Il ‘diritto ad avere un futuro’: ALFONSA parla di modifica della Costituzione per un futuro sostenibile dei giovani
La terza giornata di incontri del progetto ALFONSA pone il focus sulle nuove generazioni. Quali saranno le conseguenze che le recenti modifiche alla Costituzione italiana avranno su di loro?
Sabato 18 giugno si è svolto presso la Sala Polivalente del Centro Culturale di Langhirano (PR) il terzo incontro settimanale del ciclo di seminari AL.FO.N.SA. (Alta Formazione e Innovazione per lo Sviluppo Sostenibile dell’Appennino), il progetto regionale organizzato dall’Università di Parma e dagli altri atenei della regione che riunisce imprenditori, istituzioni, professionisti e cittadini per affrontare il tema della riqualificazione dell’area appenninica nell’ottica dell’Agenda 2030.
Il seminario, intitolato “Giovani e lavoro: modifica della Costituzione per un futuro sostenibile” ha avuto tra i suoi relatori l’assessore regionale Emilia-Romagna alla montagna, parchi e forestazione, aree interne, programmazione territoriale e pari opportunità Barbara Lori, la professoressa Veronica Valenti (Dipartimento di giurisprudenza, studi politici e internazionali dell’Università di Parma), il dottor Leonardo Figna (presidente del Gruppo Giovani dell’Industria dell’Unione Parmense) e Alessia Naso (Consulta Giovani di Langhirano). Gli incontri sono stati moderati da Francesco Dradi (giornalista e collaboratore della rivista ‘La Nuova Ecologia’) e hanno visto la partecipazione del professor Alessio Malcevschi (responsabile scientifico di ALFONSA per l’Università di Parma), della dottoressa Giulia Berni (responsabile comunicazione del progetto) e del sindaco di Langhirano Giordano Bricoli.
Argomento principale della conferenza sono stati i giovani, le future generazioni, le conseguenze delle recenti modifiche alla Costituzione e l’impatto che questi tre elementi avranno sui programmi di sostenibilità europea e sul raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030.
La sostenibilità entra a far parte della Costituzione
L’8 febbraio 2022, la Camera dei deputati ha approvato definitivamente la proposta di legge volta ad inserire la tutela dell’ambiente tra i principi fondamentali della Costituzione. Nello specifico, la proposta ha inserito un nuovo comma all’Articolo 9, includendo tra i principi fondamentali enunciati dalla Costituzione la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni accanto ai già presenti principi di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione. Una seconda modifica ha riguardato l’Articolo 41, che riguarda l’iniziativa economica, stabilendo che essa non possa recar danno alla salute o all’ambiente oltre che alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, e riservando alla legge la possibilità di indirizzare e coordinare l’attività economica, pubblica e privata, a fini non solo sociali ma anche ambientali. In pratica, come delineato dalla professoressa Veronica Valenti, le nuove modifiche introducono nella Costituzione il concetto di “prospettiva intergenerazionale” obbligando qualunque organo giuridico a valutare da questo momento in avanti l’impatto che una legge o un provvedimento possono avere nei confronti delle future generazioni e dell’ambiente.
Le modifiche agli articoli 9 e 41 sono solo le ultime tra le iniziative di carattere legale promosse dal nostro Paese con l’obiettivo di rispettare le regolamentazioni europee sulla sostenibilità e l’indipendenza energetica, come l’Agenda 2030. Fino al 2001, la parola ‘ambiente’ non compariva nemmeno nella Costituzione, e anche negli anni successivi essa aveva un significato giuridico equiparabile a quello di ecosistema. Oggi, nel sistema legislativo italiano possiamo trovare leggi e definizioni giuridiche che riguardano temi e tecnologie ambientali molto più vincolanti rispetto agli anni antecedenti al 2019. Crisi, pandemie, recessioni… ogni ostacolo che l’Italia e l’Europa si sono trovati ad affrontare non ha messo a dura prova solo la popolazione, ma anche il sistema istituzionale, giuridico e culturale, evidenziandone in molti casi i punti deboli e incentivando gli organi di stato a prendere provvedimenti.
Ogni progetto o tecnologia, prima di essere approvato, necessita di un iter burocratico che consenta di definirne appieno limiti e potenzialità: cosa succederebbe, ad esempio, se, dopo aver comprato un mobile IKEA, vi accorgeste della mancanza di componenti, dell’aggiunta di materiale non necessario o di avere scaffali di dimensioni diverse? Sicuramente non sareste in grado di costruire la libreria dei vostri sogni e, memori del fallimento, sareste scoraggiati a ripetere l’esperienza di acquisto; definire con precisione mezzi e progetti, di conseguenza, consente di proteggere meglio non solo le industrie, ma anche i singoli consumatori.
Avere definizioni legali più stringenti può essere il primo passo per la creazione di una governance; tuttavia il lavoro che imprese, enti e cittadini devono compiere per sostenere e promulgare il cambiamento è altrettanto importante. L’Emilia-Romagna, da questo punto di vista, è una delle regioni italiane più attive nelle sue attività di supporto e comunicazione per la sostenibilità, come evidenziato dall’assessore Barbara Lori: lo dimostra il fatto che, negli ultimi anni, la regione abbia dato il via ad una serie di progetti di riqualifica e modernizzazione del territorio, come il Progetto GECO di Bologna o le comunità energetiche rinnovabili di Imola, oltre ad aderire ad iniziative come i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAESC) o il Patto dei Sindaci.
Giovani e lavoro: un problema spinoso
Non è un segreto che i giovani in Italia, come descritto da Alessia Naso della Consulta Giovani di Langhirano, si trovino in una situazione a di poco paradossale: se, infatti, da un lato, la dialettica dei media continua a ribadire come le nuove generazioni costituiscano il cuore pulsante dell’innovazione o di come iniziative come i Fridays for the Future o la March for Our Lives abbiano scosso le fondamenta di istituzioni e opinione pubblica, in Italia le possibilità per un giovane lavoratore rimangono alquanto limitate. Secondo i dati ISTAT, nel 2022 il tasso di disoccupazione tra i ragazzi tra i 15 e i 19 anni ammonta al 24%. Praticamente un giovane su quattro non trova lavoro e non studia, annoverandosi tra la crescente fascia di giovani non produttivi, i cosiddetti NEET. Un valore allarmante, soprattutto se si tiene conto del fatto che, sempre secondo l’ISTAT, entro il 2050 la popolazione di anziani in Italia sarà pari o superiore a quella dei lavoratori. Tra i giovani che trovano un impiego, circa la metà lavora con contratto a termine, mentre, tra quelli che lavorano part time, circa il 78% lavora con un contratto part time involontario (Eurostat). Dati che risultano piuttosto imbarazzanti quando si considera che il 2022 è stato dichiarato dalla Commissione europea come l’’anno europeo dei giovani‘. Per i ragazzi italiani non solo non ci sono opportunità ma mancano anche i modelli di riferimento: solo il 14% dei dirigenti italiani ha meno di quarant’anni, meno della metà rispetto a molti altri paesi europei, tra cui Francia, Austria, Belgio, Grecia o Irlanda. Come si spiegano tali valori, considerata la crescente domanda di figure professionali in campi come la sostenibilità?
Per Leonardo Figna, presidente del Gruppo Giovani dell’Industria dell’Unione Parmense, bisogna considerare come la situazione in Italia sia ancora piuttosto complicata: la pandemia da Covid-19 ha scosso e cambiato per sempre il mercato internazionale, incentivando diversi paesi del mondo, tra cui il nostro, ad aumentare la propria autosufficienza in termini energetici e produttivi e a supervisionare con maggior attenzione gli scambi di risorse in entrata e in uscita.
Ancor oggi, tuttavia, il costo che l’industria italiana deve affrontare per reperire le componenti meccaniche e le materie prime necessarie al proprio rimodernamento in chiave sostenibile rimane elevato. Ciò costringe le nostre aziende a rivolgere la propria attenzione al mercato estero, specialmente a quello cinese, leader dell’estrazione delle cosiddette ‘terre rare‘, ossia gli elementi chimici utilizzati per la costruzione delle moderne tecnologie hi-tech, dai cellulari ai sistemi di difesa militari, ai satelliti. E sicuramente parte del prezzo da pagare per queste materie prime è un certo livello di tolleranza per le violazioni di carattere ambientale o umanitario di questi paesi.
Oltre alle componenti meccaniche, in Italia scarseggiano le figure professionali necessarie per il rinnovamento e la progettazione e messa a punto di nuove iniziative: i giovani italiani, infatti, si dimostrano poco interessati alle opportunità lavorative rese disponibili oggi dalla rivoluzione sostenibile e intraprendono spesso scelte di carriera o formazione senza tener conto di quelle che sono le richieste del mondo del lavoro, saturando alcuni mercati e ignorando le opportunità di carriera presenti in altri. Oltre a questo, in alcune circostanze si può notare una generale mancanza di intraprendenza e versatilità da parte dei ragazzi, che li spinge a rifiutare ottime opportunità lavorative perché considerate ‘di seconda mano’ rispetto ai propri obiettivi di carriera, oppure per la richiesta di una formazione continua relativa a materie o argomenti non congruenti col proprio percorso formativo.
A queste ragioni si aggiunge la tendenza che hanno molte persone di considerare il progressivo distacco dalle tecnologie non rinnovabili non tanto quanto un percorso graduale ma come un processo immediato da istituire con priorità assoluta. I promotori di questa idea di ‘sostenibilità a qualunque costo‘ spesso non considerano il ripple effect provocato dalle loro iniziative: qualsiasi cambiamento o innovazione ha effetti economici e sociali che possono determinare il successo o il fallimento di un’iniziativa e, in molti casi, è necessario, prima di compiere un investimento, verificare se sia presente un terreno adatto alla sua buona riuscita. Mettere a disposizione un maggior numero di mezzi pubblici, ad esempio, è di limitata funzionalità in una città come Roma, dove il numero di autovetture e il loro utilizzo sono altissimi, mentre può essere un investimento estremamente funzionale in paesi come l’Olanda, dove la maggior parte della popolazione si affida al trasporto pubblico e non possiede una vettura. In altri termini, l’innovazione e l’affermazione di nuove tecnologie e si deve accompagnare, per essere funzionale, ad un cambiamento di carattere sociale che consenta non solo di giustificare la spesa agli occhi dei consumatori, ma anche di trarre il maggior beneficio possibile da ogni iniziativa.
In sintesi, il compromesso tra giovani e mondo del lavoro richiede un atto di fiducia e uno sforzo da entrambe le parti: le aziende devono saper presentare ai giovani opportunità di carriera allettanti, implementare piani di welfare aziendali migliori che vengano incontro alle necessità dei propri dipendenti e favorire l’inclusività dei giovani, così da aumentare il numero di modelli di riferimento. Da parte dei ragazzi è invece richiesta una maggiore intraprendenza e l’impegno a sviluppare competenze trasversali, soprattutto in campo gestionale, così da poter divenire a tutti gli effetti la classe dirigente del domani.
Le interviste alla professoressa Valenti e al dottor Figna
Dopo la conferenza, siamo riusciti ad avvicinare la professoressa Valenti ed il dottor Figna e a porre loro qualche altra domanda relativa al rapporto tra giovani, industria e sostenibilità.
“Dottor Figna, in Italia sono molti i giovani che scelgono il proprio indirizzo di studi senza tener conto di quali siano i settori che più, al giorno d’oggi, hanno bisogno di figure professionali, trovandosi in difficoltà quando terminano il proprio percorso formativo e devono cercare un impiego. Come si può migliorare la comunicazione del lavoro al fine di indirizzare i giovani verso queste opportunità di carriera?”
“C’è sicuramente un grande mismatch tra le posizioni che le aziende richiedono e quelle fornite dal mondo dell’istruzione e ciò è, come dice lei, in parte dovuto ad un problema di comunicazione. Fortunatamente, instaurare un dialogo stretto tra mondo produttivo e mondo della formazione sta pian piano colmando il divario tra le due realtà. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di diverse scuole di formazione o iniziative di collaborazione con il mondo accademico, come il progetto Food Farm 4.0 o il Laboratorio Territoriale per l’Occupabilità (LTO) che verrà inaugurato presto a Langhirano: tutte realtà che danno modo alle aziende di sopperire in qualche modo alla mancanza di competenze dovuta a una formazione non idonea creando esse stesse le figure professionali di cui hanno bisogno. È però necessaria anche una presa di posizione da parte dei giovani, che devono entrare nell’ottica che di imparare non si smette mai, anche perché molte di queste competenze richiedono un aggiornamento continuo.”
Di recente si parla molto di greenwashing, ossia della tendenza da parte di aziende o enti di usare l’argomento della sostenibilità in modo ingannevole al fine di aumentare le vendite dei propri prodotti o migliorare la propria immagine, pratica comune soprattutto all’interno dell’industria alimentare. Come possiamo distinguere un’azienda impegnata seriamente per la tutela dell’ambiente e dei propri dipendenti da una che fa pubblicità ingannevole?
“Per distinguere un’azienda che fa greenwashing da una che promuove effettivamente la sostenibilità, la chiave è la trasparenza: se un’azienda non ha nulla da nascondere essa sarà la prima ad aprire le porte per consentire a chi di dovere di verificare in prima persona la veridicità delle proprie affermazioni. L’Italia, da questo punto di vista, si è dimostrata un paese virtuoso e ha già ampiamente superato molti degli obiettivi europei previsti per i prossimi quinquenni in termini di sostenibilità, riciclo e utilizzo delle risorse, anche perché siamo un paese trasformatore con risorse scarse, quindi ciò che abbiamo deve essere utilizzato bene. Il territorio di Parma, in particolare, si è dimostrato particolarmente competente e ha dato più volte dimostrazione del dinamismo e dell’attenzione che contraddistingue il nostro sistema produttivo, grazie anche alla collaborazione dei diversi enti locali, a cui va il merito di aver proposto numerosissime iniziative per la tutela del territorio.”
“Professoressa Valenti: oltre a soluzioni riguardanti il mondo del lavoro sono necessari interventi di carattere sociale e legislativo per favorire l’avvicinamento dei ragazzi e garantire loro una vita e un salario dignitosi senza per questo dover compiere scelte difficili, come scegliere tra carriera e famiglia. Quali possono essere gli obiettivi più urgenti da perseguire per l’immediato futuro?”
“Sostenibilità significa cercare bilanciamenti ragionevoli in modo che un diritto quale può essere il diritto alla salute, non venga sacrificato per favorirne un altro. In primo luogo, è necessario sviluppare un approccio integrato al tema della sostenibilità e dello sviluppo sostenibile, dato che questi due ambiti hanno profonde ripercussioni in chiave economica e sociale. Per quanto riguarda la questione giovani ci sono sicuramente delle misure da prendere: è facile dire che un giovane sia restio a lavorare, quando in molti casi viene pagato in nero o non viene retribuito adeguatamente. Probabilmente i giovani stanno capendo che hanno necessità di avere una voce e una forza contrattuale per ridefinire gli equilibri del mondo del lavoro.
Il calo della natalità è probabilmente dovuto al fatto che non abbiamo investito a sufficienza in politiche in grado di conciliare lavoro e famiglia; pertanto l’urgenza è di approfittare di quella che è stata l’esperienza della pandemia e dello smart working per implementare condizioni di lavoro che favoriscano il recupero di una dimensione del tempo diversa, che non sia scandita esclusivamente in base ad uno schema economico e produttivo, ma che tenga conto delle esigenze personali, familiari e del desiderio di genitorialità. Infine, è necessario sviluppare un welfare aziendale che consenta alle persone in età giusta di gestire al meglio le proprie possibilità e le proprie scelte.”
“I nostri giovani, soprattutto negli ultimi anni, stanno vivendo una profonda contraddizione: viene continuamente detto loro che sono importanti e che necessitano di cura ed investimenti da parte delle istituzioni e del mondo del lavoro, eppure si sentono regolarmente messi da parte quando devono cercare opportunità lavorative. La sfiducia nelle istituzioni e la depressione generata dallo stress sono frequentemente causa di fenomeni di rifiuto sociale, come nel caso degli hikikomori, o di reticenza del divenire una parte produttiva della società, come nel caso dei NEET, creando un circolo vizioso per i nostri giovani da cui è difficile uscire. Come possiamo raggiungere questi ragazzi, ripristinare la loro fiducia nei confronti delle istituzioni e tener fede alla nostra promessa di affidare ad essi il nostro futuro?
“Ogni struttura democratica si basa su un rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni e quando essa manca, abbiamo un problema di democrazia. Abbiamo visto negli ultimi anni un calo della partecipazione democratica in momenti importanti, come durante referendum ed elezioni, il che fa trasparire che ci sia un allontanamento da parte dei cittadini dalla dimensione istituzionale. Bisogna ragionare in chiave intergenerazionale, non più parlando di ‘conflitto intergenerazionale‘ ma stipulando un’alleanza con le nuove generazioni, così da renderle nuovamente protagoniste della vita democratica. Una riforma in tal senso potrebbe, ad esempio, riguardare una trasformazione delle dinamiche del parlamento: c’è stata recentemente la necessità di fronte ad una riforma della riduzione del numero di parlamentari di abbassare l’età dell’elettorato attivo. Provvedimenti come questo possono essere un segnale per far entrare nelle sedi istituzionali parlamentari nuova linfa: nuove idee e richieste che la generazione giovane sente quotidianamente e che al momento passano in secondo piano. Possiamo fare tanto anche a livello delle istituzioni scolastiche e universitarie: il fenomeno dei NEET si è in parte aggravato anche a causa dei due anni di pandemia, dato che la DAD ha consentito di colmare virtualmente ma non realmente le distanze. Probabilmente recuperare un approccio diretto, più improntato sulla presenza, può riaccendere l’interesse ad investire nella propria formazione per tornare ad essere partecipi del proprio presente e del proprio futuro. C’è sicuramente l’intenzione di investire nella formazione giusta: qualunque sia la via che prenderemo, avremo sicuramente molto lavoro da fare.”
di Giacomo Rubini
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