Drag Queen e Drag King: l’arte che esprime quella parte negata di sé

QUANDO GLI STEREOTIPI DI GENERE LASCIANO IL POSTO ALLO SPETTACOLO

“Drag significa giocare davvero con la propria identità. Drag significa ricordare davvero alle persone che si è più di quel che si pensa – che si è più di quel che è scritto sul proprio passaporto”. Queste parole di RuPaul, celebre Drag Queen statunitense, nonché ideatore e presentatore del programma campione di ascolti ‘RuPaul’s Drag Race’, mettono bene in luce il significato più profondo di una professione, quella di Drag Queen o Drag King appunto, che sta assumendo sempre più rilevanza nel mondo dell’intrattenimento e dello spettacolo.

AVVICINARSI AL MONDO DRAG – Come spiega Diego Claudio, in arte La Wanda Gastrica, Drag Queen da più di vent’anni, oltre che organizzatore del principale concorso a tema ‘Miss Drag Queen Italia’: “Si è spinti a questa professione probabilmente perché attratti dal mondo dello spettacolo e dalla volontà di esprimere in qualche modo un’esigenza artistica. C’è chi lo fa seguendo direttive diverse e chi preferisce questo modo più colorato, divertente ed eccentrico“. Per fare questo lavoro, sottolinea Diego, è necessaria una buonissima dose di autoironia, ma non possono mancare basi culturali solide rispetto a quello che è stato fatto prima, non solo nel mondo drag, ma più in generale nel mondo dello spettacolo. “Fare la Drag Queen e avere come uniche fonti di ispirazione solo gli ultimi prodotti musicali equivale a non avere una cultura né delle basi vere e proprie. Bisogna assolutamente documentarsi”.
Anche Matilde Facheris, attrice professionista tra le curatrici del Kollettivo Drag King del Teatro Ringhiera di Milano, spiega che cosa può spingere una persona ad intraprendere questo percorso: “Il nostro gruppo è composto da individui molto diversi tra loro. Si tratta in alcuni casi di attrici professioniste o semi-professioniste che vogliono indagare, a livello scenico, la sfera del maschile. Un’altra parte del gruppo è invece composta da donne molto interessate alla questione di genere, o perché lesbiche o comunque per un forte interesse personale, abbiamo persino un uomo tra noi. Quello che spinge a far parte del ‘Kollettivo’ è sicuramente la volontà di una ricerca individuale su questa tematica. Una voglia di mettersi in gioco e di poter esprimere una parte di sé che è stata in qualche modo negata”.

LA CREAZIONE DEL PERSONAGGIO – Il personaggio drag, ci spiega Diego, nasce passando attraverso diverse fasi. Prima di tutto bisogna cercare di capire a quale tipo di pubblico ci si vuole rivolgere: si può lavorare più sull’immagine, decidendo dunque di puntare maggiormente sul lato estetico oppure si può optare per un personaggio più elaborato, magari specializzato nell’ambito cabarettistico piuttosto che canoro o legato alla danza. Spesso si decide di far interagire tra loro i vari settori, si parte però quasi sempre da un’idea che viene poi modificata e adattata in altre versioni in seguito al confronto con il pubblico. A tal proposito, Diego racconta anche del corso che verrà da lui tenuto a Milano, presso il locale ‘NoLoSo’, e che approfondirà proprio il tema della fase di costruzione precedente al debutto sul palco: “Molto spesso, gli aspiranti Drag Queen si concentrano prima sull’aspetto esteriore del loro personaggio, dai vestiti al trucco fino alle parrucche e agli accessori. Quello che voglio sottolineare, però, è che non hai bisogno di fare la Drag Queen se tutto quello che ti interessa è indossare una minigonna. Il perché dello spettacolo e i modelli attoriali a cui ti ispiri vengono prima del come decidi di vestirti”. Anche Matilde insiste sull’importanza di questo aspetto: “Nei laboratori, durante la fase di ricerca del King, di solito, partiamo tutti insieme cercando di analizzare cosa riteniamo essere maschile e cosa femminile. Questo sia dal punto di vista di noi come individui sia a livello generale, non solo per quanto riguarda la fisicità e il corpo, ma anche per quanto riguarda l’atteggiamento, le peculiarità caratteriali e l’emotivitàCi accorgiamo subito di quanto sia diverso per ognuno di noi ciò che è maschile e ciò che è femminile. In questa prima fase dunque, ognuno interroga se stesso e comincia in primis a capire qualcosa di se”. Il lavoro che viene dopo, continua Matilde, è molto vicino come approccio all’esperienza teatrale. “Proseguiamo la ricerca con una scoperta più fisica: cerchiamo di capire i  movimenti, il modo di relazionarsi e di parlare. E’ di fatto la stessa operazione che un attore compie quando deve interpretare un qualsiasi ruolo. Naturalmente ci mettiamo in gioco cercando di analizzare le caratteristiche di entrambi i generi, per scoprirne i punti d’incontro e le distanze. In seguito ognuno elabora la propria concezione, per cui nascono personaggi maschili molto diversi tra loro; le fasi di scoperta e di messa in scena ovviamente si parlano e si influenzano a vicenda, sono due percorsi che a volte si confermano e a volte si smentiscono”.

GLI SPETTACOLI – Anche le esibizioni drag, così come i personaggi, sono caratterizzate da una grande eterogeneità. “Non esiste un tipico spettacolo di Drag Queen – sottolinea Diego -, a seconda della location e della richiesta di chi ci contatta cambia lo svolgimento della performance”. Allo stesso modo, di conseguenza, anche il target di riferimento sembra essere molto variabile. “Nella mia carriera mi sono esibito sia per bambini che per l’Università della terza età, per etero come per gay, mi è capitato di fare spettacoli tanto nel contesto di feste aziendali quanto in quello di premi letterari. E’ lo spettacolo ad adattarsi al pubblico, non viceversa. Quello che faccio sul palco è del tutto relativo a chi mi trovo davanti”. Si passa insomma dai celebri numeri di lip-sync fino alla recitazione, al cabaret, alla danza o alla presentazione di eventi. La Drag Queen deve sapersi destreggiare in vari ambiti dell’intrattenimento, ed è proprio questa versatilità ad essere determinante, per esempio, in un concorso come ‘Miss Drag Queen Italia‘, organizzato e presentato dallo stesso Diego, ovviamente nei panni di Wanda. “Il concorso si svolge ogni anno al ‘Mamamia’, che è un locale storico di Torre del lago, e prevede selezioni in tutta Italia in vista del confronto per il titolo nazionale. Prima di tutto c’è una sfilata, in cui si valuta soprattutto l’immagine. Poi si fa una breve intervista, in cui viene messa alla prova la capacità di parlare al microfono e infine, nella seconda fase, viene lasciato spazio alle esibizioni delle concorrenti, che vengono poi giudicate”. Anche i Drag King del kollettivo milanese sembrano vivere gli spettacoli allo stesso modo: “Ci siamo trovati di fronte a pubblici molto eterogenei. Spesso ci capita di andare in circoli e centri sociali particolarmente interessati alle tematiche LGBT+, ma ci è capitato anche di esserci esibiti in posti in cui gli spettatori non si aspettavano minimamente di trovare donne che interpretassero uomini, tanto che in alcuni casi non siamo nemmeno state riconosciute. La grande fetta di chi guarda i nostri spettacoli è costituita da persone interessate alla tematica di genere, anche se noi cerchiamo di ampliare il nostro target il più possibile. Ci è capitato, ad esempio, di fare performances in strada, la domenica pomeriggio, per delle famiglie. E’ stata una grande sfida, ma i bambini si divertivano da morire, provando anche trucco, baffi e sopracciglia. La nostra presenza in quel caso era più di animazione, abbiamo cercato di coinvolgerli negli sketch che facciamo, che sono spesso coreografie anche semplici da imparare”. Matilde spiega anche che in genere, le esibizioni di Drag King , almeno in Italia, sono molto legate all’aspetto del trucco e all’esteriorità del personaggio: “Noi cerchiamo di aggiungere ai numeri più tipici del mondo King e Queen, basati dunque su musiche, coreografie e travestimenti, anche spettacoli con fili conduttori un po’ più elaborati. Ad esempio abbiamo affrontato il tema del lavoro o quello della morte“.

E NELLA VITA DI TUTTI GIORNI? – “Facendo questo mestiere a tempo pieno da ormai 21 anni, la Wanda è molto presente nella mia vita, però io consiglio sempre di tenere distinte le due cose. Molto spesso se non riesci a gestire bene il personaggio puoi venirne quasi fagocitato“, spiega Diego. E continua: “Nella vita di tutti i giorni magari agisci in un modo ma la gente vede parlare un’altra persona. In genere però, se devo far passare un qualche messaggio in maniera più incisiva, scelgo di veicolarlo tramite Wanda, perché viene più ascoltata. Nei panni di Diego invece, essendo io un normalissimo ragazzo, potrei avere meno appeal”.
Ma qual è la reazione della gente davanti a questo particolare lavoro? “Mi è capitato di essere vittima di pregiudizi o commenti negativi a causa della mia professione – prosegue Diego – soprattutto dal punto di vista sentimentale. Molto spesso, quando una persona scopre che lavoro come Drag Queen si lascia andare al preconcetto e pensa che io sia effeminato o che per questo mi senta donna e da tale mi travesta anche nella vita privata. Non è così invece, e spesso devo lottare contro tale pregiudizio. Mi è capitato anche che degli uomini rifiutassero di avere una storia con me per questo motivo. Ciò accade perché molte persone non capiscono che il più delle volte, se non quasi sempre, la vita del personaggio drag si limita alla dimensione del palco. Io per esempio, a differenza di tante colleghe, non mi depilo. Allo specchio voglio vedere me stesso al naturale, come un uomo. In quel momento termina la finzione ed io torno ad essere quello che sono normalmente”. Spesso si confonde dunque il travestitismo con l’essere Drag Queen. Il mondo drag in ogni caso, secondo l’esperienza di Diego, rimane fortemente legato a quello della comunità LGBT+. “E’ vero, ci sono casi di Drag Queen che magari hanno una famiglia e dei figli, ma la maggior parte delle volte si tratta del risultato di storie precedenti avvenute in gioventù, quando ancora le idee riguardo alla propria sessualità non erano così chiare. Ci sono pochissime Drag Queen che sono realmente eterosessuali e che le rimangono”. Matilde invece, parla della grande apertura mentale che lei e il resto del Kollettivo Drag King trovano in risposta ai loro numeri: “La gente è curiosa e disposta ad imparare, molto più di quanto si possa pensare. Se il personaggio poi rimanga vivo o meno al di fuori della performance, nella vita di tutti i giorni, credo dipenda moltissimo dai motivi per cui una persona decide di entrare a far parte del nostro gruppo. Alcuni, ad esempio, scoprono delle cose che applicano poi nel contesto lavorativo per migliorare la propria posizione. Purtroppo infatti uomini e donne sono ancora visti in modo diverso sul posto di lavoro: questo lo abbiamo riscontrato in tutti quelli che partecipano. Ci sono persone poi che stanno facendo dei veri e propri percorsi di cambio di identità, in questi casi sicuramente ci si porta dentro quello che si vive nei laboratori King anche nella propria quotidianità“.

QUEEN E KING NELLA CULTURA DI MASSA – L’interesse del pubblico nei confronti del mondo drag è sempre stato piuttosto acceso e negli ultimi anni sta crescendo ancora di più. Gli esempi di personaggi di questo tipo, infatti, sono numerosi nei media contemporanei. Basta pensare che già nel 1989 una casa di produzione come la Disney presentava, nel suo film ‘La Sirenetta’, un personaggio, quello di Ursula, l’antagonista principale della pellicola, dichiaratamente ispirato a Divine, iconica Drag Queen degli anni ’80. Oltre al già citato RuPaul, considerato la prima Drag superstar d’America e onorato recentemente con l’inserimento della sua stella personale nella Walk of Fame di Los Angeles, possiamo pensare a tanti altri esempi: dal ruolo di Edna Turnbald di ‘Hairspray’, ai vari reality e show televisivi a tema, fino alla nuova serie animata targata NetflixSuper Drags‘, di imminente uscita. Quello che si nota subito tuttavia, è che i Drag King non godono, almeno per quanto riguarda la cultura mainstream, della stessa rappresentazione riservata alle loro controparti femminili. Questo forse accade anche perché i King hanno cominciato a prendere piede più recentemente nel mondo dello spettacolo, ma non può essere l’unica motivazione. Matilde Facheris approfondisce questo aspetto: “Ci siamo posti spesso la questione, ogni volta che cerchiamo di vendere i nostri spettacoli o quando ci mettiamo a provare o cerchiamo un regista a dire il vero. Le risposte non sono però esaustive. Nella nostra esperienza, gli spettacoli Queen sono prettamente di divertimento, in essi la donna è presentata in genere in modo molto esasperato. Le Drag Queen sono sempre molto appariscenti, colorate, esuberanti, divertenti e spensierate. Una donna che si mette ad interpretare un uomo, invece, difficilmente sarà tutto ciò. Probabilmente i Drag King sono visti come meno attrattivi proprio per questo motivo. Stiamo cercando di fare in modo che anche questi abbiano un loro lato fashion e cool, ma non è così semplice. Quando ci mettiamo a lavorare, infatti, solitamente non andiamo in quella direzione, è più facile che i nostri personaggi maschili siano un po’ stralunati, dei sognatori, quasi dei pazzoidi“.

 

di Gabriele Sani