Economia circolare, sinonimo di rigenerazione e modernità

LA SOSTENIBILITA' AL CENTRO DEGLI APERITIVI DELLA CONOSCENZA DELL'UNIVERSITA' DI PARMA

Destinata a rivoluzionare i mercati e il mondo: l’economia circolare è protagonista degli aperitivi della conoscenza dell’Università di Parma.

Il 23 ottobre si è tenuto all’Orto Botanico di Parma l’aperitivi della conoscenza, evento divulgativo della città organizzato dall’Università in preparazione di Parma 2020. Con il titolo ‘Facciamo conoscenza: l’Università per Parma2020’, questo progetto pone l’obiettivo di avvicinare la comunità ai risultati degli studi che si svolgono in ateneo divisi per quattro temi: cultura, democrazia, innovazione e sostenibilità. Il programma durerà fino a dicembre dell’anno prossimo.

Tema di questo primo aperitivo è stato l’economia circolare e la sostenibilità. Come specifica Monica Cocconi, docente dell’Università di Parma e relatrice dell’evento: “Questo tema sta molto a cuore al nostro ateneo. Nel nostro Statuto è uno degli articoli fondamentali e il Rettore ha firmato un manifesto, insieme ad altri 11 atenei, per improntare la vita dell’Università alla sostenibilità. Inoltre c’è un gruppo di ricerca coordinato allo studio di soluzioni concrete basato sull’agenda ONU”.

Argomento che ora è sulla bocca di tutti, che viene definito necessario per conservare il pianeta alle future generazioni ma che, tuttavia, spesso manca nei programmi legislativi dei partiti per il rischio disoccupazione. In effetti sentiamo di risorse che finiscono, di ghiacciai che si sciolgono e di persone che si ammalano a causa dell’inquinamento, ma ci giustifichiamo esclamando: “Eh però se chiude quella fabbrica sai quanti posti di lavoro che si perdono”. E’ l’ora di sfatare questo mito, conosciamo davvero i benefici dell’economia circolare?

Ce lo spiegano la proefessoressa Monica Cocconi, docente di diritto amministrativo e ambientale dell’Università di Parma e Roberta Cadenazzi, docente all’istituto superiore G. Romani di Casalmaggiore.

CIRCULAR ECONOMY – La definizione più autorevole di circular economy è quella data dalla Fondazione Ellen Mac Arthur secondo cui  “è un’economia industriale concettualmente rigenerativa che riproduce la natura nel migliorare ed ottimizzare in modo attivo i sistemi mediante i quali opera”. Non solo, quindi, il rifiuto, ma un’idea di rigenerazione dell’economia tradizionale che (basata sul paradigma produrre, usare, buttare) è la prima causa di fenomeni come l’inquinamento marino e terrestre, l’emissione di gas serra e del conseguente cambiamento climatico; generando inoltre un’intensa competizione per il controllo delle materie prime. Infatti, per i fautori dell’economia attuale, giudicata insostenibile già dalla Conferenza di Stoccolma del 1972 e dall’istituzione della Commissione Brutland nel 1983 e tuttavia diventata fondamentale per la produzione di massa: “La tentazione è, in effetti, spesso quella di un ritorno verso il passato, con una restaurazione del protezionismo commerciale e un rafforzamento delle sovranità nazionali e, pertanto, con una regressione significativa del processo di integrazione europeo” asserisce la Cocconi.

Al contrario , l’economia circolare pone al suo centro un modello di sviluppo integrato che sia sensibile a temi quali il futuro del pianeta e della popolazione, la competitività economica, l’occupazione, la povertà e l’integrazione sociale. Tutto ciò basando la sua attività di produzione su un utilizzo efficiente delle risorse, con l’uso (e non consumo!) dei prodotti e l’utilizzo dei rifiuti come nuove materie prime. Il rischio di insostenibilità del sistema non deriverebbe tanto dall’esaurimento delle risorse naturali non rinnovabili, ma dal fatto che molte di queste si trovano distribuite in maniera disomogenea sul pianeta e che il loro controllo possa causare instabilità e guerre a livello geopolitico, come vediamo tutti i giorni.

LA LEGISLAZIONE UE- L’attuazione dell’economia circolare si rivela quindi fondamentale per l’Europa, data la sua scarsità di materie prime. In questo senso, il secondo pacchetto di Direttive dell’Unione sull’economia circolare si inserisce nella ‘Road map verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse’ e si colloca nell’iniziativa sull’impiego efficace delle risorse della Strategia EU 2020. Tuttavia, rispetto al passato, non si dà importanza solo alla gestione dei rifiuti, ma si predilige un approccio sistematico che agisca su tutte le fasi della produzione. “La logica di fondo della legislazione -che si basa sul principio di prevenzione – prevede una serie di incentivi, di strumenti di mercato e di supporti pubblici  agli imprenditori per progettare fino a monte dei beni che non diventino rifiuti o che lo diventino solo a lungo termine” continua Monica Cocconi. Punto fondamentale è il concetto di rigenerazione del rifiuto che può diventare sottoprodotto ovvero le sostanze che, pur non costituendo il fine primario della produzione, sono commercializzate dall’impresa a condizioni a lei favorevoli, senza trasformazioni: ad esempio il siero da latte dalla trasformazione del latte in formaggio. Oppure una materia prima secondaria tramite un’operazione di riciclo: la carta riciclata.

Parte integrante dell’economia circolare devono essere la green economy che, attraverso il ricorso a materiali a base di risorse biologiche, è utile sia per la produzione dei nuovi prodotti ecosostenibili, sia per l’approvvigionamento dei processi di produzione. Poi c’è la bioeconomia che offre una strategia alternativa alla produzione di beni e all’utilizzo di energia proveniente da combustibili fossili e quindi offre un rilevante contributo al decollo dell’economia circolare.

Nonostante le direttive europee, l’Italia è ancora un passo indietro sul tema sostenibilità rispetto a Paesi come Norvegia, Svezia e Svizzera e non pone l’ambiente come principio fondamentale tutelato costituzionalmente: “E’ una cosa abbastanza incredibile che una fatto così determinante della nostra convivenza sociale non sia tra i principi costituzionali” commenta la docente Cocconi. Enrico Giovannini, relatore alla lezione introduttiva il 29 novembre scorso, ha dichiarato, infatti, che non servono solo i friday for future ma anche i saturday per la sensibilizzazione della popolazione. Se dal punto di vista legislativo l’Italia è “retrograda”, non si può dire lo stesso nel campo imprenditoriale. Garanti di un’efficace ecoprogettazione sono le certificazioni ambientali tra cui le più famose: Ecolabel, che promuove prodotti con un basso impatto ambientale durante tutta la loro vita; EMAS che verifica il razionale utilizzo delle risorse nel processo produttivo, la gestione degli scarti e la quota di utilizzo delle materie prime seconde. Tutte le certificazioni, sebbene siano giuridicamente normate e favorite da documenti, sono su base volontaria e quindi non obbligatorie “ma il nostro Stato, con la registrazione di 992 organizzazioni e 5817 siti, è dietro solo alla Germania” commenta la dottoressa Cadenazzi.

ESEMPI CONCRETI – Legambiente, in un rapporto del 2019, ha esaminato un campione di più di 300 imprese che nell’anno precedente ha sperimentato attività circolari e, da esse, ha tratto beneficio. Ci sono cinque modelli di business che rietrano nella categorie di industria circolare, primo fra tutti è il modello di forniture o acquisti circolari ovvero le aziende che hanno la capacità di provvedere a forniture di risorse totalmente da fonti rinnovabili, da riuso e da materiali riciclati, riciclabili o biodegradabili, e che si basano a loro volta su filiere di produzione circolari per gli aspetti di produzione e consumo. Questo modello permette di direzionare la domanda di mercato verso un minor impiego di risorse non rinnovabili e scarse, oltre a ridurre le quantità di rifiuti e rimuovere inefficienze di sistema.
Due importanti esempi sono il caso dell’azienda Lago che ha impiegato un bio-polimero derivato dall’olio di ricino per la realizzazione dei fermi seduta di un divano e Caimi Brevetti che si distingue da anni per un approccio alla progettazione particolarmente attento agli aspetti ambientali con prodotti realizzati prevalentemente da unità mono-materiche, facilmente riciclabili.

In secondo luogo vi è il recupero, riuso e riciclo delle materie che si basa sulla capacità di un’azienda di ritirare il proprio prodotto giunto alla fine di un ciclo di vita, per reimpiegarlo nuovamente o per alcune componenti, o per l’intero prodotto a seguito di un’eventuale fase di manutenzione. È il caso del Gruppo Saviola, specializzato nella produzione di pannelli certificati FSC 100%, legno riciclato utilizzato prevalentemente nel settore arredamento e con più bassa emissione di formaldeide. Fantoni (leader nella produzione di pannelli Mdf e triciolari) recupera invece ogni anno 200.000 tonnellate di legno post-consumo sul territorio Emilia Romagna e oltre 300.000 tonnellate da scarti di lavorazione della filiera legno.

Poi vi è l’allungamento della durata di vita di un prodotto che è un modello di business basato sulla commercializzazione di beni pensati per durare a lungo nel tempo. In questo caso è fondamentale la fase di progettazione del prodotto, per prevedere e facilitare interventi di manutenzione e di sostituzione dei componenti, aggiornamento delle funzioni e in alcuni casi di restyling estetico. Anche in Italia è un modello di business usato e apprezzato: Molteni & C. è impegnata a produrre arredi di qualità e durabilità nel tempo, garantendo oltre 10 anni per la reperibilità delle parti di ricambio e dei principali tipi di rivestimento per i propri arredi.

Tipiche dell’industia 4.0, grazie ad una digitalizzazione sempre più avanzata, negli ultimi anni si sono moltiplicate le piattaforme di collaborazione e condivisione tra gli utenti per gruppi di prodotti, prodotti specifici o proposte di idee. Questo è un modello che vede la partecipazione attiva di individui privati, pubblici, organizzazioni e imprese, che creano valore anche attraverso la diffusione di informazioni. È il modello di business che ha portato all’affermazione di alcuni colossi mondiali della sharing economy come Uber, BlaBlaCar e Airbnb.

Infine vi è il fare del prodotto un servizio, modello che negli ultimi anni è stato adottato per auto, apparecchi IT, musica-film in streaming e attrezzature sportive ma si sta diffondendo anche in altri comparti come abbigliamento, arredamento, oggettistica, giocattoli e imballaggi. In questo modello i prodotti non vengono acquistati ma utilizzati da uno o più utenti attraverso un contratto tipo ‘pay-per-use’ e in questo business, non si paga lo scambio ma il prezzo d’uso: leasing, noleggio, accordo di performance. Un esempio? Michelin Solution che in diverse occasioni può fornire il servizio di gomme in leasing.

Insomma molte di queste strategie si sono rivelate vincenti per le imprese e vantaggiose per il territorio. I benefici? Una migliorata reputazione aziendale, un miglioramento motivazionale e della cultura d’impresa, l’aumento della varietà dei prodotti offerti, la differenziazione del brand, l’entrata in nuovi e più ampi mercati, la riduzione dei costi che si presentano comunque più stabili, l’agevolazione del credito e la ritrovata concorrenza e indipendenza da aree geopolitiche instabili. Nonostante ciò ancora il governo non dà la giusta importanza a un’economia verde perchè spesso ciò viene percepito come la chiusura di fabbriche storiche e la conseguente perdita di posti di lavoro. In realtà, conclude Monica Cocconi: ” Ci sono molti settori legati al lavoro umano che comporterebbero la riduzione dell’uso di materie prime e appunto una maggiore occupazione”.

di Laura Storchi

 

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