Luca Abete: “Professore ad honorem? Più giornalista ‘col superpotere’ ”

DOPO LA NOMINA DAL RETTORE BORGHI, L'INVIATO DI STRISCIA RACCONTA IL SUO MESTIERE E IL SUO IMPEGNO SOCIALE

luca rettore sorriso

Da motivatore a professore. Luca Abete, giornalista d’assalto del programma televisivo Striscia la notizia, avrà presto l’occasione di incalzare non solo i suoi intervistati, ma anche gli studenti dell’Università di Parma. La proposta è stata lanciata dal rettore Loris Borghi in occasione dell’incontro tenutosi lo scorso 11 marzo al Campus universitario all’interno della sua iniziativa #Noncifermanessuno, un tour motivazionale allo scopo di aprire la mente delle giovani generazioni in vista di un prossimo futuro lavorativo all’insegna del successo.

Durante la tappa parmigiana del #Noncifermanessuno tour, il rettore ha annunciato la sua prossima nomina a professore ad honorem. Cosa insegnerebbe agli studenti dell’Università di Parma? Si sente all’altezza di questo incarico?

“Per me è stata una grandissima sorpresa: il rettore non mi aveva anticipato nulla e lo ha annunciato senza informare me, né qualcuno del mio staff. Nel ruolo di professore non mi sento tanto a mio agio, nel senso che, anche durante questi incontri che tengo nelle università, più che fare una lezione racconto un’esperienza. Il rettore è una persona molto attenta; nel momento in cui si è sbilanciato nel prendere una decisione così importante, lo ha fatto perché sa benissimo che io non sono un classico professore che viene a spiegare qualcosa, è consapevole del fatto che io posso essere uno stimolo. E’ molto brutto che qualcuno spieghi le regole della vita a qualcun’altro. Io ho 42 anni e non dimentico quando ne avevo qualcuno in meno e andavo all’università. So benissimo che il miglior modo per confrontarsi e per apprendere è proprio quello di non essere costretti ad imparare dalle persone ma ricevere degli stimoli e poi interpretarli nel miglior modo possibile”.

Il tour è arrivato quest’anno alla sua seconda edizione. Qual è il messaggio che veicola? Quali obiettivi ha raggiunto?

“Il messaggio è chiaro: ognuno di noi non deve mai scoraggiarsi. Bisogna scrollarsi di dosso la pigrizia e mettersi in moto verso il raggiungimento dei propri obiettivi, dei propri sogni, facendo le cose per bene. Io ripeto sempre questa espressione: facendo le cose per bene e mettendosi in gioco costantemente ci si può ritrovare in un posto migliore di quello in cui siamo oggi. Poi non sono certi la gloria, il successo, l’obiettivo di chi approccia in questo modo. Il vero obiettivo è di stare bene con se stessi e di ritrovarsi intorno qualche sorriso in più, qualche consenso in più e la consapevolezza di aver onorato al meglio la grande fortuna che abbiamo che è quella di essere al mondo e di poterci giocare delle opportunità.

Questo progetto è nato dopo una sperimentazione di un paio d’anni durante i quali ho tenuto degli incontri sporadici per capire se effettivamente potesse funzionare. Ancor prima che il progetto nascesse, erano tanti i messaggi che mi arrivavano il giorno dopo in cui le persone mi dicevano semplicemente grazie. A Varese ho rincontrato una ragazza che mi ha detto che era tornata soltanto per salutarmi. L’anno precedente fu portata al mio corso da un suo docente: era un periodo molto difficile della sua vita, durante il quale pensava di abbondare l’Università ma senza avere degli obiettivi precisi. Il suo era soltanto un modo per fuggire da un disagio senza avere una soluzione. Ebbene, mi ha raccontato che durante l’incontro ha capito che forse le cose che stava facendo non erano giuste e da allora la sua vita è cambiata.”

Da dieci anni collabora con Striscia la Notizia come inviato in Campania. È ancora la televisione lo strumento più valido per dare risalto a determinate questioni come inquinamento abeambientale e criminalità organizzata?

La televisione sicuramente ha perso il monopolio che aveva qualche decennio fa però resta la voce più autorevole e preponderanti. Se poi consideriamo che molto spesso il materiale televisivo è condivisibile anche sui social network e sul web si può parlare a questo punto di una televisione che è uscita dalla scatola luminosa che abbiamo tutti nel soggiorno e che ha trovato una variazione. Possiamo affermare che pur dovendosi confrontare con altre realtà la televisione resta uno dei mezzi più accreditati e diffusi: i numeri che fa la Tv difficilmente vengono eguagliati da altri strumenti e soprattutto resta uno degli organi di comunicazione che possono ancora essere controllati, non solo nel senso di manipolati ma anche con il significato di accertati e accreditati. Resta uno degli strumenti, se usata professionalmente, più attendibili. Se riescono ad imporsi altri canali, ben venga; perché quante più forme ha la comunicazione per manifestarsi più posso esserne contento. Sicuramente Striscia la notizia resta un canale incisivo e di fiducia per tanti italiani e, soprattutto, risolutivo dal momento che siamo in grado di risolvere un bel po’ di problematiche.”

Quali sono stati i casi che ha affrontato che più l’hanno colpita?

“La battaglia per la ‘Terra dei fuochi’ è stata una delle cose alle quali ho tenuto di più. Lo abbiamo affrontato con Striscia già del 2006, ancor prima che se ne avesse realmente la percezione. Ho raccontato dei rifiuti interrati, dell’inquinamento attraverso lo sversamento di rifiuti nei fiumi, di come la camorra riuscisse così impunemente a smaltire i rifiuti e a bruciarli. All’inizio è stato molto difficile: girando per quelle zone vedevo delle colonne di fumo altissime e molto dense; quando chiedevo spiegazioni alle persone del luogo, mi rispondevano che lì era normale perché era sempre stato così. Sentendo queste parole rabbrividivo perché mi rendevo conto che la cosa più grave non era l’eco-reato in sé ma la mancanza di coscienza del dramma che si stava consumando da parte di persone che di sera erano costrette a barricarsi in casa perché l’aria ‘bruciata’, che faceva lacrimare gli occhi e pizzicare la gola, non gli consentiva di respirare. In quest’atmosfera per anni sono cresciuti i bambini e quando facevo i miei primi servizi mi dirigevo verso quelle colonne di fumo il prima possibile per tentare di prendere con le mani nel sacco i responsabili. Ricordo che i contadini presenti sul posto dicevano di non aver visto nulla e di non sapere chi fosse stato. Oppure, quando chiamavo i vigili del fuoco per intervenire, mi rispondevano che se si dovessero muovere per ogni segnalazione non avrebbero nemmeno il tempo per farlo. Quando poi il tema è diventato caldo, finalmente, dopo anni, si è preso coscienza del dramma che si stava consumando, per me è stata grande soddisfazione e anche una liberazione. Mi avevano accusato in tanti, dicendo che esageravo, che questo era un problema ingigantito dalla televisione quando poi i tanti bambini morti per malattie contratte a causa dell’inquinamento dei rifiuti è un dato statistico sotto gli occhi di tutti.”

Come valuta il panorama dei programmi d’informazione televisiva italiano? È preferibile un tipo d’informazione più diretto e d’impatto o di approfondimento per soddisfare le esigenze del pubblico?

“Antonio Ricci, secondo me e a detta di tanti, è un genio perché ha mascherato un telegiornale con un vero e proprio circo. Ha creato un tg satirico in cui gli inviati sono dei comici, dei cabarettisti, perfino un pupazzo! Ha chiamato a condurre non dei giornalisti in giacca e cravatta ma dei comici e ha fatto la cosa più bella che si potesse inventare, che è stata poi copiata da tutti: quella di dare semplicemente voce alla cittadinanza, al popolo italiano. Le notizie nascono non certo dall’intuizione o da un lavoro di redazione, ma dalle segnalazioni delle persone. Si è deciso di andare in maniera trasversale, raccontando l’altra parte della notizia che magari nessuno dava perché non conveniva o non c’era interesse. Noi l’abbiamo fatto dando spazio alle prove. Antonio Ricci è quello che ha inventato l’utilizzo della microcamera a fini investigativi televisivi. Ha pensato: ‘Se dobbiamo raccontare un fatto, perché farlo a voce o scrivendolo su un giornale?’ Si tratta di una parodia di un telegiornale che è riuscita a diventare più accreditata di un telegiornale vero. Oggi molta gente non dice più ‘ti denuncio’ o ‘chiamo la polizia’ ma ‘’chiamo Striscia la notizia’. E magari le cose si mettono a posto ancor prima che arrivi Luca Abete.

Luca Abete è famoso anche per il suo stile: giacca e camicia verde, pantaloni e scarpe marroni, una pigna all’occhiello. Quanto ritiene sia importante la costruzione di un personaggio per avere successo nel suo mestiere?

abbbbbbete“Il nostro, come dicevo prima, è un circo. Abbiamo l’uomo con lo stura-lavandini in testa, un pupazzo rosso che va a fare l’investigatore, uno che consegna tapiri e io con la mia pigna in tasca. La caratterizzazione del personaggio serve innanzitutto a far capire che noi siamo dei clown. Io ho fatto realmente questo mestiere per tanti anni ma la maschera è importante perché la cosa più bella che un clown può fare è di non prendersi troppo sul serio, fare uso dell’autoironia: nel mio caso consiste nell’andare in giro vestito in quel modo a consegnare pigne, giocando sul mio nome. Ciò permette di togliersi da dosso l’arroganza nel voler accusare a tutti i costi qualcuno, facendo i giustizialisti. Noi di Striscia siamo semplicemente dei cittadini con un superpotere: quello dei milioni di telespettatori, il potere risolutivo che ha acquisito il programma col tempo. Il nostro approccio si è rivelato vincente: scherzare, mettendo in atto una piccola provocazione e affrontando temi scottanti e talvolta drammatici.”

Nel 2010 ha precorso i tempi lanciando l’iniziativa ‘One photo one day’, seguita, nel 2013, dal progetto ‘Foto Opposte’. È possibile pensare ad un tipo di giornalismo che non abbia un contatto diretto con il pubblico e, di conseguenza, uno sfondo social?

“Credo sia impossibile. Basti pensare a come è cambiato negli anni il rapporto tra Striscia e il proprio pubblico: inizialmente ci mandavano dei fax o lasciavano dei messaggi anonimi in segreteria telefonica, oppure ricevevamo delle buste con all’interno delle cassette che mostravano delle immagini incriminanti. Oggi, invece, grazie agli smartphone e ai social network i fax e lettere non arrivano più ma riceviamo tanti video e foto. Ciò permette al pubblico di diventare dei piccoli inviati del nostro programma ed essere parte della nostra redazione, che è la più grande del mondo. Grazie a loro riusciamo a portare alle luce fatti gravissimi che non si era riusciti a dimostrare o di cui non si era mai parlato prima.”

 

di Giuseppe Mugnano

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