I volti della deportazione a Parma: le storie di Giorgio, Doralice e la famiglia Fano

Il 26 maggio è giunto al termine il ciclo di incontri storici, organizzato da In strada caduti in strada rinati e ISREC, per riportare alla luce le storie dei deportati ebrei durante il regime nazifascista

L’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice dei misfatti peggiori”: sono alcune delle parole usate dalla senatrice a vita e superstite dell’Olocausto Liliana Segre, per definire il lemma “indifferenza” nell’edizione 2020 del vocabolario Zingarelli. Ebbene sì, quello stesso disinteresse che imperversava negli anni della Shoah, rivive ancora oggi in quanti hanno avuto la fortuna di non vivere quei giorni. Un disinteresse che spesso sfocia in ignoranza e noncuranza, nella convinzione che il passato sia passato e i fatti di allora non ci riguardino da vicino.

Di tutt’altro avviso il tedesco Gunter Demnig, che ha ideato il progetto Pietre d’ Inciampo come reazione a ogni forma di negazionismo e oblio, al fine di ricordare i deportati nei campi di concentramento e sterminio nazisti.

Dal 1995 in molte città d’Europa e d’Italia, è quindi possibile inciampare in piccoli blocchi di pietra ricoperti di ottone, spesso incastonati nella pavimentazione di strade e marciapiedi, realizzati per segnalare i luoghi in cui vivevano le vittime dei campi di concentramento. Le pietre recano poche informazioni essenziali: il nome, il luogo e la data di nascita e di morte dei deportati.

Il progetto di “memoria diffusa” delle Pietre d’Inciampo è stato avviato anche a Parma a partire dal 2017 e attualmente è oggetto di rinnovato interesse, grazie alle iniziative di approfondimento culturale lanciate da In strada caduti in strada rinati, sostenuto dal bando ThinkBig. Il progetto dell’associazione ha l’obiettivo di riportare alla luce le Barricate di Parma del 1922 e le storie dei cittadini deportati nei campi di concentramento. Proprio queste ultime, sono state oggetto dell’quarto e ultimo appuntamento del ciclo di webinar Incontro con gli storici, presieduto da Irene Rizzi dellIstituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma, incentrato sul racconto delle deportazioni di alcuni ebrei parmigiani.

Giorgio Nullo Foà, una vita spezzata troppo presto

Giorgio Nullo Foà, nato a Parma nel 1919, costretto ad abbandonare gli studi presso il liceo classico Romagnosi, a causa delle leggi antiebraiche del 1938, dopo aver iniziato a lavorare come commesso nel negozio di sementi di Achille Bonelli in piazza Garibaldi, fu arrestato il 15 settembre 1943. Trascorse un periodo in carcere a Milano, per poi essere trasferito il 6 dicembre nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau con il quattordicenne Roberto Bati, dove morì il 4 febbraio ‘44.

Stessa sorte toccò alla madre, Doralice Muggia, che non godendo di buone condizioni di salute fu arrestata in un secondo momento, nel 1944. Perì a Merano, dove fu trattenuta in stato di detenzione, senza mai riabbracciare il primogenito Gastone, emigrato in Palestina.

In Memoria di Foà sono state poste due pietre d’inciampo a Parma, la prima il 13 gennaio 2018 in Piazza Garibaldi 1, la seconda il 27 gennaio 2021 in via Maria Luigia, all’ingresso del Liceo Romagnosi. La Pietra di Doralice Muggia risale, invece, al 6 febbraio 2019 ed è rintracciabile in Strada dell’Università 9, presso l’antica abitazione della famiglia.

La pietra d’inciampo dedicata a Foà in piazza Garibaldi, vicino alla sede della bottega in cui lavorava

Otto pietre per la famiglia Fano

Il 7 dicembre 1943 due ufficiali della polizia fascista giunsero in via Imbriani  n. 77 con l’ordine di arresto per la famiglia Fano.

“La famiglia era composta da Enrico Fano e dalla moglie Giulia Bianchini, dai due figli della coppia, Alba ed Ermanno, dalla moglie di Ermanno, Giorgina Padova, e dai loro tre figli, Luciano, Liliana e Roberto, di soltanto un anno d’età”, prosegue nel racconto Irene Rizzi.

Al momento dell’arresto, l’intera famiglia fu trasportata in Questura. Enrico e Giulia, i familiari più anziani e di salute cagionevole, furono rimandati a casa. Alba e Giorgina, insieme ai tre bambini, furono mandate nel campo di concentramento di Monticelli Terme, mentre Ermanno, fu internato nel campo di Scipione.

Alcuni documenti conservati nell’Archivio di Stato di Parma restituiscono la testimonianza delle richieste di licenza e di “proscioglimento” dei due fratelli, che riuscirono ad ottenere solo brevi permessi temporanei per accudire i genitori, rimasti senza alcuna fonte di sussistenza.

Liliana e Luciano Fano

Alba, Giorgina e i bambini poterono incontrare nuovamente Ermanno il 9 marzo 1944 nel campo di Fossoli, da cui il 5 aprile l’intera famiglia fu costretta a salire sul convoglio n. 09 con destinazione Auschwitz-Birkenau.

Luciano, Liliana e Roberto furono uccisi appena arrivati nel campo. Alba, Ermanno e Giorgina morirono in luogo ignoto. Enrico Fano e Giulia Bianchini, che in un primo momento erano riusciti a sfuggire al terribile destino che aveva toccato il resto della famiglia, subirono una sorte altrettanto tragica: Enrico, arrestato nell’estate del 1943, morì nel carcere di San Francesco nel gennaio del 1945; Giulia fu deportata nel campo di Bolzano-Gries.

Le otto pietre d’inciampo in memoria della famiglia Fano sono state posate il 16 gennaio 2017 in strada del Quartier n. 9.

Un fulgido esempio di solidarietà, il caso Vigevani-Riccardi

Fortunatamente la storia non restituisce solo vissuti tragici, ma anche storie a lieto fine, frutto di straordinario coraggio e grande levatura morale, come dimostra l’ultima vicenda narrata durante l’incontro.

Rolando Vigevani, avvocato ebreo sposato con la giovane Enrica Amar e padre da nemmeno un anno del piccolo Tullo, nel settembre del 1943, su consiglio dell’amico Pellegrino Riccardi, pretore di Fornovo, decise di allontanarsi da Parma e di nascondersi nella casa di Martorano. Il 13 dello stesso mese, mentre Enrica, incinta del secondo figlio, si trovava a Besenzone per cercare di ottenere documenti falsi, un gruppo di SS perquisì l’abitazione in cerca di beni e armi e annunciò di volerli catturare entro un’ora.

In una corsa contro il tempo, il mezzadro Arnaldo Frigeri recuperò Enrica alla stazione di San Prospero e la portò dal marito Rolando, che si era rifugiato presso la famiglia Mattei. Nel frattempo, la balia Tina Baldi saltò in sella alla bicicletta, per far sì che Tullo potesse nascondersi a Cattabiano, nella casa di campagna di Riccardi.

Quest’ultimo fu l’ancora di salvezza dei Vigevani: riuscì a procurar loro i documenti falsi necessari per la fuga in Svizzera e ospitò Tullo nella sua casa fino al febbraio ‘44, quando Tina Baldi, grazie alla complicità di una guardia di frontiera, potè effettuare il rocambolesco passaggio del bambino da una parte all’altra della rete che sanciva il confine con la Svizzera.

Due giorni dopo, il 14 febbraio, nacque Franco Pellegrino Vigevani. Dopo la Liberazione, la famiglia si trasferì in Brasile e vi rimase fino al ritorno a Parma, dove Rolando rivestì la carica di presidente della Comunità Israelitica.

Il 26 dicembre 1988 Pellegrino Riccardi fu insignito del riconoscimento di “Giusto delle Nazioni” dall’ente Yad Vashem di Gerusalemme, titolo conferito ai non-ebrei che hanno agito in modo eroico per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista.

Mario Vigevani e Pellegrino Riccardi

Le storie delle famiglie Foà, Fano e Vigevani, sono solo alcune delle strazianti testimonianze che potrete scoprire partecipando alle iniziative di In strada caduti e in strada rinati, dell’ISREC o semplicemente imbattendovi nei sampietrini dorati della città di Parma. La memoria delle vite dei deportati sarà sempre un monito di imparagonabile importanza.

Come recita un passo del Talmud: “Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome”.

di Silvia Curtale

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