Come si vive oggi a Parigi? Il racconto dei parmigiani oltralpe

LA TESTIMONIANZA DI STUDENTI ERASMUS E LAVORATORI

Attentato a ParigiBasta guardare l’orgoglio con cui i francesi cantano la Marsigliese per capire come affrontano le avversità della vita: restando in piedi, senza mai cadere. Gli attentati del 13 novembre, rivendicati dall’Isis, prima allo Stade de France poi al Bataclan e altri locali pubblici del X e XI arrondissement, colpiscono Parigi al cuore, ma Roma e New York alla pancia. I terroristi spargono sangue nei boulevard francesi imbrattando le strade di Berlino e le vie di Londra. Ma c’est la vie: tutto continua ancora a scorrere, proprio come la Senna che attraversa la loro città.

N’IMPORTE QUOI, I GIORNI DOPO IL CAOS – “In quei trenta secondi, i più lunghi che abbia mai vissuto, mi sono detta: è finita”. Maria Vittoria Mazzuoli, 23 anni, studentessa di Biologia in Erasmus nella capitale della Tour Eiffel, si trovava a Parigi proprio al momento degli attentati e racconta come la città ha vissuto nei giorni successivi: sabato Parigi era deserta, si percepiva la paura nell’aria, mentre domenica la gente affollava le strade e i bar. Il problema è che alla prima sciocchezza impazzisci: basta una persona che si spaventa per un motivo qualsiasi che scatta il panico generale. In quei momenti la folla è pericolosissima e per istinto di sopravvivenza ti fai coinvolgere pure tu”. Parla per esperienza Maria Vittoria, che si è trovata di fronte a un gruppo numeroso di persone che correvano da Place de la République, gridando di buttarsi a terra. “Ho sentito le urla, i vetri andare in frantumi, il fragore dei tavoli che si rovesciavano, insomma di tutto: un ‘n’importe quoi’ come dicono i francesi. In un attimo io e la mia amica ci siamo nascoste sotto il tavolo, tenendoci per mano. Poi il rumore di una macchina che si ferma proprio fuori dal locale, le porte di vetro si spalancano ed io già lo percepisco alle mie spalle: sento la presenza di un terrorista che sta per spararmi“. Un falso allarme. “C’era un silenzio surreale dentro la stanza e io volevo uscire da quel posto, mi sentivo in trappola. Non ti rendi bene conto della situazione in quei momenti, c’è solo adrenalina e istinto”.

 BasileMA OGGI LA VITA VA AVANTI – La reazione più forte viene dai giovani parigini, che dopo i primi giorni da ‘stato di guerra’, dichiarato dal presidente François Hollande, hanno deciso di tornare alla vita di sempre. “Andrei a fare colazione nei bar senza problemi – dice Adrien Blaise -. Ci sono meno persone a Parigi, è vero, ma penso siano soprattutto i turisti a mancare”. Dello stesso avviso Alexandre Korda, che vive in periferia: “Non ho visto molti cambiamenti e non avrei nessun problema a uscire fuori la sera per un aperitivo”. Insomma, “bisogna continuare a vivere e a resistere”, come sostiene Mathias Lamonerie. Ma c’è anche chi, come Basile Rabouille, studente di comunicazione e pubblicità all’Iscom Paris e community manager di Radio Londres, è tornato in città domenica sera e si è reso subito conto che qualcosa non andava. “Ho visto il primo ministro, il ministro della Difesa e il ministro degli Interni in stazione. Era molto strano, ma poi ho capito”. Si è diretto subito a Place de la République, dove i parigini si ritrovano per rendere omaggio alle vittime di attentanti, come è successo a gennaio dopo la strage a Charlie Hebdo, e ha trovato una folla unita e reattiva. “Oggi a Parigi la vita va avanti. Io sono stato a una festa in barca sulla Senna, non c’era tanta gente come prima degli attacchi, ma la gente ha ancora voglia di ballare”. La differenza si nota nelle scuole e università, dove è stata aumentata la sicurezza, all’entrata dei bar e delle feste. “Molti grandi eventi sono stati cancellati questa settimana, come il Red Bull Music Academy”.

Ma ad essere annullati sono stati anche il concerto sold out della band Foo Fighters, oltre che diverse esibizioni all’Opera di Parigi, probabilmente per evitare un secondo ‘caso Bataclan’. Come racconta Roberta Cecchin, emigrata nella capitale francese insieme al suo grande amico Guillaume LeDramp, conosciuto mentre soggiornava in Erasmus nella città ducale, poi diventato suo coinquilino a Parigi, morto nell’attacco in rue de Charonne. “Perdere una persona così importante, in questo modo, ti cambia. Ma non c’è rabbia, bensì un’incolmabile tristezza”. Il dolore di Roberta si mescola a una forza straordinaria, come le ha insegnato Parigi: “Qui hanno un senso di orgoglio nazionale che in Italia non troveresti mai. Se qualcosa non funziona la gente protesta per cambiarla, mentre in Italia c’è solo rassegnazione. E’ negli occhi che vedi la differenza: la tristezza vela uno sguardo di determinazione”, sia che ci si trovi a lavoro sia in un viaggio verso casa nel métro. Non bisogna scordarsi poi che ci sono stati oltre 300 feriti, quindi molte persone sono state colpite anche indirettamente, proprio come lei. “Quello che ti lascia ancora più sgomento è il fatto che mentre per gli attentati a Charlie Hebdo di gennaio le persone colpite erano comunque esposte, per il loro lavoro e per le loro scelte, venerdì scorso nessuno dei morti e dei feriti aveva fatto qualcosa di ‘sbagliato’ “. Ma anche in quest’ultimo caso racconta che anche i parigini che non apprezzavano molto la rivista satirica sono scesi in piazza e tutti, con forza, hanno affermato l’indispensabile libertà di parola e di espressione. Non servono i fucili insomma, si combatte anche con la volontà.

Parigi una settimana dopoPARIGI RISPONDE “JE SUIS EN TERRASSE”, MA NON BASTA – Questa volta i jihadisti dello stato islamico hanno voluto colpire la quotidianità dei cittadini francesi: una partita allo stadio, una serata con gli amici, un concerto. Ma le tesi di certa propaganda mediatica, che vuole la religione islamica colpevole, non ha convinto chi Parigi la vive giorno per giorno e ha già trovato una risposta: “Je suis en terrasse”, l’inno dei giovani, lo slogan che gira nei bar e nelle piazze, sui social e nelle università. Ma basta questo per risolvere una questione così complessa? Se si scava più a fondo è evidente che la popolazione non sia ancora del tutto pronta, soprattutto moralmente, a compiere questo passo in maniera definitiva: è umano. Un contrasto profondo che mina ogni certezza: “Credo che in fondo la gente sia persa, qui tutti noi siamo persi”, racconta Maria Vittoria. La stessa sensazione che prova Roberta: “Tutti mi dicono continuamente di stare attenta. Ma come facciamo? Quando sono andata a portare i fiori sul luogo dove è morto Guillaume ho alzato gli occhi e ho visto dei bambini affacciati alla finestra del palazzo di fronte. Sul muro accanto, alla loro stessa altezza, il foro di un proiettile: ovunque siamo in pericolo, pure dentro le nostre case”.
C’è poi chi prova a darsi delle risposte più concrete, ficcando il naso nelle banlieue parigine: “La differenza di atteggiamento tra uno straniero e un parigino è evidente”, racconta Maria Vittoria a proposito di alcuni suoi amici nati e da sempre vissuti in città, che hanno manifestato da subito una grande rabbia per gli eventi che hanno sconvolto la capitale francese, non tanto nei confronti degli attentatori dello stato islamico, quanto per la mancata integrazione e la successiva ghettizzazione che gli stranieri hanno dovuto subire a Parigi. “Un mio amico è nato in banlieue e mi ha raccontato come si vive da quelle parti, come le persone siano completamente emarginate dalla società e i governi abbiano sempre trascurato la questione”.

di Filippo De Fabrizio, Francesca Matta