Tra necessità, scelte e diritti a rischio: chi e come oggi sceglie l’aborto

DATI, LEGGI ED ESPERIENZE A CONFRONTO. A PARMA IL 66% DEI GINECOLOGI OBIETTORI DI COSCIENZA

film-choc-aborto Cosa significa rimanere incinta a vent’anni? Quali sono le ragioni che possono portare a decidere di tenere il bambino o meno? Jessica, 23 anni, non ha avuto dubbi quando tre anni fa ha scoperto di essere incinta, era al settimo cielo. Genitori e fidanzato con lei, nessuno ha cercato di influenzarla, tutti sono rimasti al suo fianco. Adesso la sua vita è cambiata, la realtà è quella di una donna: casa, lavoro e la sua bambina. L’unico rimpianto, se così si può dire, è non aver continuato l’Università, ma le gioie che riesce a darle la bambina, nonostante tutte le difficoltà, compresa la separazione dall’allora compagno, non le fanno mai perdere il sorriso. “Ringrazio Sofia di fare parte della mia vita perché non potrei desiderare niente di meglio al mondo. Se tornassi indietro lo farei altre mille volte”.

Diverse invece le parole di Sara, ventenne, rimasta incinta un anno e mezzo fa. L’aborto per lei è stato l’unica scelta possibile, i genitori non l’hanno mai saputo, il fidanzato, di soli due anni più grande, non ne voleva sapere. Lui non è mai stato presente, alle visite andava con l’unica amica con cui si era confidata, ma chiaramente la decisione l’ha presa con il ragazzo. Il sì, però, non è mai stato tenuto in considerazione. “Ho fatto l’operazione, hanno aspirato il feto alla settima settimana. E’ stato veloce, in una mattinata ero già a casa”, racconta Sara. I fattori per cui ha optato per l’aborto sono stati la brevità della relazione con il partner e non di meno l’impegno economico: entrambi sono studenti e vivono a carico dei genitori. Anche l’età ha influito, “se fossi stata più grande, con una situazione economica stabile e una persona sicura al mio fianco credo che l’avrei tenuto.” Il ruolo del fidanzato è stato fondamentale, è stato chiaro sin da subito: non lo voleva. “Il momento è stato difficile da affrontare, ma ho fatto tutto con decisione e coraggio perché era la cosa giusta da fare in quel momento. E se tornassi indietro, nelle stesse condizioni, lo rifarei.”

LA LEGISLAZIONE PRIMA E DOPO IL 1978 – Fra i dubbi intrinseci all’interruzione della gravidanza proposti da etica, fede, denaro e famiglia, almeno dalla legge ci si aspetta chiarezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Invece si propongono anche più forti al momento di mettere su carta diritti e tutele. Unica certezza: dal 1978, la libertà di scelta ha prevalso sul reato dell’aborto, ma non è proprio vero. Infatti a far emergere l’esigenza di adeguare la legislazione non fu tanto il diritto di scelta quanto il fatto che la tutela del concepimento imponeva la possibilità di ricorrere all’Ivg (interruzione volontaria della gravidanza) per motivi molto gravi. La legge 194 del 1978 infatti permette alla donna il ricorso a questa pratica nei primi 90 giorni dettando condizioni particolari: solo in caso di “serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali, o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepimento”.
Ben lontani dal puro diritto di scelta nel 2015 come nel 1978, più che scegliere liberamente questa soluzione sembra possibile ricorrere ad essa solo nei casi in cui la legge non lo proibisca.

Ci si aspetterebbe un’uniformità di approcci dalle legislazioni degli Stati europei su un tema tanto delicato, eppure molti aspetti sono fonte di perplessità: in Italia si può richiedere l’Ivg fino alla 12esima settimana mentre nel Regno Unito la scadenza è fissata alla 24esima. Inoltre, la legge prescrive che gli ospedali debbano garantire gli strumenti socio-sanitari per offrire il servizio ma, dall’altra parte, assicura ai medici il diritto all’obiezione di coscienza. Il legislatore si preoccupa di tutelare il diritto alla procreazione, alla maternità coscienziosa, contro la strumentalizzazione dell’Ivg per il controllo delle nascite ma in alcune regioni fra cui Lazio, Basilicata, Campania e Molise queste tutele si traducono nella quasi totale impossibilità per la donna di trovare accoglimento alla propria domanda.
Ciò che si sa per certo è che la legislazione precedente al 1978, nel considerare l’aborto un reato penale in virtù del diritto alla vita sin dal concepimento, puniva con la reclusione dai 6 mesi ai 12 anni il reato di istigazione all’aborto, di procurarlo a sé stesse o a una donna non consenziente o consenziente, caso in cui la pena verrebbe comminata sia all’esecutore sia alla donna stessa. Clausola inquietante, la diminuzione da metà a due terzi della pena concessa nel caso in cui il reato fosse stato commesso “per salvare l’onore proprio o di un prossimo congiunto”. Su questa linea di pensiero però, il ricorso all’Ivg è stato autorizzato perché era ormai impensabile perseguire penalmente vittime di stupro, minorenni senza l’appoggio familiare, o madri che per il figlio volevano una vita migliore di quella offerta da una malformazione.

INCREMENTO DELL’OBIEZIONE DI COSCIENZA: A RISCHIO I DIRITTI DELLE DONNE? – L’obiezione di coscienza, uno dei diritti previsto dall’art. 9 della legge 194 sull’aborto “esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza”. Questa possibilità ha fatto sì che nel 2012, secondo gli ultimi dati rilasciati dal Ministero della Salute, la percentuale di ginecologi obiettori sia arrivata al 69.6% (ma in Molise ben al 90.3%), insieme al 47.5% degli anestesisti e al 45.0 % del personale non medico.
Sempre secondo la relazione del Ministero, nelle strutture sanitarie dell’Emilia-Romagna che praticano interruzioni volontarie di gravidanza, l’incidenza nel 2013 dell’obiezione di coscienza riguarda oltre la metà dei medici ostetrici-ginecologi (56.1%, in aumento rispetto al 2012) e circa un terzo dei medici anestesisti (32.8%), con una grande variabilità tra le Aziende.

La situazione a Parma non smentisce la media italiana: secondo i dati della Regione, nell’Azienda Ospedaliera locale il 66,7% dei ginecologi si rifiuta di praticare l’Ivg. I numeri parlano chiaro: quando ben oltre la metà dei medici si rifiutano di praticare l’aborto anche la stessa legge non è al pieno della sua efficienza.
Ma perchè essere obiettori di coscienza? Oltre alle questioni etiche, manifestate, tra gli altri, dal Movimento per la Vita, l’aborto rappresenta per molti un’attività della professione gravosa, poco remunerativa e poco appagante da cui si preferisce essere dispensati. Allora per garantire, secondo la legge, l’effettuazione degli interventi di Ivg, si deve ricorrere alla mobilità del personale non obiettore, con la possibilità di ritardi, disagi e spostamenti da regione a regione anche per le donne. Perchè dunque rischiare di “impedire ai pazienti di accedere a servizi a cui hanno legalmente diritto”? (come ha sottolineato in merito alla questione la sentenza del 26.5.2011 della Corte di Strasburgo). Una soluzione al problema sarebbe garantire in ogni reparto di ostetricia, almeno il 50% di personale non obiettore, e in tutto l’arco della giornata.

DATI ED ESPERIENZE, PAROLA AI FUNZIONARI DEL CONSULTORIO – Lo Spazio Giovani di via Melloni è il consultorio locale per ragazzi di età compresa tra i 14 e i 21 anni, dove lavora un’équipe di due ginecologhe, due ostetriche, una psicologa e altre cinque figure tra psicologi ed educatori. Gli ultimi dati disponibili sulle Ivg, pur risalenti al 2011-2012, ma disegnano una situazione ancora attuale. Nel 2011 delle 43 donne che si sono rivolte al consultorio per questo servizio il 54% era minorenne, l’anno successivo il 25%. Tra queste il 53% aveva 17 anni, il 20% 15 anni e il 17% 16. Le italiane a usufruire del servizio nel periodo considerato sono state il doppio rispetto alle straniere, provenienti per lo più dall’Africa (Etiopia, Ghana, Burkina Faso), per il 27% dall’Est europeo e per il 19% da Centro e Sud America.

Ma come sostenere una donna che ricorre a questa scelta, soprattutto se in età adolescenziale? “Non è sempre facile mantenersi nell’ambito della professionalità, perché ci sono storie che ti coinvolgono sul piano umano”, risponde la ginecologa referente dello spazio giovani Barbara Galanti, sottolineando la difficoltà più grossa del proprio mestiere: quella di rispondere alle giovani in difficoltà e confusione su più fronti, da quello medico a quello psicologico ed emotivo, alla situazione scolastica. “Mi ritrovo a fare non solo la ginecologa ma anche un po’ la psicologa e la mamma. Però è anche il bello del nostro lavoro”, aggiunge. Così lo Spazio Giovani viene percepito come una porta aperta dove i ragazzi possono trovare ascolto.
Ma il compito dei consultori è anche quello di far prevenzione. Prima dell’esperienza dell’aborto, sempre secondo i dati disponibili, il 60% delle ragazze che hanno affrontato questo trauma non usava nessun metodo contraccettivo, l’11% di loro usava il preservativo, il 21% la pillola e il 5% si affidava al coito interrotto. Dopo l’Ivg, invece, ben il 63% delle ragazze hanno iniziato ad adottare la pillola. Secondo il mandato regionale, infatti, i consultori pubblici in questi casi sono tenuti a fare prevenzione di ulteriori gravidanze indesiderate prescrivendo la pillola contraccettiva.
Un altro dato che emerge è la crescente partecipazione dei compagni e fidanzati delle giovani che si rivolgono al consultorio: mentre i genitori vengono raramente coinvolti in primo luogo dalle ragazze stesse – soprattutto per paura di affrontare certe tematiche in famiglia.  “E’ anche il frutto del lavoro che stiamo facendo nelle scuole, dove, parlando di contraccezione, non la affrontiamo più solo dal punto di vista strettamente medico, ma parlando anche di sessualità e di affettività, quindi della gestione della sessualità come coppia; anche la scelta contraccettiva, dunque, non deve essere solo della ragazza ma della coppia”, conclude la dottoressa.

IL PERCORSO PER UNA MINORENNE DALLA DECISIONE ALL’INTERVENTO – Come spiega l’ostetrica del consultorio, Cristina Lottici,  la procedura per le ragazze in gravidanza minori di 21 anni prevede innanzitutto un colloquio psicologico durante il quale si cerca di capire quali sono i motivi per cui non si desidera completare la gravidanza e si valuta l’approccio a questo evento. In sostituzione di uno o di entrambi i genitori si ricorre a un giudice tutelare, a cui si chiede di acconsentire alla ragazza di interrompere la gravidanza. Nel caso in cui la scelta di abortire avvenga per difficoltà economiche, il consultorio è tenuto per legge a proporre  un eventuale sostegno da parte dei servizi sociali comunali o dalle istituzioni convenzionate che si occupano di diritto alla vita. Dopo la stesura del documento che rende possibile l’intervento, il consultorio si occupa della prenotazione nell’azienda ospedaliera.

Una volta effettuato l’aborto, la relazione con la ragazza prosegue anche dopo: trascorsi 20 giorni si effettua al consultorio un controllo generale per accertarsi del suo stato di salute, ma è anche proposto un colloquio psicologico dopo l’intervento che per dare supporto a seguito di un’esperienza che segna la vita.
“Il nostro ruolo quindi è quello di garantire alla ragazza un sostegno. Noi cerchiamo di non imporre una scelta, ma ascoltiamo la ragazza e ci incentriamo su quello che è il suo desiderio” afferma l’ostetrica. I colloqui psicologici inoltre possono essere anche più di uno e la presenza dell’operatore del consultorio deve garantire quel tanto di imparzialità e delicatezza da non invadere la libertà di scelta della ragazza, soprattutto quando sono assenti i genitori e, soprattutto, il compagno. “E’ sempre un momento molto complesso – continua la dottoressa – Il nostro ruolo è proprio quello di non manifestare troppo ciò che pensiamo quindi è necessario avere il giusto distacco per poter aiutare, ma nello stesso tempo essere emotivamente vicini alla ragazza.

di Valentina Bocchi, Alice Caro, Andrea Francesca Franzini, Silvia Granziero, Federica Russo

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