Un’estate più forte del silenzio: la mafia spiegata alle nuove generazioni

ENRICO GOTTI E FOGLIAZZA PRESENTANO IL PRIMO LIBRO CONTRO LA MAFIA A PARMA

20150213_174136“Siamo arrivati in anticipo perché a Parma esisteva già un gruppo di persone, oltre a Libera, che dice che la mafia esiste e rischiano di restare isolati, adesso con l’inchiesta ‘Aemilia’, che ha scoperchiato tantissimi aspetti della ‘Ndrangheta in Emilia Romagna, e anche a Parma. Mi piace pensare che sia un omaggio a chi ha sempre detto queste cose, e non ha mai avuto paura di sembrare uno che diceva delle cose non vere o gonfiate”. Così inizia Enrico Gotti, collaboratore della Gazzetta di Parma e autore del libro ‘Un’estate più forte del silenzio’, edito dalla Ediesse, alla presentazione di giovedì scorso alla Feltrinelli di Parma, in via Farini. A mediare l’incontro il giornalista della Gazzetta, Gabriele Balestrazzi. Il libro, in forma fiabesca, racconta la quinta edizione del campo di Libera, tenuto in un bene confiscato alla mafia a Salsomaggiore Terme, nel luglio 2014, con le illustrazioni dell’autore satirico parmigiano, Gianluca Foglia, in arte Fogliazza.

È il primo libro contro la mafia pubblicato a Parma ed è indirizzato principalmente alle nuove generazioni, perché, come sostiene Fogliazza, “o scommettiamo tutto su di loro o è una scommessa persa”. Non è un caso, infatti, che il protagonista del racconto sia un bambino, che non ha la parola, “simbolo della mafia che tira via la speranza e anche la voce”, quasi a raccontare una fase di assopimento della città di Parma nei confronti di un fenomeno corrosivo e dilagante anche per il Nord Italia. “La gente sa come funzionano le cose – spiega Gotti- perché quando la mafia è a cento passi da casa, come diceva Peppino Impastato, molte cose si sanno, anche se non si hanno le conferme, la voce gira. Per questo quando è uscita fuori l’inchiesta la città non è rimasta scioccata, come poteva succedere tempo fa”. Poi aggiunge: “Siamo degli epicentri della ‘Ndrangheta, un collegamento tra l’Emilia e la Calabria”, e si sofferma su alcuni episodi avvenuti proprio nella sua regione, come uno degli arrestati che “in un cantiere in Via dei Mille andava con un’ascia contro il ragioniere”, oppure “un operaio che era andato a chiedergli i soldi ed è stato prima investito, poi gli ha puntato una pistola in testa”.

Gli strumenti per “contagiare con il virus di Libera”, come dice il giornalista Balestrazzi, ci sono: “Fare informazione e parlarne dà fastidio”, interviene Gotti. “Nell’inchiesta si vedono i boss che guardano la tv e sono disperati quando Tele Reggio fa un servizio sui cantieri ai mafiosi, oppure c’è la minaccia alla giornalista del Resto del Carlino, fatta da un poliziotto colluso che la chiama e le intima di non pubblicare le notizie. L’informazione ha un suo ruolo per l’opinione pubblica -spiega l’autore- però ci sono anche tantissime iniziative e ci sono sempre state, come i ragazzi del Liceo classico Romagnosi, che hanno fatto un video contro la mafia spontaneamente, ci sono le scuole che organizzano incontri per parlarne”, ma “la cosa più importante è che ci siano anche le istituzioni, come ad esempio a Reggio Emilia, Enrico Bini, Presidente della Camera di Commercio, è riuscito a contrastare questi episodi e a denunciarli, poi la stazione dei carabinieri di Parma e il lavoro delle forze dell’ordine, che è fondamentale”.

Ma se, come scrive Gotti nel suo libro, “lo Stato non esiste”? “È una frase da cui è partito tutto il libro”, spiega l’autore, con “l’obiettivo di ristabilire qual era la situazione, immaginando di spiegarlo alle nuove generazioni: cos’è lo Stato e cos’è la mafia. E perché non possono essere equiparati”. Così interviene il senatore del Partito Democratico, Giorgio Pagliari: “Bisogna riprendere una riflessione sul modo di essere della città, sulla necessità che la città ripensi davvero se stessa”, senza tralasciare la responsabilità della politica, che ha fatto mancare le differenze tra una forza e un’altra, e ha fatto di un interesse privato un interesse generale. “Abbiamo perso la capacità di indignarci”, conclude.

Non manca, poi, una riflessione sul ruolo della satira sulla mafia, che in Italia non ha molto successo. “Sono convinto che se la satira sparisse dai nostri giornali domani nessuno se ne accorgerebbe”, interviene Fogliazza. “Credo che ognuno abbia il diritto di esprimere una propria opinione, credo che la satira debba graffiare, sempre, e colpire il più potente” e riferendosi ai fatti di Parigi dello scorso gennaio spiega che “se ci sono i contenuti, non c’è bisogno di essere né volgare né offensivo”. Ma è possibile fare satira sulla mafia in Italia? “Si può fare satira su tutto, anche sulla mafia”, risponde Fogliazza, ma “a volte bisogna fare i conti con l’editore, che ti dice di farla però poi dopo ti spunta la matita, perché magari è eccessiva e certi giornali non se la sentono di compromettersi. Però esistono tante altre strade, come l’auto produzione attraverso i social, ormai anche la comunicazione ha una tale possibilità di indipendenza, che ci si può schierare. E in questo senso l’Italia è piena, purtroppo ci sono ancora autori troppo datati che occupano ancora troppo spazio e non lasciano il testimone a ragazzi giovani, come Zerocalcare, come Makkox, che sono straordinari ma pagano ancora le conseguenze di una vecchia guardia che non molla”.

 

 

di Francesca Matta

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