“Questo popolo mi precede”. Cecilia, missionaria in Messico da sei mesi

LA VITA DI CHI LASCIA TUTTO PER AIUTARE IL PROSSIMO, L'UMILTA' DI 'FARSI PICCOLI' DI FRONTE ALLE DIFFERENZE

“Avevo sempre desiderato e pensato al Congo”. Poi, diversi mesi fa, la “pugnalata che la trafigge da fianco a fianco” si fa sentire: Messico!

Immagine29Così Cecilia, 40 anni e una laurea in scienze degli alimenti, missionaria saveriana, è partita da Parma diretta verso “una nuova lingua, una cultura, una religiosità popolare e nuove relazioni da costruire che necessitano di tanta pazienza e dell’umiltà di farsi piccoli, di tornare bambini”. Mossa da sentimenti contrastanti, dopo un viaggio di un giorno e mezzo tra Parigi e Città del Mèxico, lo scorso 18 settembre arriva alla sua prima destinazioneAtemajac (Guadalajara).

Pochi giorni dopo, il 30 settembre il Messico mostra subito il suo volto peggiore. Gli studenti della Scuola normale rurale di Ayotzinapa hanno iniziato a protestare contro quelle che consideravano misure discriminatorie e contro la riforma dell’istruzione in generale. Ben presto la situazione è degenerata e la manifestazione si è trasformata in una lunga notte di violenza. “E’ mostruoso quello che hanno fatto a quei 43 ragazzi: pura violenza gratuita. Questa gente ha perso la speranza e i più piccoli sono sempre quelli che ci rimettono. Anche la chiesa non ha il coraggio di alzare la voce“. Un episodio che  ha sconvolto il mondo intero e fatto implorare ai messicani giustizia e pace. “Ma è come se nulla fosse accaduto – scrive Cecilia l’undici novembre – continua la pura, nuda e cruda violenza, da un giorno all’altro la gente sparisce e si continua ad uccidere e a morire ammazzati“.

Immagine31Ma il Messico non è soltanto questo: è esplosivo,  accogliente, movimentato; è dato dai profumi, dai colori, dal cibo e dalle musiche per le strade; il Messico è fatto dalla sua gente, aperta e cordiale, che per prima la incoraggia: “Sono loro a condividere le mie fatiche e a gioire per le mie conquiste linguistiche. Io, che, dovrei esser qui per dare, ricevo. Questo popolo mi precede”. Qui ha conosciuto persone con una “gran fede, quella dei semplici, che, anche nella prova, nella difficoltà e nella malattia, sono profondamente serene”.

Marco è uno di questi: seduto sulla strada con la sua bottiglia in mano, le chiede una benedizione. Marco è parte di “questo popolo schiacciato dalla violenza e dalla corruzione: narcotraffico, politica e polizia si coprono a vicenda. Milioni di padri e madri di famiglia, giovani e meno giovani, tentano di varcare la frontiera con gli Stati Uniti, ma quasi mai arrivano a destinazione.

Ma la giornata di Cecilia non è esattamente quella che i romanzi o i film ci portano a immaginare. Di ritorno dalla messa delle 7 del mattino, prega le lodi e medita sulle letture compiute. Poi la mattinata prosegue con la lezione di spagnolo a scuola. Lo studio della lingua le occupa quasi l’intera giornata, fino alle 19.45 quando la comunità si ritrova per i Vespri e per la cena ‘libera’, in quanto ognuno può consumare ciò che vuole. Soltanto una volta superati i livelli di conoscenza base della lingua, Cecilia potrà ‘operare’ all’interno del campo al quale è stata destinata, e ‘servire’ il popolo messicano più da vicino. Eppure, vivendo il Messico, la sua missione è già cominciata: entrare in sintonia con la sua nuova casa è il primo e più grande passo.

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LA MISSIONE VISTA DA PARMA – “Il cammino è lungo, ma d’altronde è così anche nella vita”. Patrizia, formatrice delle novizie della casa madre delle Missionarie di Maria a Parma ha chiaro il senso della missione: “Noi siamo delle religiose: chi viene da noi deve sapere che si tratta di una vita di consacrazione e di donazione agli altri. Andiamo ad annunciare il Vangelo là dove non è ancora arrivato o dove è poco diffuso”. L’ultima missione che si è voluta intraprendere è quella in Thailandia, una Nazione dove il numero dei credenti nella fede Cristiana si conta sulla punta delle dita: la percentuale dei praticanti, infatti, si aggira intorno al 4% della popolazione.

Ma come si diventa missionarie? La formazione prevede un tempo di conoscenza di circa un anno e mezzo, dopodiché si incomincia il cammino dentro la famiglia: quattro o cinque anni di preparazione, in cui si studia, si fa vita comunitaria, si porta avanti un po’ di apostolato. Anche quando si arriva alla professione religiosa, generalmente passano ancora degli anni – dedicati alla formazione della persona – prima di partire. “La scelta della destinazione non è fatta autonomamente, ma in dialogo: c’è un desiderio personale, e anche un’attitudine, perché se hai delle capacità in un certo campo, in un dato luogo potrai dare di più”. I bisogni di un Paese continuano ad essere però i principali motivi di partenza: “Nella nostra vita andiamo non facendo contratti. Non sappiamo quando torniamo. Siamo un po’ pellegrine”, chiarisce Rosella, attuale direttrice della comunità della casa Madre; mentre Teresa, appena tornata dalla Thailandia solo per un breve periodo e pronta a ritornarci, dichiara: “Quando fai ritorno trovi sempre le generazioni cambiate. Devi adattarti e cambiare fino a che ti fermi qui, poi una volta ripartita per la missione devi ri-cambiare e ri-adattarti al luogo in cui sei arrivata”.

Sullo sfondo, la nostalgia di casa: “La relazione con la nostra città è bella da sempre perché la fondatrice è proprio di Parma, per cui la nostra attività missionaria è inserita e conosciuta all’interno della società. L’ex sindaco Elvio Ubaldi, che ricordiamo, di tanto in tanto veniva e partecipava”. Recentemente, in seguito all’episodio delle tre sorelle uccise in Burundi, tutta la città si è mossa: “La risposta c’è stata, pensiamo che Parma voglia bene alle missionarie”.

 

 

di Francesca Gatti, Giulia Berni, Silvia Granziero

 

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