Quale destino per la Tav? Costi e benefici, il dibattito da vent’anni

LA STORIA DELLA TRATTA TORINO-LIONE: DA DOVE SI È PARTITI A DOVE SI È ARRIVATI? TANTE ANCORA LE INCERTEZZE

Foto ANSA/ GUIDO MONTANI

Il Treno Alta Velocità Torino-Lione, o più comunemente Tav, ha sempre rappresentato una questione insidiosa in Italia e, finora, nessun Governo è mai riuscito a trovare un compromesso con quella parte dell’opinione pubblica contraria all’opera. Si tratta, peraltro, di un progetto nato più di vent’anni fa. È dunque difficile ricostruire tutta la complessità della storia. Il progetto Tav risale, infatti, agli Novanta, quando si inizia a parlare di una tratta ferroviaria Torino-Lione, ad alta velocità. Il primo accordo con la Francia viene firmato il 15 gennaio 1996, a Parigi, dal ministro dei Trasporti Giovanni Caravale. Nello stesso anno, viene organizzata la prima grande protesta contro la realizzazione dell’opera che segna l’avvio di uno dei dibattiti più longevi nella storia delle infrastrutture italiane.

MA VEDIAMO DI COSA SI TRATTA – La Tav è una linea ferroviaria mista che dovrebbe connettere Lione al nodo ferroviario di Torino, ad una velocità massima di circa 220 km/h per i treni passeggeri e di 120 km/h per quelli adibiti al trasporto merci. La tratta è suddivisa in tre parti: quella italiana, quella francese ed una parte transfrontaliera, di competenza di Telt (Tunnel Euralpin Lyon-Turin) che è responsabile della realizzazione di un tunnel a due canne il cui imbocco si trova al termine della Val Susa. Si tratta di un tracciato lungo complessivamente 270 km . Di questi, 189 km rientrano in territorio francese e i restanti 81 km, in quello italiano.

L’OPERA POGGIA SU PREVISIONI ERRATE? –  Il progetto TAV, essendo nato negli anni Novanta, è stato sottoposto a frequenti revisioni ed è solo nel 2012 che le autorità francesi e italiane arrivano a ratificare quello che, con qualche modifica successiva, può definirsi l’accordo di cui si discute ancora oggi. L’opera è nata, tuttavia, su delle premesse sbagliate. Va intanto detto che, in realtà, un collegamento tra la Francia e il Piemonte già esiste: la Val di Susa è infatti attraversata dall’autostrada A32 e da due strade principali che conducono ai valichi del Monginevro e del Moncenisio. Inoltre, esiste una linea ferroviaria che sale verso il traforo del Frejus. Negli anni Novanta, però, i promotori della Tav sostenevano che l’attuale tratta ferroviaria che collega l’Italia alla Francia sarebbe stata presto satura e avrebbe, pertanto, richiesto un nuovo collegamento. Si tratterebbe tuttavia di una previsione poco fondata, poiché le tratte esistenti sono ancora considerate adeguate. Inoltre, era condivisa l’idea che, negli anni, il traffico tra i due Paesi sarebbe aumentato. Tuttavia, studi recenti dimostrano che i flussi non sono variati significativamente: nel 2017, tra Italia e Francia sono circolate circa 44,1 milioni di tonnellate merci, a fronte dei 45,4 milioni nel 2008. Per quanto riguarda il tunnel ferroviario del Frejus, invece, il flusso di merci è drasticamente calato, nel giro di vent’anni. Se infatti nel 2000 circolavano oltre 9 milioni di tonnellate, oggi queste si sono ridotte a circa 3.

Questi dati non sembrano, dunque, favorire la tesi intorno alla necessità della TAV. I promotori del progetto ritengono, però, che il calo dei traffici sia dovuto alle pendenze elevate e al tracciato tortuoso dell’attuale linea ferroviaria. Al contrario, il nuovo percorso sarebbe più rettilineo e pianeggiante e garantire il passaggio di treni con maggiori capacità di trasporto. Inoltre, la nuova linea ferroviaria porterebbe vantaggi anche ai passeggeri, dimezzando i tempi di percorrenza e rendendo più competitiva la ferrovia, rispetto all’aereo. Con la TAV, infatti, si dovrebbe raggiungere Torino-Parigi in poco più di 3 ore e meno di 2 per Torino-Lione.

A CHE PUNTO SONO VERAMENTE I LAVORI? – Come già detto, la tratta è suddivisa in tre parti. Per quanto riguarda la sezione francese, sono stati ultimati gli scavi di Villarodin-Bourget-Modane e di Saint-Martin-la-Porte; mentre in Italia è stato recentemente finito il cunicolo esplorativo della Maddalena di Chiomonte. Si tratta, tuttavia, di scavi geognostici utili allo studio del terreno che poi andranno a costituire solo successivamente parte delle infrastrutture di supporto al tunnel di base. Per quel che riguarda la sezione transfrontaliera, anche qui sono stati realizzati 25 chilometri di scavi geognostici, circa il15,5 % dell’opera. I lavori formali per la costruzione del tunnel di base, invece, non sono ancora cominciati.

Nonostante le incertezze italiane, la Telt aveva però chiarito che in assenza di atti giuridicamente rilevanti che ne impedissero la pubblicazione, i bandi di gara sarebbero stati aperti entro marzo 2019. Ed è proprio quello che è successo: il bando Telt è stato infatti pubblicato lo scorso 15 marzo, sulla Gazzetta Europea, per tre lotti di lavori del tunnel di base della Tav Torino-Lione.

Non sono mancate le proteste dei No-Tav. In particolare, il leader del movimento, Alberto Perino, ha duramente contestato la politica dei 5 Stelle, per essersi persa nella logica del potere e aver abbandonato quegli ideali che ne avevano fatto il partito del popolo.

ABBANDONARE L’OPERA O TERMINARLA? – Il costo totale per la realizzazione dell’opera non è definibile in maniera chiara e netta, dovendo tenere conto di innumerevoli variabili, come l’aumento costante del valore delle materie prime. Tuttavia, alcune stime sono state fatte. Ad agosto 2017, la spesa totale prevista è di 9,63 miliardi di euro. Si tratta di un valore che, però, va suddiviso con la parte francese e quella europea. L’Unione contribuisce, infatti, per il 40 % del costo totale. Tenendo, dunque, in considerazione i contributi europei e francesi, il carico complessivo italiano sarebbe di 3,36 miliardi di euro. In realtà, tra il 2000-2015, l’UE ha già erogato finanziamenti a fondo perduto per la realizzazione degli studi e delle indagini, coprendo quasi la metà dei costi. Ulteriori finanziamenti (813,78 milioni di euro) sono poi previsti per il periodo 2015-2019, ma restano vincolati al rispetto degli impegni presi dai due governi.

I sostenitori No-Tav da anni lottano per la chiusura dei cantieri e l’abbandono delle grandi opere, in favore di progetti minori più urgenti. Tuttavia, nel 2019 rinunciare alla TAV significa comunque sostenere un’enorme spesa. I pro-TAV sostengono che l’Italia dovrebbe restituire alla Francia e all’Europa le somme fino a questo momento impiegate, per un totale di circa 2 miliardi a cui dovrebbero aggiungersi le penali da pagare per l’uscita dai trattati. Se in merito al risarcimento delle spese finora sostenute dall’UE e da Parigi, le due parti sembrano convenire, diversa è la posizione dei No-TAV circa la possibilità di ricevere delle penali. I contrari all’opera ritengono, infatti, che si tratti di una fake, poiché l’accordo sottoscritto tra Francia, Italia e UE nel 2015 non prevede il pagamento di una penale, in caso di scioglimento degli accordi.

Da parte sua, lo scorso febbraio, il Governo giallo-verde ha pubblicato un’analisi costi-benefici che ha espresso un parere negativo sulla Tav. L’Acb sostiene, infatti, la posizione dei No-Tav, ossia che allo Stato italiano non convenga procedere con i lavori. Prima di questa, solo un’altra Acb era stata pubblicata e risale al dicembre 2011. La prima Acb era stata realizzata dall’Osservatorio Torino-Lione, un ente che dà indirizzo alla realizzazione dell’opera e, al contrario, aveva dato un responso positivo. Su entrambe le analisi sono però stati sollevati dei dubbi circa l’indipendenza degli enti che le hanno condotte. La prima è stata infatti realizzata da enti promotori del progetto Tav, mentre la seconda, presentata dal ministro Toninelli, è stata fatta da una commissione, di cui cinque membri su sei erano contrari all’opera.

È, in ogni caso, molto difficile stimare con precisione i costi che l’Italia dovrebbe sostenere per la realizzazione della Tav, tenendo anche conto della complessità che un’indagine costi-benefici richiede. Né sarebbe facile stabilire in maniera netta quale delle due opzioni – ultimare l’opera o uscire dagli accordi – costerebbe di più a Roma.

HANNO RAGIONE GLI AMBIENTALISTI? – Una delle questioni maggiormente dibattute nella questione della Tav è il problema della sostenibilità. Secondo il Consiglio dei Ministri nel 2012, la nuova linea permetterà una riduzione annua di 3 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Una stima lontana da quella fatta nella recente Acb 2019 che, invece, attesta la riduzione delle emissioni intorno alle 500 mila tonnellate di CO2.

Nonostante le preoccupazioni dei No-Tav – incremento dell’inquinamento atmosferico; produzione di polveri sottili; presenza di amianto e altre sostanze nocive nelle aree intorno ai cantieri; compromissione delle risorse idriche, ecc. – la Telt ha precisato che ogni atto del progetto è stato sottoposto ai dovuti controlli ambientali. Inoltre, finora l’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) del Piemonte non ha rilevato situazioni di pericolo per la salute delle persone.

IN CONCLUSIONE – Nonostante la recente pubblicazione dei bandi, i due governi possono comunque far cadere la procedura fino alla stipula dell’appalto. Esiste infatti una clausola di rinuncia che permetterebbe a Roma e a Parigi di ritirarsi dagli accordi per tutta la durata dei bandi di gara. Sotto le pressioni dell’Unione, il Governo italiano ha, dunque, trovato una ‘scappatoia’ per guadagnare altro tempo. Roma ha infatti a disposizione sei mesi per prendere una posizione definitiva sul futuro della Torino-Lione. Una mossa che consente a Lega e 5 Stelle di ‘scavalcare’ le europee e posticipare la decisione solo in seguito alle elezioni del Parlamento europeo. Nel frattempo, il Governo può sottoporre alla Francia le proprie modifiche del progetto, pur tenendo sempre in considerazione l’idea di abbandonarlo definitivamente. Insomma, oggi più che mai la situazione futura della Tav resta incerta. Sicuramente la convivenza al Governo di posizioni diametralmente opposte sul tema non aiuta a fare previsioni più limpide sul destino dell’opera. In ogni caso, a rimetterci, saranno gli italiani e forse anche la credibilità dello Stato.

di Martina Santi