Giacomo Rizzolatti, la mente attraverso il fascino dei neuroni specchio

L’UNIVERSITÀ PER LA SCIENZA, LA SCIENZA PER L’UNIVERSITÀ: L'ESPERTO DI NEUROFISIOLOGIA RACCONTA LA SUA SCOPERTA

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Neuroni specchio ed empatia. Giacomo Rizzolatti, docente di neurofisiologia e direttore del Dipartimento di Neuroscienze all’Università di Parma, racconta la straordinaria scoperta, fatta a metà degli anni ’90 insieme ad un gruppo di ricercatori dell’Ateneo parmigiano: i neuroni specchio, particolari cellule del cervello in grado di farci comprende, prevedere ed imitare quello che dicono, fanno e provano gli altri senza dover ricorrere a processi logici inferenziali. Una scoperta che ha suscitato interesse in moltissimi campi, anche non scientifici, ed è valsa prestigiosi premi internazionali, la candidatura al Nobel e un certo prestigio all’Università di Parma.

Quanto ha contribuito l’Università di Parma alla scoperta dei neuroni specchio e quanto poi questa scoperta ha migliorato l’immagine dell’Università?

Tutti i ricercatori che hanno lavorato al progetto facevano parte dell’Università di Parma. Quest’ultima aveva chiamato il professor Arduini da Pisa, uno dei migliori fisiologi italiani di quei tempi, che ha creato dal nulla il reparto di Fisiologia, fornendo anche i macchinari necessari. Parma è stata brava a puntare su un ottimo fisiologo, nonché persona dalle grandi capacità organizzative. E poi c’è stato il sacrificio delle persone. Il gruppo che lavorava con me era composto da medici che, a prescindere dalla ricerca, lavoravano per guadagnarsi il pane: alcuni di loro ad esempio facevano i supplenti nelle carceri. La scoperta è stata effettuata a costo zero, l’unico pagato ero io praticamente. Tutto questo ha certamente conferito un certo prestigio all’Università, infatti tuttora Parma è molto conosciuta proprio per la ricerca e per i neuroni specchio, dappertutto. L’anno scorso, per dire, sono stato in Cile. Si è avvicinata una ragazza con il mio libro in mano chiedendomi di firmarlo. Era di Lima. Evidentemente mi (e ci) conoscono anche lì!”.

Quali sono le tecnologie utilizzate grazie ai neuroni specchio?

“Alla scoperta si sono interessati moltissimo i robotici, soprattutto per quanto riguarda i robot in grado di riconoscere i programmi. Nessuno potrebbe immaginarlo, ma la ‘kinect’ è un meraviglioso strumento che si basa proprio sul principio dei neuroni specchio. Al suo interno vi è posizionata la copia di una mano che quando vede, appunto, una vera mano non la riconosce in quanto tale ma solo se e nel momento in cui avviene una risonanza tra quello che vede e il suo programma interno ‘mano’. Abbiamo lavorato a Los Angeles e a quanto pare, nonostante il programma e i neuroni specchio non siano la stessa cosa, il principio sul quale si è basata l’idea è la medesima”.

Quali sono gli ambiti di applicazione e gli eventuali risultati in campo medico?

“Abbiamo lavorato su due fronti medici. Innanzitutto, dopo qualche anno dalla scoperta abbiamo cominciato a studiare i bambini autistici, spostando l’attenzione dai disturbi cognitivi ai disturbi motori: in pratica, un autistico non è un ‘matto’, ha semplicemente dei problemi neurologici che non gli permettono di sviluppare le sue qualità psichiatriche. Questo spostamento è stato ampiamente criticato dagli psicologi, ma adesso sono diversi gli studi che si muovono in tal senso. Un altro passo decisivo è stato compiuto nel campo della riabilitazione: se una persona è sottoposta alla visione di movimenti, in automatico la sua area motoria si attiva. Detto questo, è possibile fare un esempio pratico: un ragazzo che ha subito un incidente motociclistico e ha riportato entrambe le gambe rotte non potrà camminare per lungo tempo e, quando ricomincerà a farlo, non lo saprà fare. Questo perché i tutori che è costretto ad indossare non fanno altro che ‘insegnargli’ un altro tipo di marcia, confermata anche dalle sue sinapsi. Ebbene, se al ragazzo in questione vengono fatti vedere dei filmati che gli mostrano come dovrebbe invece camminare, il cervello capisce e il corpo si riattiva, dato che il programma motorio è sempre lo stesso e deve solo essere ripristinato. Praticamente le stampelle vengono buttate via nel giro di settimane e non di mesi. È solo questione di mettere insieme volontà e stimolo esterno. Finora questi interventi sono avvenuti in maniera piuttosto artigianale, ma contiamo di migliorarli puntando sui mezzi a disposizione e di farlo soprattutto in Italia”.  

I neuroni specchio permettono di sentire le sensazioni degli altri: è vero allora quando si parla di ‘chimica’ tra le persone?

“No è un po’ diverso, la ‘questione di chimica’ è solo un modo di dire. Se io vedo un’espressione anche piccola sulla faccia di qualcun altro capisco cosa vuole, oppure no. Come in tutte le cose ci sono persone capaci di ricevere e interpretare i messaggi così come sono e altre che non riescono proprio. Gli autistici ad esempio non sanno interpretare i segnali della vita, nonostante alcuni di loro riescano ad ottenere magari una laurea in fisica. Qualche anno fa una donna autistica ha scritto un libro a sfondo autobiografico e all’interno ha raccontato che il suo compagno, un giorno, le ha confessato che convivere con lei era come convivere con una sedia, perché non era in grado di trasmettergli emozioni. In ogni caso, esistono persone che nonostante non siano autistiche non recepiscono nulla lo stesso”.

In futuro, crede si potranno risolvere le divergenze ricorrendo al campo psicologico?

“Tra psicologia e neuroscienza non c’è un vero contrasto. Possiamo dire che gli psicologi descrivono i fenomeni ma non possono spiegarne il meccanismo. Piuttosto si può parlare di collaborazione tra psicologi, scienziati e anche filosofi. Il libro sui neuroni specchio, ‘So quel che fai, è stato scritto a quattro mani con Corrado Sinigaglia che è appunto un filosofo. La filosofia di per sé è pignola, precisa e conferisce alle parole un significato profondo. E unendo le conoscenze di ciascun ambito si possono ottenere ottimi risultati”.

Personalmente, paragonerebbe il cervello all’universo?

“C’è una poesia di Emily Dickinson che dice: “Il cervello è molto più grande dell’universo perché il cervello contiene l’universo, e anche viceversa”, o qualcosa di simile. Comunque si, la difficoltà dello studio del cervello è simile a quella dello studio dell’universo. Del cervello si conosce molto, tranne come sia possibile che la materia ad un certo punto pensi se stessa. In poche parole, non conosciamo ancora la coscienza. Sarebbe una bella scoperta”.

Cosa ne pensa della fuga di cervelli? I ragazzi fanno bene a lasciare l’Italia?

“Più che una fuga è una necessità: se non ci sono posti di lavoro o si smette di fare quello che si fa, o si va via. Per chi decide di compiere la carriera universitaria poi è molto difficile, perché dopo il dottorato non sa cosa fare. Certo, alcune Università possono contare sui fondi europei e retribuire i ricercatori in attesa di future assunzioni, ma quest’ultime in pratica non arrivano mai. La situazione attuale è di stallo e l’Università, a mio avviso, andrebbe ripensata e riorganizzata. Quella di Parma è ottima, vanta delle eccellenze ma alcuni settori presentano dei cali rispetto al passato e alcuni insegnamenti sono rimasti scoperti. Un vero peccato”.

 

di Carlotta Falcone e Marica Musumarra

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