Lavoro: il dilemma della settimana corta

Il Belgio e gli Emirati Arabi aprono il nuovo anno nel migliore dei modi, ma quello della settima corta resta sempre un argomento delicato, soprattutto in Italia

4 Day Week

“Se otto ore son troppo poche, provate voi a lavorare. E sentirete la differenza di lavorar e di comandar“. Così intonavano le mondine agli inizi del Novecento, per richiedere una riduzione dell’orario di lavoro giornaliero a 8 ore, protesta che vide i primi risultati verso la fine del primo decennio. Ma la storia della riduzione degli orari di lavoro è lunga e ha visto nel tempo notevoli cambiamenti, ma anche tante lotte.

Ai giorni nostri, saltuariamente, il tema della settimana corta torna alla ribalta, tra pro e contro, e mille difficoltà. Il 2022 però si è aperto con una notizia rilevante. Gli Emirati Arabi infatti sono stati ufficialmente il primo Paese al mondo ad adottare la settimana lavorativa di quattro giorni e mezzo. La riforma sarà valida per il settore pubblico e per le scuole. A questa riforma, si aggiunge un ulteriore cambiamento riguardo ai giorni lavorativi. Se prima, come da tradizione, la settimana lavorativa si svolgeva dalla domenica al giovedì, da quest’anno gli Emirati Arabi si allineeranno alle politiche internazionali; si inizierà il lunedì fino al venerdì alle 12,00, venendo meno alla tradizione del venerdì libero, giorno dedicato alla preghiera per la religione musulmana.

Anche il Belgio tenderà la mano ai propri lavoratori e farà un passo notevole verso l’approvazione di un riforma che riduce a quattro i giorni lavorativi settimanali. La riforma non prevede però alcuna riduzione delle ore di lavoro né del compenso mensile, quindi i lavoratori che aderiranno a questa iniziativa dovranno lavorare circa 9 ore e mezzo al giorno per concludere le 38 ore settimanali. Ad annunciarlo è stato Alexander de Croo, primo ministro del governo belga:

“Con questo accordo, abbiamo posto un faro per un’economia più innovativa, sostenibile e digitale. L’obiettivo è essere in grado di rafforzare le persone e le imprese”.

Alle parole del primo ministro si sono aggiunte quelle del ministro del lavoro, Pierre-Yves Dermagne, che ha affermato che la decisione spetta solo al lavoratore, infatti la richiesta di una settimana breve “..deve essere fatta su richiesta del dipendente, con il datore di lavoro che fornisce solide ragioni per qualsiasi rifiuto”. Il ministro ha definito questa riforma un progresso concreto, che garantisce equilibrio tra vita professionale e privata.

Se il 2022 ha portato già buoni risultati tra Emirati Arabi e Belgio, ai quali potrebbero aggiungersi sia la Spagna che la Scozia, nell’ultimo decennio sono state diverse le nazioni, ma soprattutto le aziende, che hanno sperimentato la 4 giorni lavorativa.

Tra il 2015 e il 2019 è stata l’Islanda a testare la possibilità di introdurre settimane lavorative da 35 e 36 ore settimanali, garantendo però la stessa retribuzione. I test in Islanda hanno coinvolto circa 2.500 lavoratori, che hanno visto la loro media lavorativa scendere da 40 ore a settimana a 35, portando ad un enorme successo. In base al monitoraggio di queste prove si è evidenziata una crescita della produttività e una diminuzione dello stress, che ha permesso un’ottima conciliazione per i dipendenti tra lavoro e vita privata.

Come anticipato, sulla scia degli ottimi risultati ottenuti dall’Islanda e in seguito ad una promessa elettorale della presidente Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party, anche la Scozia si dirige verso una riduzione del 20% dell’orario lavorativo per circa 20 mila lavoratori nei prossimi 3 anni, e lo stesso farà la Spagna. Nella continente spagnolo, la riforma avrà la durata di tre anni grazie ad un finanziamento di 50 milioni di incentivi approvata dal governo di Pedro Sánchez. La proposta è stata lanciata dal partito di sinistra spagnola Más País, tramite il proprio leader Íñigo Errejón e accolta dal governo in carica.

Alla lista si aggiunge anche il Giappone. Nel 2019, fu la Microsoft ad avviare un programma chiamato “Work-Life Choice Challenge 2019 Summer”. L’obiettivo dichiarato era quello di ottenere una maggiore produttività e migliorare la salute mentale e fisica dei lavoratori; entrambi gli obiettivi furono conseguiti, raggiungendo un 40% in più di produttività. Oggi è la Panasonic, una delle maggiori aziende al mondo nella produzione di materiali elettronici, a sposare la linea del Paese nipponico, con l’obiettivo soprattutto di attirare nuovi talenti.

Il Perpetual Guardian e The Four-Day Week

L’esempio più concreto, tra gli altri, di questo enorme fenomeno che sta sempre più prendendo piede nel mondo giunge però dalla Nuova Zelanda. Nel febbraio 2018, la società Perpetual Guardian annunciò che avrebbe dato il via ad una prova di 4-Day Week, in 6 settimane tra Marzo e Aprile per 240 impiegati. Apripista dell’iniziativa fu il fondatore Andrew Barnes. Il processo, monitorato e valutato parallelamente dalla University of Auckland Business School e Auckland University of Technology, è stato descritto come un successo e ha attirato l’attenzione dei media internazionali.

La strategia di Barnes fu quella di focalizzare l’attenzione sull’aumento della produttività. Per Barnes era necessario convincere lo staff manageriale dell’azienda ad accettare la sua proposta pensando non tanto all’accondiscendenza verso una vita più sostenibile dei dipendenti, quanto piuttosto ai risultati che essa avrebbe garantito in termini di produttività. Dopo la prova, dal novembre 2018, la Perpetual Guardian ha approvato ufficialmente la settimana lavorativa di 4 giorni, senza tagli allo stipendio e senza straordinari.

Inoltre, con i risultati ottenuti e la collaborazione con l’Università di Auckland, Barnes riuscì a pubblicare successivamente un rapporto, intitolato proprio The Four-Day Week e un sito web, in cui spiega, con la collaborazione di Charlotte Lockhart, in cui sono stati riportati tutti i dettagli dell’esperimento e una serie di suggerimenti pratici. Barnes sottolinea che c’è una regola fondamentale: concentrarsi sulla produttività, non sul benessere, facendo in modo che siano i dipendenti stessi a trovare soluzioni e proposte per permettere loro di lavorare di meno, ma producendo di più.

Ma quindi, la settimana “corta” potrebbe essere davvero la soluzione anche per l’Italia ?

L’Italia stakanovista

Tra i Paesi prima citati non troviamo sicuramente l’Italia, molto timida in merito a questo tema, anche se qualche azienda, come la Carter & Benson, azienda milanese di consulenza strategica, ha deciso di seguire le orme delle altre aziende europee. La C&B porta avanti una strategia aziendale che oltre al lavoro ridotto prevede lo smartworking o il remote working dal 2005. Il tema sulla riforma del lavoro, in Italia, anche se viene fuori spesso, non si concretizza mai. Sicuramente discutere della settimana corta è importante soprattutto per porre più attenzione sul tema del benessere dei lavoratori, anche se ridurre il carico di lavoro o il monte ore per le aziende italiane non è sempre possibile come per il resto dei Paesi europei ed extraeuropei, soprattutto perché lo Stato non agevola le aziende nel sostenere un costo del genere.

Inoltre, in Italia, il problema non è la parità di salario con meno ore di lavoro, ma il fatto che i salari stessi siano già bassi e che i lavoratori spesso siano obbligati a svolgere due o tre lavori per arrivare a fine mese, quindi la riduzione delle ore di lavoro sarebbe un incentivo per occupare quelle ore con un altra fonte di guadagno. Non è un caso che, secondo l’Ocse, con dei dati che risalgono al 2019, l’Italia risulti essere il Paese dove si lavora di più a settimana, insieme alla Grecia, ma dove si produce di meno, davanti solo alla Grecia stessa. Pensare ad un sistema di settimana lavorativa breve sulla base delle esperienze delle altre nazioni, in Italia, per adesso resta illusorio, perché ad oggi l’Italia non mostra molti requisiti di garanzia, soprattutto al termine di due anni di pandemia che hanno provocato ulteriori danni all’economia del Paese.

di Mattia D’annucci

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