La giornata della memoria sta diventando la giornata del silenzio

L'importanza di un ricordo che sembra perdersi ogni anno di più, "perché ciò che è accaduto può ritornare"

Auschwitz

Siamo nel campo di concentramento più famoso Aushwitz-Birkenau e alle persone si para davanti una scritta di “benvenuto”: Arbeit Macht Frei, il Lavoro Rende Liberi. Ma questa frase non le condurrà alla libertà ma le farà entrare in un inferno costruito ad hoc per loro. 

Il 27 gennaio si celebra la giornata della memoria in cui si ricordano tutte le persone morte tra il 1938 e il 1945 durante lo sterminio nazista nella cieca ricerca della perfezione della “razza”. 

Era il 5 settembre 1938 quando vennero emanate le leggi razziali in Italia e da quel momento la vita di milioni di persone cambiò per sempre. Nell’arco di meno di un decennio morirono più di 6 milioni di ebrei cui bisogna aggiungere altri bersagli della follia hitleriana: omosessuali, disabili, zingari e oppositori politici. Persone comuni, parlavano, mangiavano, lavoravano, pregavano, avevano famiglia, amici – alcuni hanno voltato loro le spalle. 

“Mia madre alla stazione venne selezionata per andare a sinistra, mentre io e mia sorella a destra. Mia mamma venne portata dalla stazione direttamente nelle camere a gas. Quando io e mia sorella completammo le procedure, mia madre era già morta”.

È Renée Firestone a parlare, in Gli ultimi giorni. In questo documentario del 1998, presente nel catalogo Netflix, vengono riportate le testimonianze di cinque ebrei ungheresi sopravvissuti ai campi di sterminio. Essi raccontano la loro storia partendo da poco prima del 1944, anno in cui l’Ungheria venne invasa dai Nazisti e iniziarono le deportazioni, fino al 1998.

Attraverso immagini e parole, particolarmente forti e crude, vengono riportate le atrocità a cui loro e, in alcuni casi, le famiglie vennero sottoposti. Alla fine viene affermato che la gente vuole dimenticare l’Olocausto. Trovo questo molto vero.

Ma come può la gente dimenticare?

Era il 2011 e mia figlia frequentava la quarta elementare e, in occasione della giornata della memoria, le fecero vedere il film Il bambino con il pigiama a righe. Forse una delle poche cose buone che fecero in quella scuola, ma a quanto pare solo per me e pochi altri. Il nonno di un bambino in classe con Marika, il giorno dopo andò a scuola e chiese al maestro come si era permesso di far vedere un film del genere a dei bambini e che suo nipote aveva avuto gli incubi tutta la notte. Io dico che, da un certo punto di vista, è stata una fortuna che questo bambino abbia avuto gli incubi ma mi chiedo, ancora oggi, com’è possibile che a quell’età ancora non conoscesse nulla. E pensare che ci sono stati bambini, anche molto più piccoli, che sono entrati, sono morti e pochi ne usciti dai campi di concentramento. (Lorena Airò)

Da quando sono piccola mia mamma mi ha raccontato e spiegato – prima in modo leggero, poi in modo concreto – cosa successe dal 1938 al 1945, e mi ha sempre detto Marika, non dimenticarti mai cosa è successo, perché la storia si ripete” e io non l’ho mai dimenticato. Ma purtroppo sembra che in pochi ancora ricordino.

“Dal 2004 a oggi aumenta il numero di chi pensa che la Shoah non sia mai avvenuta: erano solo il 2,7% oggi sono il 15,6%. Lo sostiene il Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes. Risultano in aumento, sebbene in misura meno eclatante, anche coloro che ridimensionano la portata della Shoah dall’11,1% al 16,1%” riporta il quotidiano Repubblica. Questi dati dovrebbero spaventare. 

Ogni anno controllo sempre la programmazione televisiva della giornata della memoria e mio malgrado ho notato una progressiva diminuzione di film, documentari o programmi che affrontano, non tanto il tema della Seconda Guerra Mondiale, ma il tema della Shoah. Quest’anno ho contato solo tre canali e di questi solo uno ha trasmesso un film trattante l’Olocausto: Iris con il grande classico Schindler’s List

Perchè, come è possibile?

Io mi sono data qualche risposta, parlando con i miei amici e con la mia famiglia.

Forse perché si parla di avvenimenti lontani da punto di vista temporale? In realtà ciò che è accaduto si è ripetuto più di una volta, tra i più recenti nel 1994 in Ruanda. Ma giustamente a questo punto si parla di una lontananza geografica, giusto? Sì perché finché è là non mi tocca. 

Pare che le persone siano diventate insensibili quando qualcosa non le tocca in modo diretto. Ma non è comunque giusto. La storia dell’Olocausto non ha riguardato solo gli Ebrei, i campi di concentramento non erano solo in Germania o in Polonia, ma anche qua in Italia.

Basti ricordare il campo di lavoro di Fossoli e il campo di concentramento Risiera di San Sabba situato a Trieste. Vi siete mai chiesti quanti parenti delle persone che conoscete potrebbero essere stati internati? Quanti sono tornati a casa e di quanti invece non si è più saputo nulla? Io ricordo perfettamente le parole di una mia amica: “il mio bisnonno è stato deportato, non si sa dove e purtroppo noi non sappiamo più che fine abbia fatto. Sicuramente è morto ma non sappiamo né dove, né quando”. 

Personalmente credo che le persone ignorino e preferiscano così, senza porsi il problema. Ma a questo punto io penso che sia una mancanza di rispetto verso gli uomini, le donne e i bambini che sono sopravvissuti all’inferno e sono dovuti tornare in un mondo che non li voleva e non voleva credere.

Tra questi non tutti sono poi riusciti a sopportare ciò che avevano passato: uno fra tutti Primo Levi, autore dell’opera memorialistica Se questo è un uomo, che, probabilmente, si suicidò dopo anni di logoramenti e di sensi di colpa per essere sopravvissuto. Tra i sopravvissuti sicuramente la figura più iconica è Liliana Segre che ha da sempre cercato di perpetuare nel tempo la memoria degli avvenimenti, sensibilizzando la comunità attraverso numerosi incontri anche nelle scuole. 

Bambini in campo di concentramento

La mia esperienza

Ho iniziato a venire a conoscenza dei fatti quando ero molto piccola e sono sempre stata sensibilizzata sia a casa dalla mia famiglia che a scuola dai miei insegnanti. Quando ero alle medie di Motta Visconti, il mio paesino in provincia di Milano, in occasione della giornata della memoria noi non andavamo a scuola, ma ci ritrovavamo tutti al CineTeatro Arcobaleno e vedevamo un film diverso ogni anno.

Ricordo che guardammo film come Jona che visse nella balena, Il bambino con il pigiama a righe e Storia di una Ladra di libri. Ma la sensibilizzazione non si fermava alla visione di un semplice film, che in realtà tanto semplice non è, ma iniziava il giorno prima quando tutti i professori, o quasi, ci permettevano di discutere tra noi e con loro le nostre sensazioni e ogni anno ci riproponevano la stessa carta geografica dove venivano riportati tutti i campi di concentramento presenti in Europa e ci raccontavano, senza troppi mezzi termini, le torture e le atrocità. 

Una volta arrivata alle superiori mi aspettavo più o meno le stesse iniziative. Invece non abbiamo quasi mai toccato l’argomento. L’unico anno in cui abbiamo fatto qualcosa è stato l’ultimo quando, oltre a studiare la Seconda Guerra Mondiale, andammo a teatro a vedere due spettacoli che trattavano la Shoah: un monologo di Se questo è un uomo e uno che invece trattava la figura, quasi sconosciuta, di Giorgio Perlasca. In questi due casi purtroppo ho avuto la conferma che ai miei compagni quasi non importava: la cosa importante era aver saltato un giorno di scuola. C’era chi dormiva, chi guardava il telefono e qui guardava in aria. Io piangevo.

Giornata della memoria

Mi sono sempre chiesta se i miei coetanei conoscessero la storia della propria famiglia, se avessero avuto la mia stessa fortuna, farsi raccontare dai propri nonni cosa significasse vivere in quel periodo. Forse è proprio questo il motivo per cui ignorano? Oppure alle persone, anche adulte, non importa più niente?

È vero, oggi non esistono più i campi di concentramento in Europa, non si sterminano più le popolazioni solo perché di una religione diversa o per il colore della pelle. Non si uccidono queste persone in modo diretto, ma lo si fa in modo indiretto attraverso i social o a parole.

In quinta superiore abbiamo chiesto di portarci a visitare un campo di concentramento, ma trovammo solo una professoressa disposta a portarci.

Non mandate i figli in gita ai campi di sterminio. Lì si va in pellegrinaggio. Sono posti da visitare con gli occhi bassi, meglio in inverno con vestiti leggeri, senza mangiare il giorno prima, avendo fame per qualche ora ha detto la senatrice a vita Liliana Segre.

Io condivido a pieno. Siamo abituati a vivere in case calde, ad avere sempre cibo nelle nostre dispense, noi non sappiamo cosa significhi avere freddo e avere fame. Forse è anche per questo che le persone non vogliono capire… 

Una cosa però la so: non si possono dimenticare le persone che sono scomparse, gli esperimenti sui neonati e sui bambini, i numeri tatuati sulla pelle, le camere a gas, i recinti elettrificati, le esecuzioni, i forni crematori, le stelle di David e le leggi razziali. 

Dobbiamo ricordarci tutti la frase di Liliana Segre “Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare.

La memoria, anche se a volte può far male, è l’arma – e la difesa – più potente che abbiamo.

Marika Parise

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