetto delle Earth Station Many Hands, da realizzare completamente a mano secondo tecniche e tradizioni artigianali locali, variabili di volta in volta in base ai luoghi per cui sono pensate. Un progetto ambizioso e futuristico, per il momento fermo ad uno stato ideale, ma che protebbe trovare concreta attuazione in un futuro non lontano. Nelle foto seguenti il progetto di De Lucchi per l’esterno e l’interno di una possibile Earth Station, dal sito Amdl Circle.

IPHIGENIA IN TAURIDE/IO SONO MUTA – A concludere questo breve sguardo sulla rassegna, l’installazione scenica ‘Iphigenia in Tauride | Ich bin stumm [Io sono muta]‘, secondo capitolo del dittico di Lenz dedicato al mito di Ifigenia, a cura di Maria Federica Maestri e con i passaggi visuali di Francesco Pittito. Andata in scena il 31 ottobre e il 1 novembre presso la Galleria Sud del Cimitero Monumentale della Villetta, in giornate dense di visitatori per la ricorrenza della ‘festa dei morti‘, la performance ha portato avanti un importante occasione di dialogo e riflessione sull’ineluttabilità della morte e il desiderio di resurrezione. Secondo la celebre tragedia di Euripide, la giovane Ifigenia, designata dal padre Agamennone come vittima sacrificale per un rito in onore della Dea Artemide, fu salvata all’ultimo momento grazie all’intercessione di quest’ultima. Impietosita infatti dalla drammatica situazione della giovane, la Dea decise di immolare al suo posto una cerva, animale a lei sacro, trasportando poi la ragazza in Tauride (odierna Crimea), per renderla sacerdotessa presso il suo Tempio. Ifigenia si trova dunque forzata a svolgere un ingrato compito, quello di compiere i sacrifici rituali di tutti gli stranieri sbarcati nella penisola taurica. Quando però suo fratello Oreste sarà portato al Tempio come vittima sacrificale, la situazione si complicherà ulteriormente.

Questa rivisitazione del classico da parte della Fondazione Lenz, in apertura del Festival Natura Dèi Teatri, non ripercorre esattamente i vari momenti della tragedia, ma ne restituisce un’idea generale basata su una forte simbologia e sulla ripresa di molti dei temi del testo originale. Sospesa tra piante e costruzioni meccaniche, tra le quali campeggiano anche le corna della cerva immolata, le colonne del Tempio di Artemide e un piccolo altare con un lavacro, la giovane Iphigenia, interpretata da un’intensa Monica Barone, si aggira tra gli absidi della Galleria Sud del Cimitero in una sorta di danza rituale, coreografata con estrema precisione e fluidità di movimento. Ad accompagnarla proiezioni sui soffiti, assieme a suoni e musiche registrate che riecheggiano tra le fredde mura in pietra del cimitero, a cui il pubblico impietrito si stringe per lasciare quanto più spazio di movimento possibile alla giovane attrice/danzatrice. “Disobbedendo a leggi ingiuste e disumane – si legge nel foglio di sala – Iphigenia non immolerà alcuna vittima, non compirà alcun sacrificio umano, ma con un rito intimo e segreto implorerà gli dei di ritornare libera. Di fronte al loro silenzio, decide di conquistare una nuova patria-corpo, libera da vincoli sociali e religiosi”.

di Gabriele Sani

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