Nel calcio c’è spazio per la comunità LGBTQ+?

Il coming out di Josh Cavallo fa riflettere sulla coesistenza di due mondi che appaiono molto distanti: il calcio e la comunità LGBT+

Credit: Wikipedia

Il calcio è un gioco da uomini veri. Così pensa la maggior parte degli amanti di questi sport. E si sa, l’idea di uomo vero pare essere strettamente legata all’eterosessualità, quindi va da sé che gli spogliatoio non siano proprio i luoghi più inclusivi del mondo.

A far parlare nuovamente dell’apparente incompatibilità tra il mondo calcistico e la comunità LGBT+ è stato l’emozionante video con cui il calciatore australiano dell’Adelaide United Josh Cavallo ha fatto coming out, affermando di essere “un calciatore orgogliosamente gay”. L’atleta, però, non ha nascosto quanto – ancora oggi – l’ambiente del calcio sia colmo di pregiudizi e quanto sia comune e doloroso dover scegliere tra la propria passione e la propria identità.

Cavallo è il primo calciatore in attività a dichiarare apertamente di essere gay e questo fa riflettere se si pensa che in tutto il mondo ci sono 265 milioni di persone che praticano il calcio, di cui 38 milioni sono tesserati per le varie società (dati del “Big Count 2006”, studio condotto dalla FIFA nel 2006).

Non è una novità

Anche se è tornata recentemente a galla, la questione dell’omofobia tra le tribune e gli spogliatoi è stata molto tempo nascosta sotto acque torbide. Risale infatti al 2012 la dichiarazione shock del giocatore italiano Antonio Cassano che, senza troppi peli sulla lingua, aveva affermato in una conferenza stampa: “Ci sono froci in nazionale? Se dico quello che penso sai che cosa viene fuori… Sono froci, problemi loro, speriamo che non ci siano veramente in nazionale. Me la cavo così, sennò sai gli attacchi da tutte le parti”.

Nel febbraio 2020 il centrocampista della Sampdoria Armin Ekdal, nell’ambito dell’incontro Sport vs Omofobia, una partita da vincere organizzato al Parlamento Europeo, ha sottolineato come effettivamente sia difficile portare avanti una carriera da calciatore e allo stesso tempo essere dichiaratamente omosessuali. “Un ambiente nel quale l’omofobia è ancora diffusa e i giocatori che vorrebbero fare coming out sono preoccupati di poter diventare un bersaglio per gli insulti. Si sentono quindi costretti a nascondersi, fuggire e vivere nella paura. Questo è il motivo per il quale dobbiamo reagire, utilizzando l’istruzione per un cambiamento positivo”.

Ma qual è effettivamente la relazione attuale tra queste due comunità? Per approfondire la questione abbiamo deciso di intervistare due ragazzi – Diego Fuligna e Samuele Collovà, rispettivamente fisioterapista dell’AS Senigallia Calcio e allenatore dei Pulcini dell’ASD Fossolo 76 – e abbiamo poi confrontato i risultati delle interviste con i pareri dei nostri followers, grazie a un sondaggio sulla pagina Instagram di Parmateneo. Dagli stereotipi machisti all’importanza della formazione identitaria oltre che sportiva, ecco cos’è emerso.

“È il sistema calcistico che ti porta ad essere a volte maschilista se non addirittura omofobo”

Il retaggio culturale c’è, anche nelle squadre dei giovanissimi, ma sicuramente in quantità minore rispetto agli ambienti più agonistici. Permane tuttavia la tendenza a etichettare, ad esempio con comportamenti e battute, e questo alimenta il calderone di atteggiamenti impliciti” racconta Samuele durante l’intervista, facendo riferimento soprattutto alla sua esperienza lavorativa.

Le parole di Samuele sono state confermato anche dalla maggior parte dei nostri followers, infatti 9 su 17 hanno dichiarato di aver assistito ad un episodio omofobo in ambito calcistico. Anche Diego a tal proposito ha ammesso che: “È il sistema calcistico che ti porta ad essere a volte maschilista se non addirittura omofobo: negli spogliatoi, nelle società e nelle tribune sono soliti insultare gli avversari facendo riferimento alla loro sessualità e virilità.”

“Non rivelate la vostra omosessualità”

“Se qualcuno avesse in mente di farlo (coming out) e dovesse chiedermi consiglio, gli suggerirei di consultarsi con una persona di fiducia e fare onestamente i conti con sé stesso, su quali siano i veri motivi per questo passo – ha scritto l’ex capitano della nazionale tedesca, Philipp Lahm, nel suo ultimo libro dal titolo Il gioco. Il mondo del calcio – ma non gli consiglierei mai di parlare di questo tema con i suoi compagni di squadra”.

"Non rivelate la vostra omosessualità": il consiglio dell'ex giocatore tedesco Lahm
Credit: FB Philipp Lahm

Per questo abbiamo chiesto ai nostri intervistati cosa avrebbero consigliato ad un amico calciatore omosessuale: fare coming out e non nascondere la propria identità oppure restare nell’ombra per paura?

Entrambi avrebbero consigliato all’amico di esporsi, senza nascondere però dubbi e incertezze riguardo alle conseguenze del coraggioso gesto. Rendere pubblico il proprio orientamento sessuale comporta un’esposizione mediatica non indifferente e Samuele ha spiegato chiaramente che c’è una netta distinzione tra la squadra stessa e i tifosi: “Le logiche di gruppo possono essere un ostacolo, ma penso sia molto più semplice che ci sia accettazione e dialogo se la squadra è unita e diretta da un leader forte. Il discorso tifosi invece è molto più complesso e non riguarda solo la diversità in questo senso. Nonostante ciò se qualcuno dovesse sentirne la necessità dovrebbe poter essere libero di farlo senza temere ripercussioni.”

Un ambiente ostile che forse sta cambiando?

Eppure, nonostante il clima non sia certamente d’integrazione, ci sono anche episodi che sembrano rappresentare l’inizio di un possibile cambiamento. La squadra della National League North si è presentata alla sfida con il Bradford nel 2019 con una maglia arcobaleno proprio per supportare la comunità LGBTQ+. Così come il Cagliari Calcio è stato d’esempio aderendo alla scorsa Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia e scendendo in campo con uno stemma ad hoc circondato da colori arcobaleno.

Insomma, il mondo del calcio non sembrerebbe immune ai cambiamenti che stanno attraversando la nostra società, eppure sia le risposte al sondaggio (11 su 18) sia i nostri intervistati hanno confessato che in questo ambito la diversità continua ad essere poco tollerata. Per vedere un vero cambiamento “bisognerebbe partire sfatando il tabù dell’ideale di calciatore virile e circondato dalle donne – ci ha spiegato Diego – coinvolgendo personaggi che hanno fatto o vogliono fare coming out e portandoli come esempi; più calciatori sono omosessuali e più altri potrebbero essere spinti a fare anche loro coming out”.

Il tifoso medio rappresenta proprio l’italiano medio con un certo tipo di formazione culturale. I tifosi che hanno 40-60 anni non sono cresciuti in una società come quella attuale: passi avanti sono stati fatti, perché è la società che lentamente si sta trasformando, ma mi aspetto delle difficoltà nell’accettare l’omosessualità da parte del tifoso medio che guarda questa cosa con sospetto. Non ci può essere un cambiamento a livello calcistico se prima non avviene una svolta sociale.” ha spiegato perfettamente Samuele, che rispecchiano anche il pensiero di Diego così come quello di tanti altri.

Il futuro inizia nel presente, dalla formazione civica e identitaria soprattutto nelle squadre dei più piccoli: “Gli allenatori hanno grandissime responsabilità – dice Samuele – anche educative: i ragazzi devono essere guidati da allenatori formati per far sì che lo sport abbia davvero un ruolo positivo e di supporto per i ragazzi che sono in fase di formazione identitaria. Potenzialmente l’allenatore può fare tanto ma concretamente si è molto limitati. Il problema più grande secondo me è che per essere allenatori non viene considerato necessario essere anche buoni educatori, ma dovrebbe esserlo“.

di Rosita Giuliano

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