Squid Game: la serie TV da record

Il segreto del successo dietro il prodotto Netflix, tra giochi d’infanzia, lotta di classe e tradizioni della Corea del Sud

Illustrazione di Giulia Padova

Il 17 Settembre, Netflix ha distribuito in tutto il mondo una nuova produzione interamente “made in Corea del Sud”: Squid Game (오징어게임). Scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, il racconto è diventato sin da subito un caso fuori da qualsiasi regola e immaginazione, riempendo le tendenze dei social, raggiungendo la prima posizione in più di 90 paesi e aggiudicandosi con ben 111 milioni di spettatori nel suo primo mese il titolo di miglior lancio di sempre della piattaforma streaming, superando BridgertonLa casa di carta.

1,2,3 stella! Il tiro alla fune e Il gioco del Calamaro 

Seong Gi-hun (Lee Jung-jae), un ex operaio, padre divorziato e sommerso da debiti, si ritrova a essere uno dei 456 partecipanti di un torneo di sei giochi per bambini, tra cui il “gioco del calamaro”, che gli dà il nome. Chi perde paga con la vita, il vincitore invece si aggiudica 45.600.000.000 di won (circa 33 milioni di euro). A differenza di altri film o serie che hanno fatto la storia del genere, non ci ritroviamo catapultati in un futuro distopico, ma siamo nella Seoul contemporanea, e i protagonisti non sono innocenti adolescenti buttati in un’arena contro la propria volontà, ma uomini e donne che vivono delle vite al limite, senza nulla da perdere, e che decidono volontariamente di continuare a giocare, perché questo gioco perverso e folle rimane tristemente migliore della vita al di fuori. In un mix di astuzia e fortuna, Gi-hun si ritroverà a giocare i game alleandosi con Cho Sang-woo (Park Hae-soo), un vecchio amico di infanzia ricercato per aver rubato dei soldi ai clienti della sua società, Kang Sae-byeok (debutto attoriale della modella Jung Ho-yeon), una profuga nordcoreana, Oh Il-nam (Oh Yeong-su), anziano affetto da un tumore celebrale e Abdul Ali (Anupam Tripathi), un immigrato pakistano sfruttato dal suo datore di lavoro.

©Netflix

Un successo sudcoreano

Il regista iniziò a stendere la prima sceneggiatura nel lontano 2008, ma per anni produttori e attori respinsero il progetto, reputandolo “troppo strano e irrealistico”. Non vi è dubbio che da allora molte cose siano cambiate. L’hallyu (한류, la cosiddetta onda coreana) si è espansa a macchia d’olio anno dopo anno per tutto il globo: a partire dal K-pop e da gruppi come i BTS, passando per il cinema con la vittoria agli Oscar di Parasite di Bong Joon-ho e arrivando ai K-drama. Questo ultimi sono, appunto, le serie tv sud coreane, che spaziano dalle storie d’amore più mielose, all’horror più splatter, dalle vicende epiche nella dinastia Joseon fino ai polizieschi dai toni più noir. Negli ultimi due anni, solo in America, si è visto un incremento del 200% di spettatori di K-drama e Netflix ha colto la palla al balzo, investendo dal 2015 al 2020 ben 700 milioni di dollari in contenuti coreani e costruendo nell’ultimo anno due nuovi studi di produzione esclusivi in sede, per incrementare ulteriormente le produzioni locali, tra le quali per l’appunto Squid Game. Si prevedeva un successo assicurato in patria e, come lo stesso regista ha affermato, è stata pensata e sviluppata per un target internazionale – si è focalizzato molto a rendere i giochi e le loro regole il più semplici possibili per un pubblico non coreano – ma era decisamente impensabile tutto ciò che ne è scaturito successivamente. Più di 33 miliardi di interazioni su Tik Tok, centinaia di migliaia di post e meme dedicatigli su Instagram, Twitter e Facebook; le vendite delle Vans bianche slip-on sono aumentate del 7800% nell’ultima settimana; c’è un videogioco in programmazione. Inoltre, è stato già organizzato il primo torneo reale ad Abu Dhabi (se si perde si torna a casa, tranquilli) e hanno spopolato le challenge per ricreare i giochi, in particolare quella dei dalgona, i biscotti al caramello, che in Corea del Sud hanno acquistato rinnovato splendore e ora fama mondiale. Tutto questo per un prodotto in lingua coreana da vedere con i sottotitoli, inserito in un contesto di tradizione culturale al quale la maggioranza degli spettatori occidentali non è stata mai esposta.

©Netflix

Che cosa ha reso questa storia così popolare?

Squid Game fa parte di un genere assai specifico, tutto nipponico, il survival game, che attrae ormai da anni tutto il mondo. L’opera capostipite è senza dubbio il romanzo, adattato poi in un film, Battle Royale (2000), dove un gruppo di liceali viene costretto a combattere una lotta all’ultimo sangue dal governo giapponese. Quest’opera ha largamente ispirato, fra gli altri, la saga Young Adult di The Hunger Games in cui i “tributi” sorteggiati partecipano a un reality per intrattenere l’élite dello Stato. Lo stesso Hwang Dong-hyuk ha apertamente rivelato di essersi ispirato ai manga giapponesi della sua gioventù, come quello sui cui è stato basato Alice in Borderland (sempre una produzione di Netflix) rilasciata a dicembre 2020. I protagonisti sono dei giovani ragazzi giapponesi che si ritrovano da un giorno all’altro in una Tokyo desolata diventata un’arena per un torneo: il successo è arrivato anche per lei, con una seconda stagione già confermata.

In tutta la loro brutalità, questi survival show creano un certo voyeurismo negli spettatori che, alla vista di situazioni al limite di grande sofferenza psicologica e fisica, non li rende poi così tanto diversi dai ricchi nascosti dietro le maschere che scommettono sui concorrenti, come in una corsa di cavalli. Questo piacere recondito nella ludicizzazione” del sopravvivere potrebbe riflettere l’ambiente iper-individualista in cui viviamo: oggi tutto è una competizione – nella realizzazione sociale e sui social, nello studio prima e nel lavoro poi. Questo ci suggerisce quindi che storie come “Il gioco del calamaro” ci attraggono perché non sono così lontane dalla nostra condizione contemporanea. I set dai colori vivaci, le musiche gioviali e i giochi d’infanzia creano quest’atmosfera surrealista che, in contrapposizione alla disinvoltura con cui viene messa in scena la violenza, rende la serie quasi una black comedy. La violenza tradotta in potere e denaro in una società civilizzata rivela la pulsazione più primordiale di ogni individuo, l’istinto di sopravvivenza, poiché sempre è valso sempre varrà il principio vita mea mors tua. Ma a detta della direttrice creativa Netflix per i contenuti asiatici Minyoung Kim, l’essenza dello show è la sua denuncia dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza fra classi e gli effetti moralmente corrosivi del capitalismo. La Corea del Sud e una nazione con molte cicatrici: basti pensare che solo nel XX secolo ha subito la colonizzazione giapponese, la Guerra di Corea e varie crisi finanziare. Inoltre, il fatto che, come nel resto del mondo, il divario economico fra i super ricchi e i super poveri stia crescendo è diventato un leitmotiv ricorrente al cinema – si pensi a Parasite o Snowpiercer di Bong Joon-ho – e in televisione con serie come Kingdom (2019–2021) e Stranger (2015) dove i protagonisti partono dal basso, o Sky Castle (2018) e The Penthouse (2020-2021), dove invece viene mostrato come i coreani più abbienti mantengano il controllo del loro patrimonio.

©Netflix

Il futuro della serie

Se ci sarà un seguito, rimane un mistero al momento. I K-drama raramente hanno una struttura che non sia autoconclusiva, ma si può immaginare sia negli interessi di Netflix realizzare una seconda stagione. Possiamo confermare però, senza fare particolari spoiler, che la serie ha un finale aperto e lo stesso regista sta già considerando di affiancarsi a un team di sceneggiatori per continuare quello che potrebbe diventare in futuro il franchise più prolifico delle serie tv.

3 Commenti su Squid Game: la serie TV da record

  1. L’articolo mi è piaciuto molto. Ben strutturato, con informazioni capaci di mostrare la versione psicologica della serie senza rimanere focalizzati sulla trama e nulla più.
    Cosa ne pensi dei ragazzi che magari possono prendere spunto da questo show, essendo annoiati dalla vita, e praticarlo nella realtà ?
    Un saluto, Leo :)

    • Fortunatamente esistono i giusti strumenti per evitare che persone ancora inconsapevoli possano vedere una serie ad alto contenuto di violenza. La serie è vietata ai minori di 14 anni ed è presente il Parental control sulla piattaforma. Non penso sia possibile e neanche corretto censurare prodotti o interi generi nell’eventualità che questi accorgimenti a valle non vengano fatti.
      Grazie del commento sulla recensione, Giulia.

  2. L’articolo è scritto bene, chiaro e coinciso, complimenti

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