Sanremo, ci hai rotto le ovaie con questi monologhi femministi

Anche quest'anno il palco dell'Ariston ci ha deliziati con il monologo femminista, per poi portare avanti una conduzione tutta al maschile. Almeno smettiamo con l'ipocrisia

Nei giorni scorsi, ho letto alcune delle critiche rivolte al discorso della Palombelli, tenuto in occasione della quarta serata di Sanremo. E dopo aver letto quelle critiche mi sono ricordata che anche l’anno scorso mi ero ritrovata a commentare quel meraviglioso monologo recitato da Rula Jebreal, nell’edizione 2020.

E ripensando a tutti quei grandi paroloni, mi sono resa conto che l’idea di ascoltare un altro discorso femminista mi fa rizzare i peli. Perché ascoltare ancora e ancora e ancora le stesse frasi di incoraggiamento mi fa sentire come il paraplegico in carrozzina che ha bisogno di una spintarella per superare il marciapiede.

Non pensate anche voi che il fatto stesso di avere delle figure che ci ricordano quanto valiamo – o che valiamo tanto quanto gli uomini – crei automaticamente un divario fra noi e loro? Non pensate che il fatto stesso di mettere una donna sul palco a recitare un discorso sulla parità di genere, sia la più grande manifestazione di un problema di genere? Io non credo, infatti, che qualcuno abbia mai visto un uomo fare un discorso simile ad altri uomini.

Per questo, mi sento di dire dal profondo del mio utero: Sanremo ci hai rotto le ovaie con questi monologhi femministi.

Pensiamoci seriamente, ogni volta che sale di nuovo alla ribalta la questione della parità di genere nei programmi televisivi, la soluzione più facile è sempre la stessa: piazzare in prima serata un bel discorso femminista, promosso da donne in carriera che si rivolgono alle bambine di fronte allo schermo per ricordargli che anche loro possono scalare la cima del monte “Stai zitta” e godersi la vista.

Frasi che personalmente mi sento ripetere fin da quando sono bambina, eppure solo ieri ho ricevuto battutine da grandi geni solo per il fatto di indossare una gonna mentre andavo in bicicletta. E dunque, mi chiedo davvero che senso abbia continuare a puntare su noi donne. Per quale logica malsana perseveriamo nella convinzione che per superare discriminazioni e pregiudizi, la soluzione sia sempre e soltanto quella di parlare di donne alle donne; quando il problema – è evidente – non siamo noi.

Tornando all’Ariston, questa falsa causa femminista mi sembra allora il tentativo ipocrita di chi sa che in qualche modo bisogna compensare non solo l’ennesima conduzione al maschile, non solo l’ennesima co-conduzione al maschile, ma addirittura il threesome con Ibrahimovic presente ad ogni serata. “Ma tutto bene?”, come direbbe una mia amica. E penso che nessuna frase sarebbe più azzeccata.

Sanremo – piaccia o non piaccia – è il più grande evento culturale della televisione italiana. Ma allora com’è possibile che questo palcoscenico non riesca a fare quel passo di qualità che ci meritiamo, candendo invece negli stessi errori, ogni anno?

Paradossalmente, non possiamo nemmeno dire che all’Ariston non si dia spazio alla voce delle donne: ben dieci minuti di monologo dedicati alla Palombelli, che per la scaletta di Sanremo sono d’oro. Ma la verità è che poi di quel discorso non si ricorda più nessuno nel giro di due giorni. E sì, ben cinque diverse co-conduttrici donne, ma poi di quelle conduzioni resta poco o nulla considerato il tempo che ciascuna presentatrice ha a disposizione.

Eppure qualcuna è così brava che il suo intervento lascia quasi l’amaro in bocca da quanto è breve. La De Angelis è disinvolta, coraggiosa e fresca nel dimostrare grande capacità nel tenere il pubblico anche in sua assenza. Elodie si lancia sul palco come la Dua Lipa italiana e conclude con un bellissimo monologo sulla vita nelle borgate romane. E io sinceramente ho pianto.

Ma alla fine è tutto qui: fra un Fiorello che si sforza di intrattenere il pubblico con ogni trucco e parrucco; Amadeus che si sforza anche lui – ma di ridere alle battute dell’amico – 1200 esibizioni e altrettanti ospiti, il tempo destinato alle conduttrici è davvero misero. Com’è che si dice? “Breve ma intenso”? Ecco, forse questo detto è nato proprio per le conduttrici di Sanremo, ma speriamo che non muoia anche con lui.

E per quelli che adesso stanno pensando che la soluzione, da parte di chi – come me – è stufo di questo ‘festival del maschio’, sia proprio quella di non guardarlo, voglio dire ancora una cosa. Com’è possibile che siamo sempre noi a dover fare qualcosa? È troppo sperare in un diverso finale in cui chi ha davvero il potere di cambiare le cose, semplicemente lo faccia? Ma attenzione: non perché un gruppo di femministe incallite ha deciso di boicottare Sanremo o è sceso in piazza a protestare.

Ma perché è semplicemente giusto e non c’è più bisogno che una donna salga su un palco per ribadirlo.

 

di Martina Santi 

 

1 Commento su Sanremo, ci hai rotto le ovaie con questi monologhi femministi

  1. 2019 Virginia Raffaele
    2018 Michelle Hunziker
    2017 Maria De Filippi
    2013-2014 Luciana Littizzetto
    2010 Antonella clerici

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