Soffrire di ipocondria ai tempi del coronavirus

PERSONE ACCUSATE, MALATTIA SOTTOVALUTATA: ECCO COME GLI IPOCONDRIACI VIVONO DAVVERO QUESTO PERIODO DI EMERGENZA CORONAVIRUS

Chissà cosa penseremo tra due anni del grande virus che nel 2020 ha portato una pandemia mondiale. Che la gente era costretta a stare in casa nonostante la bassa mortalità (ma l’altissima contagiosità)? Che in fine dei conti era poco più di un’influenza? Sicuramente ricorderemo della psicosi che si è generata nella popolazione a causa di un’informazione a volte sregolata, dei supermercati in penuria di generi alimentari e delle persone che avevano raziato mascherine e disinfettanti a scapito di chi era davvero a rischio.

“Ah gli italiani, che gente! Vi dicono di stare in casa e voi andate a fare l’apericena” oppure “Voi ipocondriaci al primo colpo di tosse allarmate medici, famigliari e ogni persona che vi sta intorno e derubate supermercati e farmacie di beni che ad alcuni servono davvero! Vergogna! Abbiate senso civico!”.

Ora, che questi discorsi siano corretti non è in discussione, la cosa da far notare è che in realtà ‘noi ipocondraci’ siamo stati un po’ troppo stereotipati negli anni: c’è chi sottovaluta una patologia che esiste davvero e che influisce sulla salute mentale e quindi sulla vita quotidiana di queste persone, che sono oggetto di meme e di scherno. Se no c’è chi – chissà come mai – si riconosce in questa categoria pur non essendolo: l’ipocondria non è provare schifo quando uno vomita, non è non voler prendere il raffreddore, non è solo andare a cercare i sintomi su google; l’ipocondria sono gli attacchi di panico che ti paralizzano, che non ti fanno andare avanti, la reale sensazione di avere sintomi gravi che in realtà non ci sono o il terrore di andare dal medico per controllare quelli veri perchè si teme la risposta. Purtroppo, però, questa categorizzazione esterna è stata molto accentuata a causa del coronavirus, tra persone che si definiscono tali e non lo sono ed altre che li incolpano degli atteggiamenti irrazionali che rendono difficoltosa la gestione della situazione.

Ma come vive un vero ipocondriaco questo clima di epidemia/pandemia? Tramite un sondaggio abbiamo raccolto diversi racconti di persone che, soffrendone, spiegano cos’è questa malattia, come ci si convive e come influenza la loro vita proprio in questo periodo.

La foto che ha fatto il giro dei social dopo il consiglio di usare le mascherine per proteggersi dal coronavirus

LA MALATTIA RACCONTATA – Il campione esaminato conta 88 persone di età compresa tra i 18 e i 63 anni. Per quanto riguarda l’inizio della malattia (l’ipocondria), per la metà degli intervistati è avvenuto durante l’adolescenza o giovinezza: “Nel 2016 ho avuto una reazione avversa ad un comune antibiotico e, documentandomi su internet, ho scoperto che i miei sintomi erano tutti riconducibili ad una malattia neurodegenerativa letale. Si sono susseguiti mesi di pura disperazione nonostante gli esami clinici scongiurassero la possibilità di soffrire di questa patologia.” oppure “A 20 anni ero in vacanza in Sicilia. Mentre ero in un ristorante, ho messo la mano tra i capelli e ho sentito un bozzetto. Ho chiamato la mamma di una mia amica medico che ha tentato di tranquillizzarmi. Ciononostante, ho avuto il primo, vero, violentissimo attacco di panico. Da quel momento in poi, qualsiasi sensazione corporea mi turba”. 28 persone, inoltre, ricollegano l’inizio della patologia a esperienze personali che li hanno particolarmente segnati: “A 16 anni arrivó in classe da me una ragazza che soffriva di sclerosi multipla. La notte stessa sentii gli arti intorpiditi ed ebbi il mio primo attacco di panico: ero paralizzata e non facevo che piangere. Continuó cosí tutte le notti per una settimana. Avevo paura che arrivasse la notte e con lei questo incubo”, o ancora “quando è morto mio suocero di cancro, mi sentivo ultrasensibile e cosciente che la vita non è infinita e che ci si può ammalare, ciò mi ha portato a uno stato di agitazione con palpitazioni tali che pensavo di avere un infarto”, afferma un altro.

Ma come si cura? In realtà non c’è una cura definitiva che da un momento all’altro ti fa smettere di essere ipocondriaco: ci si lavora su, ci si deve convivere: “Ho preso qualche calmante nelle situazioni peggiori, ma ammetto che se per caso uno mi dice: ‘come sei pallido’, mi sale un’ansia tremenda e mi sento un malessere generale” oppure “a volte non riesco a gestirla. Cioè, quando sono fortunata e il sintomo che mi fa presagire il peggio passa in fretta, riesco a razionalizzare, se no resto convinta di avere qualcosa di brutto e non ho il coraggio di fare accertamenti per il timore di averne la conferma”. Nei casi più gravi, infatti, il 18%, si ricorre a psicofarmaci come ansiolitici, antidepressivi e calmanti; 28 tra gli intervistati invece si affidano alla consulenza medica o psicologica, i restanti – la maggioranza- riescono a sconfiggere le crisi tramite l’aiuto dei propri cari e cercando di razionalizare ciò che succede: “Principalmente resistendo all’impulso di documentarmi ogni volta che il mio corpo manifesti qualche sintomo anormale. Grazie al sostegno psicologico ho anche imparato a razionalizzare i miei timori e mantenere la lucidità”. In tre casi una diagnosi di ipocondria ha portato anche a effetti positivi, quali un aumento di responsabilizzazione e di stima di se stessi: “La mia prima crisi si è risolta quando ho capito che non avevo amato abbastanza me stesso infilandomi in situazioni che non mi facevano bene, mi facevano ammalare. Ora cerco di avere più cura di me e di evitare comportamenti che rischiano di portare a malattie di cui ho paura”.
A volte il disagio e la paura sono settoriali, ovvero si manifestano solo per determinate malattie, ad esempio un intervestitato dichiara che: “La mia ipocondria riguarda soprattutto la sfera oncologica. Molto meno le altre malattie. Ci convivo malissimo, quando avverto qualcosa di anomalo vado in panico e mi sottopongo a visite  anche molto ravvicinate dai miei medici di fiducia.”

IL RAPPORTO CON IL CORONAVIRUS – Cosa pensa un ipocondriaco del coronavirus e della psicosi che si è venuta a creare tra la popolazione? Il 60% degli intervistati ritiene le reazioni esagerate ma assolutamente comprensibili data l’informazione continua e i provvedimenti non sempre chiaramente comprensibili. “Io ho molta paura ma credo che alcune cose siano esagerate, e per dirlo io… più che altro non credo serva creare ulteriore terrore e panico, perché già ce n’è parecchio. In questi giorni guardare un telegiornale o aprire Facebook è come morire un po’”, afferma un partecipante al sondaggio; e poi: “Penso che sia data da un’informazione sregolata che prima drammatizza e poi invece sottovaluta il virus, la gente non capisce quindi quale sia la verità effettiva e si lascia andare alle emozioni”. Un’altro intervistato dichiara: “Credo che nel contesto di una società nella quale le informazioni (ufficiali e non) viaggiano alla velocità della luce non si possano incolpare i cittadini della perdita di controllo. Penso poi che le istituzioni si siano mosse come potevano nell’ambito di questa emergenza, premessa appunto l’estrema difficoltà di vincolare le informazioni più adatte alla sensibilità di ciascun individuo”.

E come vivono gli ipocondriaci in questo contesto? Chi ha puntato il dito contro l’irrazionalità di questa categoria rimarrà sorpreso – forse – scoprendo che il 45% degli intervistati non è particolarmante preoccupato. Uno dei partecipanti dichiara:”In realtà è molto meglio di quello che credevo. La mia preoccupazione si rivolge ad altri tipi di malattia e riesco a gestire con molta più razionalità ciò che mi arriva da questa situazione. Ovviamente un po’ di ansia la sento ma è più per il clima di incertezza e per i miei famigliari più a rischio che non per la mia persona”.  “Stranamente – spiega un’altra – sono meno preoccupata di quanto ci si potrebbe aspettare da me che ho una diagnosi vera di ipocondria. Forse perché per ora non ho sintomi che mi facciano pensare di averlo contratto. Al momento sono focalizzata su altre possibili cose che potrei avere”.

Il restante 55% dei partecipanti afferma che, sì, ha paura ma che – forse perchè ormai sa come gestire i propri momenti di crisi- ha mantenuto la calma e la razionalità: “Ammetto che la prima notte che il virus è arrivato in Italia non ho dormito per l’ansia, stavo sempre a controllare le notizie e gli aggiornamenti. Ma detto ciò non ho svaligiato supermercati o avuto altri comportamenti irrazionali”, “Me la vivo nel modo più razionale possibile, certo non svaligiando supermercati o indossando mascherine quando non è necessario. Nonostante ciò non riesco a non preoccuparmi quando qualcuno tossisce o cerca il contatto fisico. Tutte le raccomandazioni fatte dai media io le vivo come allarmi, le amplifico e certe volte non riesco a non cedere alla paura”, o ancora “Detto sinceramente vivo questi periodi dove non si ha niente da fare con agitazione. Ma proprio perché non ho altro a cui pensare, spesso per noi ipocondriaci i momenti peggiori sono le notti perché la mente libera divaga, e in questo caso è come se fosse una notte infinita dove le poche cose che si fanno (guardare tv, internet ecc) ti ricordano continuamente il virus”.

Anzi forse è proprio chi è più sensibile a questi argomenti che si comporta nel modo più adeguato possibile per non peggiorare il contagio. Un intervistato afferma: “Cerco di non frequentare luoghi affollati a meno che non sia necessario, vado ad esempio al supermercato, a fare la spesa o in posta a pagare le bollette, ma per dire non vado al centro commerciale a fare un giro il sabato pomeriggio ” e un altro: “Seguo le direttive, prendo precauzioni, evito luoghi affollati. Evito anche di ascoltare o leggere notizie catastrofiste per non alimentare l’ansia”.

Un partecipante addirittura afferma che il coronavirus può dare una grande lezione: “Io sento che finalmente si stia prendendo coscienza dell’importanza della salute, della famiglia, dell’amore per se stessi e per gli altri, cose che negli ultimi anni si erano un po’ perse, perché a causa della società di oggi si andava sempre di fretta e si rifletteva poco sulle cose importanti”.

 

di Laura Storchi

 

3 Commenti su Soffrire di ipocondria ai tempi del coronavirus

  1. A me sembra che tra tutti non ci salviamo nessuno. Tra i vecchi che sottovalutano tutto e fanno come cavolo gli pare anche in emergenza agli ipocondriaci o presunti tali che vedono una sorta di rivincita in questo epidemia e si comportano come fossero dottori a insegnare le regole o quant’altro spesso facendo più danni che altro e aumentando un senso di follia che mantiene tutti in ansia continua(perché devono sempre assumere questo atteggiamento da salvatori incompresi e presunti esperti…no se volevi essere esperienza di o facevi il dottore e l’atteggiamento lo poni totalmente diverso…ormai se parli con queste persone sembra l’apocalisse, però, hai visto che avevo ragione??) Da buttare in manicomio e tirare via la chiave fino alla fine dell’epidemia

  2. Enzo Chianese // 16 aprile 2020 a 3:42 // Rispondi

    Sono un ipocondriaco, ho una malattia rarissima cromosomica dalla nascita e non c’è un vero “esperto” endocrinologo che mi puó aiutare, sono andato a farmi visitare da Udine a Cuneo. Ho una mezza dozzina di effetti collaterali da questa malattia che ho imparato a tenere sotto controllo, sbagliando spesso. Ho conosciuto altre due o tre persone in italia come me e più o meno gli esperti siamo solo “noi” che ci conviviamo. Ma ogni altra malattia o sintomo di malattia mi getta spesso in una apprensione esagerata, per i familiari, per i medici. Arrivato il covid mi sono messo in quarantena da solo. Il 9 di marzo, accusando tutti i sintomi del virus eccetto che la tosse e la difficoltà respiratoria. Cioè avevo tachicardia, febbre oscillante da 37,1 a 37,5.. dolori lombari, poi per due giorni perdita del gusto e dell’olfatto. Poi i sintomi sono andati via tutti da soli, un po’ di aspirina e di tachipirina. Sono rimasti solo i dolori lombari, sempre più forti e debilitanti. Oggi ho deciso di andare a fare i raggi per sospetta lesione dell’anca, il mio medico di fiducia stanco di prescrivermi antidolorifici, si è convinto che forse ho davvero una lombosciatalgia o una artrosi all’anca. E che il covid non c’entra niente, me lo sono sognato. Questo da una parte mi tranquillizza, dall’altra avere un’artrosi non è una passeggiata. Ansia non più a mille ma a cento.

  3. Partiamo dai dati statistici: in Italia ci sono almeno 17.000.000 di persone che soffrono disturbi psichici; molti di questi sono ipocondriaci, lo sono anch’io, specie se non posso svolgere qualche attività all’aperto come in questo periodo. Ma ci sono anche problemi reali: per esempio in questo periodo i medici di base evitano giustamente di visitare i propri pazienti non gravi, neanche per semplici visite di controllo, perché anche queste visite di routine non sono esenti da rischi di contagio. E’ gioco forza che gli ipocondriaci in questo periodo debbano cercare in ogni modo di tenere sotto controllo la propria ipocondria, perché finché non ci sarà un vaccino efficace dovremo convivere con l’epidemia, magari meno virulenta col passare del tempo, perché la storia ci insegna che tutti i virus hanno un picco ma poi perdono forza, almeno temporaneamente. Perciò armiamoci di santa pazienza e facciamo prevalere il buon senso, pensando che in tutto il mondo decine di equipe stanno sperimentando un vaccino, che, a mio parere, ci sarà entro un anno o poco più.

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