Il nostro mondo è salvo per il coraggio dei suoi testimoni

Gandhi, Che Guevara, Mandela sono signori della storia che dovrebbero rieducare in questi tempi di guerre e divulgazioni di falsità. Ma che cosa avevano in comune? Chi erano? Tutti rivoluzionari, forti difensori della libertà e con modalità diverse promotori della democrazia.

Parole che si trovano nei testi di storia, scontate, in disuso, riportate sporadicamente da qualche vecchio idealista che vuole immaginarsi una realtà migliore ma che poi, presto, di fronte all’arroganza dei potenti, cede all’indifferenza. E nell’indifferenza si vive bene, che tu sia un watchdog sulle istituzioni o un politico lustrato a genuflettersi ai dictat delle grandi lobby o corporazioni, non si sbaglia mai.

Proprio da questa accettazione vigliacca della vita inizia la nostra scoperta di queste tre personalità che con sicurezza scientifica si può affermare che non si sono mai inginocchiati a nessuno e hanno pagato a caro prezzo la loro decisione.

Gandhi davanti ai soprusi e una politica di odio e morte dei colonizzatori britannici ha risposto con la non-violenza, un gesto tanto grandioso quanto immortale; gli inglesi in India controllavano tutto: avevano un esercito, giornali e potere politico-decisionale ma questo uomo, scarno e innocuo, in nome del bene supremo della libertà ha deciso di opporsi senza l’utilizzo di armi.

Non è moralismo ne storia antica perché c’era Gandhi dopo le stragi di Charlie Hebdo quando hanno marciato insieme palestinesi e israeliani gridando all’unisono non avrete il mio odio; c’era lì, reale, nel coraggio di quella folla e non erano attori né un gioco di finzione.

Al contrario Che Guevara ha combattuto, senza risparmiare un colpo di fucile ma il suo essere stato rivoluzionario è riconducibile al non essersi mai arreso, ad avere avuto uno spirito di giustizia così radicato che non gli ha permesso di essere soggiogato da nessuna forma di potere; la falsità, corruzione è un giustificato motivo di ribellione a cui non ci si può sottrarsi anche pagando il prezzo della solitudine.

Mandela è forse l’insegnante più decorato e illustre della nostra storia, è stato imprigionato trent’anni dai britannici perché aveva una visione utopistica della società, luogo dove potessero convivere insieme e nel rispetto reciproco bianchi e neri; ha vissuto il carcere più volgare e machiavellicamente organizzato che forse sia mai stato sperimentato. Dietro le sbarre i vili colonizzatori non gli hanno permesso di vedere i suoi cari, relegandolo al ruolo di criminale, fuori, gli hanno ucciso famigliari e con la forza del gruppo hanno avviato una macchina mediatica del fango, piena di menzogne, per farlo ricredere sulle sue posizioni pacifiste e come effetto alone farlo sentire criminale. Il problema più grave di questa politica terroristica è che l’odio diffuso ha creato un’opinione pubblica ignorante, ha sedimentato la diffidenza e soprattutto ha voluto che ci fosse separazione, non solidarietà. La propaganda britannica perpetrata nel Sud Africa dovrebbe far riflettere e tornare a rieducare come un vecchio libro che dopo anni di polvere, torna a essere utile, essenziale ma assume significati nuovi, innovativi.

Chiunque decide di combattere sa che la vita non è facile, Mandela per consolarsi nel periodo di prigionia, ogni giorno, si ripeteva che era padrone del suo destino e capitano della sua anima, non è rassicurante ma l’esempio e l’insegnamento che ci regalano questi grandi del passato è l’essere stati sicuri, orgogliosi di stare sempre dalla parte dell’onestà e della giustizia, di aver scelto la trasparenza in un mondo che getta ombre di continuo per consolidare le finte certezze della maggioranza.

Senza vittimismo, è bene domandarsi: come si fa a non ribellarsi?

Marcello Paterlini

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