Non si sa ancora nulla dei pescatori di Mazara del Vallo
Da settembre non si avevano notizie sui pescherecci sequestrati dalle forze libiche. Il racconto della figlia del comandante arrestato
Martedì primo settembre, due pescherecci italiani – Medinea e Antartide – sono stati fermati dai pattugliatori del generale libico Khalifa Haftar, a largo nel Mediterraneo. L’equipaggio, composto da 18 pescatori di cui 8 italiani, 6 tunisini, 2 indonesiani e 2 senegalesi era salpato dal porto di Mazara del Vallo e si trovava a circa 38 miglia dalle coste della Libia, quando è stato fermato con l’accusa di aver valicato le acque territoriali del paese.
A quel punto i due pescherecci sono stati posti sotto sequestro, mentre l’equipaggio è stato trasferito all’interno di una struttura nei pressi di Bengasi. Si tratterebbe di un carcere. La ragione del sequestro è che le autorità libiche rivendicano quell’area marittima di propria competenza economica.
Le responsabilità e i diritti degli Stati circa l’utilizzo dei mari, degli oceani e la gestione delle risorse minerali sono tuttavia stabilite dalla Convenzione di Montego Bay, firmata dalle Nazioni Unite nel 1982 ed entrata in vigore nel dicembre del 1994. La Convenzione pone limiti alle zone marittime di ciascuno Stato costiero e definisce il ‘mare territoriale’, le 12 miglia nautiche adiacenti le coste dello Stato.
Tuttavia, nel 1973 la Libia ha arbitrariamente esteso questo limite a 74, dichiarando di sua esclusiva pertinenza il golfo della Sirte, una baia storica con una estensione di 300 miglia. Questa la ragione del sequestro.
Nessuna notizia per i famigliari
Dal primo settembre, le famiglie dell’equipaggio non hanno quasi mai avuto contatti con le vittime del sequestro. L’unica telefonata risale al 16 settembre, quando il comandante del Medinea, Pietro Marrone, è intervenuto a nome di tutti i pescatori rivolgendo un appello alle Istituzioni.
Intanto, diverse manifestazioni erano state portate avanti dai famigliari dei pescatori: da Mazara del Vallo a Palazzo Chigi, dove una delle madri aveva protestato incatenandosi in attesa di ricevere notizie dal premier Giuseppe Conte e dal Ministro degli Affari Esteri Luigi di Maio. La lenta ricaduta nell’emergenza sanitaria aveva infatti reso questa notizia piuttosto silente ai media e al Governo.
Era però sopraggiunto l’appello di Papa Francesco, durante l’Angelus del 18 ottobre, in cui il Pontefice aveva espresso la sua solidarietà nei confronti dei pescatori sequestrati in Libia, incoraggiandoli e rincuorando le famiglie. Di grande sostegno anche il Vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, che insieme all’Imam della moschea cittadina, Ahmed Tharwa, aveva organizzato una veglia per la liberazione dei 18 pescatori.
La figlia del comandante Trinca racconta la sua esperienza
A raccontare del sequestro e della scarsa rete di informazioni che attualmente si hanno sullo stato dell’equipaggio, è intervenuta Ilaria Trinca, figlia del comandante dell’Antartide Michele Trinca. “Stiamo lavorando” è la frase che si è sentita ripetere con più insistenza dai vertici del Governo. Dal 19 agosto, giorno in cui il peschereccio ha lasciato Mazara del Vallo, Ilaria non ha più avuto notizie di suo padre Michele. A ParmAteneo racconta: “Ad oggi non abbiamo né una foto, né un video. Una cosa è sentire la loro voce, un’altra è sentire da terze persone che stanno bene”.
L’unico modo per ricevere notizie, infatti, era quello di tenersi in contatto con la Farnesina che li rassicurava circa lo stato di salute, riferendo purtroppo che i tempi delle trattative sarebbero stati molto lunghi. Richiedere ulteriore pazienza alle famiglie dei marittimi non è mai stato però semplice.
“I primi giorni non se ne parlava neanche. In tv l’unico argomento trattato è quello del Coronavirus e io da figlia mi chiedo: se qualcuno in Libia dovesse ammalarsi, come possiamo saperlo? Come possiamo sapere se sono vivi o sono morti se non abbiamo notizie?”. Le parole di Ilaria lasciavano trasparire tutto il dolore e le preoccupazioni per una situazione divenuta ormai insostenibile anche per sua madre.
Il comandante Trinca, non è però nuovo a questa esperienza. Già 36 anni fa era stato rapito, con la stessa accusa di aver sconfinato in acque territoriali libiche, ma in merito al primo sequestro Michele non si è mai raccontato con la sua famiglia. “Inizio a preoccuparmi, mi alzo ogni mattina vivendo un incubo, ma conservo la speranza che un giorno tutto questo possa finire e io possa riabbracciare mio padre”.
Alle preoccupazioni si erano aggiunti anche problemi di carattere economico che avevano coinvolto le famiglie dei pescatori, costrette a rinunciare al frutto del loro duro lavoro, in un periodo già profondamente segnato dalla crisi economica. Ma non solo: il timore delle mogli e delle madri che manifestavano a Montecitorio, era legato anche alle eventuali chiusure e restrizioni disposte dal Governo.
Il 20 ottobre scorso, come riportato da Il Giornale di Sicilia, avrebbe dovuto tenersi un processo ai 18 pescatori di Mazara, davanti il tribunale della Cirenaica. Come riferito dal Ministro degli Affari Esteri Luigi di Maio si era trattato, però, di una notizia ufficiosa e ancora non si conosceva quando effettivamente i marittimi sarebbero stati processati.
Intanto, però, nel suo racconto a Ilaria tremava la voce e le sue parole arrivavano dritte al cuore. “Tra poco sarà Natale e senza mio papà cosa dovremmo festeggiare? Io tutti i giorni mi faccio mille domande senza trovare alcuna risposta”.Ogni sua speranza era affidata all’impegno del governo, affinché ciascuna famiglia riabbracciasse propri cari e potesse “riaverli a casa”.
E così è stato.
Giovedì 17 dicembre i 18 pescatori sono stati liberati, dopo l’incontro fra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio con il generale Haftar, a Bengasi.
Il loro rientro a Mazara del Vallo è previsto per domenica 20 dicembre, dopo oltre 100 giorni di prigionia.
di Ilaria Giuliani
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