La cultura dell’indifferenza ci distacca dal mondo: come smettere di coltivarla?

Voltarsi dall'altra parte piuttosto che farsi coinvolgere è un'abitudine grave quanto la violenza. Sul tema riflette il Papa nell'intervista a Fabio Fazio

Della cultura dell’indifferenza Papa Francesco ha fatto il fulcro di molti dei suoi messaggi tra cui quello che abbiamo potuto ascoltare a Che tempo che fa, durante l’intervista a lui dedicata e che racchiude un pensiero che prescinde dall’aspetto unicamente religioso.

Coltivare la cultura dell’indifferenza vuole dire continuare ad assecondare la psicologia del non vedere, non sentire e non toccare e risultare impassibili dinanzi a situazioni che meriterebbero, piuttosto, attenzione e un nostro coinvolgimento non solo fisico ma soprattutto mentale. Potrebbe apparire come un concetto scontato, da sorvolare e limitato ad argomenti come l’immigrazione, la povertà o le guerre nel mondo, quando in realtà è un messaggio molto ampio, che abbraccia la vita di ognuno di noi e qualsiasi momento di essa. Se apparentemente può rappresentare una scelta più o meno condivisibile e niente di esageratamente grave, le sue conseguenze invece sono la cosa più pericolosa. 

Si può essere indifferenti a qualcosa o qualcuno per mancanza di tempo o perché convinti che non sia importante o che non ci tocchi personalmente. Molte volte non riuscendo a soffermarci ci lasciamo andare alla risposta più veloce e frivola: “Non mi interessa”. Liliana Segre riflette sulla gravità dell’indifferenza, convinta che racchiuda la chiave per comprendere la ragione del male: “Quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore”

Per gli psicologi è uno stato affettivo neutro: chi mette in atto l’indifferenza non sente e non prova nessun sentimento o emozione e quindi nessun dolore. 

Tornando all’intervista di Fabio Fazio a Papa Francesco, una riflessione del giornalista accende un ragionamento nel pontefice: “Nessuno di noi sceglie da chi nascere e dove nascere, eppure chi è più fortunato si comporta come se i privilegi che ha avuto perché è stato fortunato a nascere in una certa parte del mondo fossero dei diritti”. 

“Si deve riflettere su questo. Siamo nati in un paese sviluppato che ci ha dato la possibilità della scuola, dell’università, del lavoro e dobbiamo ringraziare, ma c’è una psicologia che ci chiude: vediamo i bambini morire, i migranti annegare, vediamo le ingiustizie anche nel nostro paese ma c’è sempre una tentazione più brutta, guardare da un’altra parte. Con i media noi guardiamo tutto ma prendiamo distanza e guardiamo da un’altra parte. Diciamo che è una tragedia, ci lamentiamo un po’ e poi è come se niente fosse accaduto.” 

“Non  basta vedere, è necessario sentire, è necessario toccare e qui entra quella psicologia dell’indifferenza. Io vedo ma non mi coinvolgo, non tocco e vado avanti”

“La migliore arma è l’indifferenza”

Chi non l’ha detto almeno una volta nella vita? In alcuni casi non potremmo affermare diversamente, in altri diremmo invece che è la più pericolosa. Quando usata può creare enormi conseguenze che si ripercuotono su soggetti e contesti diversi, alcuni anche apparentemente estranei.

L’indifferenza non è soltanto quella cosa che ci fa evitare di incrociare lo sguardo di qualcuno che ci ha fatto del male, ma è anche quell’atteggiamento che ci fa voltare dall’altra parte quando una situazione a noi vicina potrebbe risultare impegnativa, sconveniente o semplicemente apparire come un qualcosa che provoca in noi disinteresse. Ogni giorno, in qualsiasi momento potremmo essere coinvolti in una manifestazione di indifferenza, che sia la nostra o quella di qualcun altro. Per i soggetti che la mettono in atto non esiste nessun particolare per cui valga la pena soffermarsi e spendere un po’ di attenzione.

Tante volte però, piuttosto che sottrarsi da una responsabilità ed evitare di dover affrontare una questione poco piacevole, sarebbe opportuno mostrarsi aperti e pronti a recepire un determinato messaggio. Utilizziamo la parola indifferenza anche per le cose più banali: la facciamo diventare la strategia migliore per far cadere ai nostri piedi un uomo, la più azzeccata per vendicarsi di un’amica che non si è comportata bene e non ci rendiamo conto di quante volte ce ne serviamo ingiustamente per circostanze in cui andrebbe dimostrato esattamente il contrario.

Per lo scrittore Antonio Galdo, l’indifferenza è una delle tre motivazioni che alimenta l’essere procrastinatore, ovvero quel comportamento che ci induce a ritardare volontariamente qualcosa per guadagnare tempo o per l’intenzione di non farla completamente. 

“Nei fatti siamo sempre più tentati a procrastinare, a rinviare, a non assumere decisioni nel momento giusto, laddove il timing può fare davvero la differenza” 

Galdo spiega come in America questo sia diventato un vero business: da corsi online a 400/500 dollari a piani studiati da coach che dovrebbero “guarire il cervello” e aiutare a uscire da questa “trappola”.

Siamo abituati a sentir parlare di indifferenza in diversi contesti, forse di più in quelli in cui il suo utilizzo viene considerato una cosa positiva. Quando si chiede di restare indifferenti dinanzi  a qualcosa che può farci male, siamo tutti d’accordo ma quando con l’indifferenza facciamo noi stessi del male, chi se ne accorge? L’indifferenza ci porta ad avere un comportamento di non pensiero e di non azione e allo stesso tempo non ci fa rendere conto dell’errore che potremmo aver fatto.

Come si può, allora, uscire da questo tunnel?

Con la cultura della cura, sempre secondo Papa Francesco, che si fonda su quattro principi cardini: dignità e diritti della persona, solidarietà, cura del bene comune e cura e salvaguardia del pianeta. Si tratta di un impegno comune che dovrebbe coinvolgere tutti quanti e metterci a disposizione del mondo. Sviluppare l’empatia sicuramente è un punto fondamentale per riuscire a provare compassione e immedesimarsi nell’altro. Nessuno di noi è nato con il privilegio di poter vivere meglio di qualcun altro o con il diritto di poter essere indifferente dinanzi a situazioni spiacevoli e nemmeno di poter danneggiare la casa in cui vive: il mondo e la sua natura. “La natura ha riservato tutte le cose per gli uomini per uso comune. (…) Pertanto, la natura ha prodotto un diritto comune per tutti, ma l’avidità lo ha reso un diritto per pochi”. Durante un suo messaggio, il Pontefice riporta questa frase di Sant’Ambrogio.

La cultura del bene comune contiene le basi per cui ogni aspetto della vita sociale, politica ed economica possa perfezionarsi, e per cui la società in cui oggi regna il disinteresse e con esso il rifugiarsi in mondi paralleli fatti di apparente materiale perfezione, diventi qualcosa di diverso.

Secondo Papa Francesco fare nostra questa cultura andrebbe a segnare “il processo di globalizzazione” grazie a “una rotta veramente umana”

Alcuni giustificano l’indifferenza con la superficialità, quando in realtà sarebbe giusto intenderla come un’altra vera e propria cultura che fa concorrenza a quella della cura ed entra a far parte di ognuno di noi, diventando abitudine e cosa normale. Durante l’intervista Fazio ricorda le immagini di una bambina siriana che a piedi scalzi trema per il freddo e, allora, riflette sul fatto che dovrebbe essere questa la prima cosa di cui preoccuparsi prima di pensare a tutto il resto. “Siamo abituati a questo, – risponde il Papa – siamo abituati alle guerre. La cosa a cui si da più importanza oggi è la guerra: guerra ideologica, di potere, commerciale”.

La cultura della cura darebbe origine alla “società della cultura” o viceversa. Quella società che già da qualche anno si sta tentando di trasformare in una più consapevole ed equa, grazie ai movimenti sociali e alle riflessioni che siamo invitati a fare sempre più spesso, sul rispetto dell’ambiente e del prossimo.

Tuttavia la società di oggi, in cui i social che stanno formando il nuovo habitat contemporaneo dei più giovani, tendono a mostrare sempre di più il lato perfetto e agiato della vita, tralasciando il resto come se non fosse appropriato rivelare anche l’altra faccia della medaglia, fatta di tristezza, problemi e responsabilità, ci fa allontanare dalle cose che realmente contano. Oggi si scorrono “storie” e pensieri velocemente, addobbate di musiche e GIF felici e grazie a questi riusciamo a entrare nell’intimo di una persona, di una coppia o addirittura di una famiglia convincendoci che sia quella la vita perfetta: cene al ristorante, shopping al centro di Milano e vacanze in montagna.

Considerando il tempo e gli strumenti materiali di chi mette in mostra questa realtà e di chi sceglie invece di tenerla per sé, sicuramente senza tanta difficoltà si potrebbero convertire attimi di superfluo in attimi di attenzione da dedicare a qualcosa o a qualcun altro.

di Giuliana Presti

1 Commento su La cultura dell’indifferenza ci distacca dal mondo: come smettere di coltivarla?

  1. Paola Insola // 21 giugno 2023 a 19:19 // Rispondi

    Nel mio libro L’ESPERIENZA DEL RODODENTRO già avevo dedicato un capitolo allInfifferenza, ma,ho gradito questo ampliamento che mi permette altre riflessioni. Grazie

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