“Le Mani sul Volto”: il convegno dell’UniPR sulla violenza di genere e le ricadute psicologiche

Esperiti e giuristi dibattono su un tema tanto attuale quanto urgente, portando ppunti per un'efficace gestione delle vittime da parte delle istituzioni pubbliche

“Le Mani sul Volto: educare, prevenire e curare la violenza di genere”, questo il nome del convegno che si è tenuto lo scorso mese presso la Sala dei Filosofi dell’Università di Parma sulla tematica, tanto attuale quanto drammatica, della violenza di genere.

Il convegno è stato organizzato e moderato dalla professoressa Olimpia Pino del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma e ha visto una numerosa partecipazione, oltre 300 persone in presenza e da remoto. L’evento è stato possibile grazie al patrocinio del Fondo di beneficienza di Intesa SanPaolo e del Comitato Unico di Garanzia (CUG) dell’UniPR.

Gli interventi hanno analizzato diverse prospettive della violenza nei suoi aspetti giuridico-legali, psicologico-terapeutici e letterari. Da parte dei vari relatori per l’aspetto giuridico si è accennato sull’iter che i reati di violenza di genere seguono nell’attuale ordinamento giuridico italiano. E’ stato inoltre portato all’attenzione della platea l’impatto psicologico che la violenza riversa sulle vittime, poiché questo congresso, si inseriva in un più esteso progetto di ricerca e divulgazione della violenza di genere con le relative e future prospettive di analisi, cura e prevenzione della traumatologia per le vittime.

Una panoramica globale sul fenomeno della violenza di genere

Dai vari dati Istat mostrati durante la presentazione si nota subito una differenza ampia tra il numero violenze effettivamente subite e quelle poi che vengono denunciate, emerge quindi una fotografia statistica della realtà che insegna come affrontare e prevenire il fenomeno, specie quello silente e pericoloso che si consuma tra le mura domestiche.

Quest’ultimo tipo di violenza, infatti, risulta sconcertante nella sua complessa dinamica perché si inserisce in una sfera intima-affettiva che tende a smussare fino ad occludere la reale portata delle violenze fisiche, verbali e psicologiche tra i partner e tutto il background socioculturale che ne fa da contorno.

I dati più recenti ci dicono che le violenze di genere in ambito domestico, in tutte le loro sfumature, si manifestano anche per cause socioculturali, con variazioni macroscopiche nell’incidenza del fenomeno anche in Paesi diversi (tra Occidente e Oriente e Nord-Sud del Mondo): per esempio si vede un 37,7% in India e sud-Est Asiatico a confronto con 23% USA  e 25% Europa.

Per quanto riguarda l’Italia, i dati sulla violenza in ambiente domestico presentano tassi molto alti a fronte di poche denunce e si cercano attualmente vari strumenti multidisciplinari per favorire la denuncia, agevolando la vittima tramite interviste o questionari specifici somministrati da personale adeguatamente formato durante l’accesso al Pronto soccorso.

Spunti per un’efficace gestione delle vittime da parte delle istituzioni pubbliche

Gli esiti della violenza, con tutta la traumatologia che possono presentare, sono profondi e imprevedibili nella loro prima gestione e quindi uno specifico training per il personale sanitario appare sempre più urgente, specie per quelli operanti nei contesti emergenziali dei PS degli ospedali italiani.

Tuttavia esistono oggi delle direttive ministeriali che prescrivono alle autorità sanitarie ed aziende ospedaliere locali di usare test anamnestici brevi, con i soli cinque items più salienti, i quali registrano nella valutazione della vittima solo valori di punteggio più alti, cioè la parte più grave dello spettro traumatico della violenza, perdendo i casi medi e mediani che non vengono dunque registrati né denunciati.

Inoltre questi cinque items di valutazione risultano attualmente non validati per la popolazione italiana (risentono infatti dell’effetto culturale anglosassone giacché la versione originale è statunitense), per cui la proposta di alcuni relatori esperti della materia, tra cui la dottoressa Pino, è stata quella di attivare un tavolo con l’Azienda Ospedaliera-universitaria di Parma per implementare questa pratica che presenta delle lacune nella raccolta di dati e testimonianze delle vittime, a vantaggio e tutela della loro salute psicofisica.

L’obiettivo sarebbe, in fondo, quello di arrivare all’integrazione nell’equipe di Pronto soccorso presso gli ospedali e ambulatori del Servizio sanitario nazionale di una figura professionale dotata di esperienza (uno psicologo, ma non solo) per il trattamento delle traumatologie psicologiche da violenza in modo che l’assessment, cioè la diagnosi iniziale, sia olistica dal punto di vista della salute sulla falsariga di quello che succede da più di vent’anni presso la clinica Mangiagalli di Milano nel team diretto della dottoressa Alessandra Kustermann.

Per gli aspetti legali-giuridici la vicequestore e dirigente del dipartimento Anticrimine della Polizia di Stato di Parma, Silvia Gentilini, e il tenente colonnello Ugo Battaglia, comandante del Reparto Operativo dei Carabinieri di Parma, hanno riportato le testimonianze del loro prezioso lavoro della prevenzione: tramite la sensibilizzazione a questo tipo di reati nelle scuole e nei contesti scolastici in generale, dove la sfera familiare e pubblica si avvicinano l’un l’altra e l’età critica di sviluppo dei ragazzi,  rendono difficile “comprendere e spiegare” questa situazione di violenza.

Nei contesti familiari risulta ancora più difficile “razionalizzare”, da parte di un individuo in età di sviluppo, le violenze perpetrate da un genitore sull’altro: per cui la precoce formazione e informazione in questa fascia d’eta è quanto mai necessaria e urgente.

Dottoressa Olimpia Pino e Vito Mannella del comitato organizzatore

Le testimonianze delle vittime gettano una luce sulle dinamiche interne di un rapporto emotivo malato

Grazie alla collaborazione della Fondazione “DoppiaDifesa ONLUS”, fondata dall’avvocatessa e politica Giulia Bongiorno e dall’attrice Michelle Hunziker, è stato possibile ascoltare in collegamento da remoto una donna vittima di un tipo di violenza di genere recentemente comparso sulle cronache nazionale: il revenge porn. Come riferito dalla stessa vittima il danno inflitto è stato doppio: innanzitutto dalla diffusione tramite internet del materiale pornografico da parte del suo ex partner -con inevitabile lesione dell’immagine- e successivamente dagli insulti e insistenti richieste di contatto da parte di sconosciuti sul web, che si configurano come veri e propri atti di stalking.

Infine, un’annotazione particolare ma rilevante è stata fatta riguardo alla fase storica che abbiamo vissuto negli ultimi mesi, caratterizzata dalla pandemia e dalle restrizioni sociali, le quali hanno compromesso e danneggiato -talvolta in modo irreparabile- la vita di coppia e i rapporti affettivo-relazionali, specie quelli che già vivevano precariamente sull’orlo della violenza.

In questi ultimi mesi di pandemia, infatti, sono tristemente aumentati i casi sia nel numero che nella tipologia di violenza di genere, da quelle più lievi fino a quelli più gravi (come lo stupro e il femminicidio), specie in ambiti familiari e domestici da ricondurre probabilmente all’impossibilità di sfogare le frustrazioni altrove e le limitazione degli spazi e delle attività personali.

Nonostante le iniziali premesse da cui ci siamo tutti mossi e riassunte nel celebre slogan “andrà tutto bene”, questa cruda realtà ci dimostra nuovamente l’impatto negativo che le chiusure e i confinamenti forzati hanno inflitto alla stabilità emotiva e psicologica delle coppie e ci comunica l’urgenza di un intervento tempestivo ed efficace per rimediare a questi danni.


di Riccardo Proni

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