Il racconto di quei giorni: così fu liberata Parma

CHI ARRETRAVA, CHI SCENDAVA DALLE MONTAGNE, CHI SPARAVA DAI TETTI

Liberazione_01L’angosciante ritmo della sirena dell’antiaerea nel cuore della notte. La fiduciosa attesa di notizie da Radio Londra sull’avanzata degli alleati. Il brivido del timore di essere scoperti in attività clandestine. Questo era il clima che si respirava nelle strade di Parma tra il 24 ed il 28 aprile del 1945. Una città in preda al terrore e al disordine che vide fuggire i nazifascisti e accogliere, seppur di passaggio, l’esercito degli alleati.
In occasione delle celebrazioni per la Liberazione, il Centro Studi Movimenti di Parma, associazione culturale di promozione sociale specializzata sugli anni ’60-’70, cioè la stagione dei movimenti, racconta cosa accadde in quei momenti che hanno segnato una pagina importante della storia della città e d’Italia.

UNA CITTA’ FERITA – Prima dei giorni caotici che precedettero la liberazione di Parma, tra marzo e aprile del 1945 aumentarono le azioni dei partigiani in tutta la provincia, spronati dal fatto che anche l’attività degli alleati, fermi dall’inverno sulla Linea Gotica, ripartì. “Aspettando l’ordine dell’insurrezione, i partigiani intensificarono le azioni scendendo dalla montagna e dirigendosi verso la pianura“, racconta Ilaria La Fata, ricercatrice del centro.
La lotta partigiana tuttavia in città era assente anche perchè, in seguito ai bombardamenti costanti a partire dal maggio del ’44, tanti erano gli sfollati. Non solo: “Gran parte dei partigiani furono arrestati con la ‘retata di San Valentino’ nel febbraio del 1945, quando i tedeschi trovarono l’archivio di informazioni della rete clandestina partigiana” spiega Margherita Becchetti, ricercatrice del centro specializzata sul tema della Resistenza. Tra questi erano presenti Bruno Longhi, il dirigente del movimento clandestino; Gavino Cherchi, capo del Servizio informazioni partigiano e Ines Bedeschi del Comando militare Nord Emilia.
Perché scoperti e dunque fuggiti sui monti, o perchè deportati o uccisi, il movimento partigiano era stato sgominato. Nonostante ciò c’era anche forte speranza “man mano che gli alleati avanzavano la gente sentiva che la guerra stava per finire” descrive Becchetti.

I PRIMI GIORNI DELLA LIBERAZIONE – Questa sensazione serpeggiò anche nel commando nazista. Tra il 24 e il 25 aprile “i tedeschi – riprende Becchetti – cominciarono ad allontanarsi alla svelta dalla città alla notizia dell’arrivo degli alleati e dei partigiani. Durante la fuga cercarono di bruciare la maggior parte dei documenti e di compiere stragi tra i civili di cui si facevano scudo”.  L’obiettivo era quello di attraversare il Po e allontanarsi dal fronte lasciandosi dietro terra bruciata.

Nel frattempo, però, nell’Oltretorrente si venne a costituire la brigata ‘Parma vecchia’, composta dagli ultimi partigiani rimasti. Il suo compito era gestire l’Oltretorrente durante l’insurrezione, “vale a dire presidiare i punti nevralgici della città (acquedotti, linee elettriche) per evitare che i tedeschi, mentre battevano in ritirata, distruggessero tutto mentre giungevano gli alleati” continua La Fata. In quell’area della città un ruolo importante fu ricoperto dalla famiglia Polizzi e dalla loro abitazione, per anni ritrovo e rifugio di antifascisti. Nel corso delle giornate seguenti i partigiani fecero numerosi prigionieri e resero assai difficile l’uscita dal lato ovest per tedeschi in fuga.

Ma non era l’unico rischio: mentre i nazisti battevano in ritirata, in città rimasero i fascisti irriducibili, appostatisi sulle terrazze o sui campanili come franchi tiratori sparando ai partigiani e ai civili. “I combattimenti sparsi che ci furono in città in quei giorni, fino al 28 aprile, erano tra cecchini fascisti e i partigiani entrati in città che rispondevano al fuoco. In Oltretorrente avevano rieretto le storiche barricate per difendere il quartiere” prosegue ancora la ricercatrice. Non i nazisti, quindi: furono i fascisti a non rassegnarsi. Così mentre la città si trovava a misurarsi con i cecchini , fuori si combatteva la battaglia più significativa: la ‘sacca di Fornovo‘, che vide la liberazione dell’area tra Medesano, Collecchio e, appunto, Fornovo.

Liberazione_02LA FINE DELLA GUERRA – Il 26 aprile fu una data significativa tra quelle che precedettero l’arrivo dei carri-armati alleati. “Molti partigiani volevano liberare la città prima dell’arrivo degli americani per dimostrare che non tutti erano stati fascisti, per dimostrare di essere stati capaci di riprendere le redini”, spiega William Gambetta, ricercatore e docente di scuola secondaria di primo grado. I partigiani fecero il loro ingresso a Parma la mattina del 26 aprile. Alla testa delle unità militari vi erano ‘Arta’, al secolo l’ingegner Giacomo Ferrari, il comandante unico delle formazioni partigiane; il commissario politico del Comando unico parmense ‘Poe’, ovvero il professor Achille Pellizzari; il colonnello Paolo Ceschi e l’avvocato ‘Mauri’ Primo Savani. In quelle ore si insediò nel palazzo municipale il Cln (Comitato di Liberazione Nazionale, ndr), che divenne la giunta provvisoria di governo; Ferrari fu nominato prefetto della città. “Fu una cosa significativa, in quanto si riprese, anche in senso politico, la città” aggiunge La Fata. “Fu il segno agli americani che vi era una parte del popolo italiano che non aveva sostenuto il fascismo, bensì aveva combattuto, sofferto e impugnato le armi – analizza Becchetti -. Questa parte del popolo italiano poté rivendicare così una sua valenza politica”.
Così, quando entrarono in città gli americani, il 26 aprile la vera liberazione era già avvenuta; non si fermarono molto, il loro obiettivo era Milano. Infatti il 27 aprile 1945 il maggiore Burns dell’esercito alleato giunse a Parma con l’incarico di garantire il governo della provincia fino al 4 agosto. Ciò però non impedì qualche tempo dopo, il 9 maggio del 1945, di compiere la sfilata in cui vi furono i generali americani, compresi i comandi partigiani.

E le donne? “Le testimonianze raccolte riferiscono di un ruolo ancillare, di assistenza” afferma La Fata. “Settanta anni fa la storia era tutta al maschile – spiega Gambetta – però c’è anche una distinzione da fare tra lotta armata e non armata”. Nella lotta non armata la soggettività femminile emerge con forza: appoggio, dissidenze, aiuti che vanno dalla staffetta al stampare volantini. La lotta non armata può avere molte sfumature, possono essere scelte consapevoli di sabotaggio o forme di boicottaggio. Può essere il montanaro che nascondeva i partigiani o che diceva ai tedeschi di non averli visti quando sapeva benissimo dove si trovavano. “Rientra sempre in una scelta, con livelli di consapevolezza diversi” afferma La Fata.

UNA STORIA CHE NON INTERESSA – “L’interesse dei giovani verso questi temi? E’ una domanda complessa, come complesso è il mondo dei giovani – risponde Gambetta -. In generale non c’è interesse. Le radici storiche per le nuove generazioni sono considerate inutili e questo lo fa percepire anche la società nella quale viviamo. Tuttavia, quando ci capita di intervenire nelle scuole o in altre occasioni e abbiamo la possibilità di presentare la complessità della storia, anche le sue contraddizioni, scattano meccanismi di interesse fortissimi. Se ad un ragazzo di vent’anni poniamo le questioni che hanno dovuto affrontare i suoi coetanei in un’altra epoca storica si palesa la curiosità“. Non descrivono i partigiani come eroi ma giovani con tutte le loro contraddizioni. Giovani che ogni mese crescono, che cambiano, diventano qualcun altro. Giovani che sono interessati alle ragazze, che vorrebbero andare a ballare, giovani come quelli di oggi. L’Anpi, ovviamente, non racconta i partigiani in questo modo. In tutto questo ci sono anche atti di eroismo senza la consapevolezza di essere eroi: si sceglieva da che parte stare, cioè quella di un Paese che non si vuole sottomettere alla violenza, alla dittatura, al fascismo, al razzismo.

 

di Silvia Moranduzzo e Jacopo Orlo

1 Commento su Il racconto di quei giorni: così fu liberata Parma

  1. Ottimo articolo .
    Ci ricorda l’importanza del racconto storico per valorizzare l’impegno di un popolo che lotta per conquistare la libertà

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