Giornalisti sotto attacco: l’abbandono dell’opinione online
Un viaggio nel circolo vizioso della rete dove diventa sempre più difficile per un giornalista, fare il proprio lavoro senza subire le offese dei leoni da tastiera
“Eh, ma non è più come una volta“! Quante volte nella nostra vita abbiamo esclamato la frase che ci fa sentire come se fossimo i più vecchi al mondo? A volte la usiamo a ragion veduta, altre volte esageriamo negli intenti e in molte altre occasioni, invece, ci sentiamo solo un po’ più tristi e nostalgici.
In questo caso, beh, tutte queste componenti vanno a coincidere: il giornalismo di opinione – sui social – non è più quello di una volta. E non si tratta solo di una malinconica consapevolezza, ma anche di una disillusa verità.
Il circolo vizioso della rete: l’impossibilità di pensarla diversamente
I social sono diventati terra di conquista dei leoni da tastiera e degli analfabeti funzionali, che hanno colonizzato quel luogo di libertà – rappresentato dalla rete – che era venuto al mondo per poter dar voce a quante più persone possibili. Per questo motivo, oggi, il lavoro dei professionisti dell’informazione diventa sempre più difficile da svolgere online.
All’inizio, il giornalista designato a dover fare opinione era entrato nella gabbia dei social network in maniera del tutto inconsapevole. In men che non si dica, poi, è diventato facile preda degli utenti all’ascolto. Qualsiasi opinione si porti avanti e qualsiasi idea si intenda far passare, queste diventano sì portatrici di dialogo e di discussioni (come effettivamente deputate), ma non in maniera costruttiva, anzi.
I litigi, gli insulti e le discussioni che nascono all’ordine del giorno sui social derivano spesso dalle esclamazioni – prettamente negative – che escono dalla bocca e dalla tastiera di strani personaggi svegliatisi quasi per far polemica. Questi, come delle allodole, al primo accenno di idea che si discosta da quella sostenuta, si trovano lì pronti a scagliare le frecce al veleno dal proprio arco, spesso e volentieri in maniera del tutto gratuita.
Lo vediamo dai commenti sotto al meme del vicino di casa, fino agli articoli di più alto spessore politico e sociale e la differenza – seppur nascosta dall’ambiente circostante – c’è, e si sente. Perché il distacco e la mediazione del giornalismo tradizionale, ormai in declino, hanno annientato non solo le distanze tra chi scrive e chi legge, ma anche l’educazione e la carica morale di chi commenta.
Un giornalista oggi non è più libero di fare opinione sui social. O meglio, lo è, per carità nessuno glie lo impedisce (sarebbe anche anti costituzionale), ma quando lo fa deve armarsi di elmo e di scudo per affrontare la flotta di commenti negativi e di insulti personali che, inevitabilmente, arriveranno non appena verrà pubblicato il suo lavoro. Qualsiasi sia l’argomento di discussione e qualsiasi parte si prenda – soprattutto in ambito politico – la calca degli utenti tifosi accorrerà a difendere la propria idea, spesso non in maniera civile.
Dagli insulti alla persona e al professionista, passando per commenti sgradevoli, arrivando fino alle minacce: non esistono più filtri che possano fermare i più trogloditi e maleducati. Ma se tutto ciò succedesse sporadicamente, magari, ci si potrebbe anche passar sopra e far finta di niente, ma sui social l’una tantum non esiste. Una volta che si entra nel circolo vizioso della rete o assisti o sei vittima di quella caccia all’uomo che tanto piace agli utenti senza nome.
Opinionista al bivio: rispondere o manifestare indifferenza?
Si può cercare di trovare una soluzione, anche a un problema che non dovrebbe esistere. Di fronte a certi soggetti, come si deve – o si può – comportare un professionista? No, non è preparato per farlo, non avrebbe dovuto neanche pensare a come reagire, ma ci si è trovato e quando si è in ballo o si balla… o si sballa. Non importa che tu sia più esuberante e senza peli sulla lingua o più timido e sommesso: gli insulti non guardano in faccia a nessuno e ogni reazione può essere giustificata.
È chiaro che la morte del giornalismo di opinione a causa di qualche personaggio ignorante non è assolutamente contemplata e pertanto il percorso da intraprendere è quello in direzione di un accomodamento. Probabilmente le strade verso la soluzione – o meglio, sopportazione – sono due e, chiaramente, nessuna delle due facilmente percorribili.
Rispondere: a ogni commento, a ogni illazione e in maniera del tutto non convenzionale agli insulti – magari facendo un complimento all’ultimo neurone superstite nella calotta cranica dell’utente di turno. Intervenire portando avanti una conversazione più civile possibile e manifestare quella professionalità e competenza che sui social vengono sempre più spesso a mancare.
Oppure, manifestare indifferenza: insomma, fare come le tre scimmiette del non vedo, non sento e non parlo. Tappare occhi, naso, bocca e orecchie, tirare dritto per la propria strada e assistere alla guerra di commenti degli utenti tifosi che si scateneranno sotto al post.
Spesso però molti scelgono la terza via, ovvero quella dell’esasperazione. Diversi giornalisti, trovatisi di fronte a un mondo social così meschino e subdolo, si sono guardati sempre di più dall’esprimere la propria opinione con articoli destinati alle piattaforme social. Molti hanno prediletto la creazione di una propria community, più protetta ed educata – rispetto al mare magnum di Facebook – continuando a fare il proprio lavoro, ma indirizzandolo in maniera differente.
Probabilmente, però, una vera soluzione non c’è. Perché sarebbe bello risvegliarsi in un mondo social senza violenza verbale e sarebbe altrettanto bello utilizzare un luogo di libertà come la Rete per poter migliorarsi e imparare a conoscere attraverso il confronto. Purtroppo, per adesso ci si può solo risvegliare cercando di ricordare i dettagli più belli del sogno perché, nella realtà, siamo ancora lontani. Molto lontani.
di Eleonora Ciaffoloni
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