Mater, una mostra per indagare l’origine di ogni cosa

LA FIGURA FEMMINILE ATTRAVERSO I SECOLI: TRA SACRALITA' E INTROSPEZIONE

materIl Palazzo del Governatore si tinge di rosa. Dall’8 marzo fino al 28 giugno è infatti possibile visitare ‘Mater. Percorsi simbolici sulla maternità’, una mostra che vuole ripercorrere, attraverso un’accurata selezione di opere d’arte e reperti archeologici, l’aspetto sacrale dell’essenza materna, che da sempre costituisce un archetipo forte nella cultura mediterranea e non solo. Le opere scelte provengono da numerosi musei italiani e da collezioni private e sono state assicurate per circa 100 milioni di euro. L’esposizione si snoda come un racconto che, attraverso capolavori appartenenti a ogni epoca, vuole indagare sulla responsabilità della figura femminile nella nascita e crescita di un individuo, dalle prime raffigurazioni della Grande Madre fino ad arrivare al Novecento passando per il mondo egizio, latino e greco. Ogni sezione della mostra è accompagnata da alcune celebri frasi di pensatori, poeti, scrittori che offrono allo spettatore una personale concezione della donna.

FERTILITA’ E MATERNITA’ NEI SECOLI – Il tema della fertilità e della maternità ha fatto da tramite per secoli al rapporto tra umano e divino e ne sono esempi le numerose statuette della Dea Madre, idoli femminili primitivi. Fin dalle sue origini, inoltre, la Grande Madre è infatti associata alle grotte per la loro forma materica e umida, caratteristiche che si collegano all’origine della vita. Nella religione egizia la figura della Dea Madre viene declinata secondo una visione cosmica, come madre dell’universo da cui deriva tutta la vita. Per le donne romane la fertilità rappresentava una necessità primaria, tanto da giungere ad assumere intrugli spesso velenosi per contrastare l’infertilità: l’uomo si sposava per avere figli forti e l’infertilità era motivo di ripudio. La figura di Iside è importante: ella è madre e dea per eccellenza. Esiste anche la maternità negata, concetto che esplode nella figura di Medea: assassina dei propri figli, rappresenta una dimensione negativa dell’essere madre in cui il rapporto con i propri piccoli si trasforma in orrore e violenza. Dopo il riconoscimento di Maria come Madre di Dio da parte del Concilio di Nicea nel 325 d.C. si è di fronte a una decisiva svolta nella rappresentazione della maternità: sono tantissime infatti le Madonne con Bambino che hanno costellato il panorama artistico italiano fino al XVII secolo. Nell’Ottocento in ambito borghese la famiglia si trasforma e la maternità viene considerata sempre meno sacra; diventa più forte il divario sociale tra uomo e donna creato dalla rivoluzione industriale. Questo concetto culmina nel secolo successivo dove non emerge più una figura di madre astratta e chiusa nel proprio guscio sacrale, ma una figura costretta a fronteggiare le vicende quotidiane. Il valore della procreazione cede il passo a una maggior rappresentazione estetica ed esteriore della donna.

11057003_10205092311059235_1258838926_nLE OPERE E GLI ARTISTII capolavori esposti sono ben 170 e toccano artisti come Rosso Fiorentino, Pinturicchio, Veronese, Moretto, Hayez, Giacometti fino a Bill Viola e Dalì. Nella prima sezione, dedicata alla Dea Madre, la donna è rappresentata in maniera del tutto stilizzata riportando l’attenzione a un culto antico dove il ciclo della natura si manifestava nella donna. Ciclo della natura che ritroviamo ad esempio nel Busto di Proserpina in terracotta risalente al 150 a.C. che riprende il mito greco e si rifà alla bellezza ellenica della figlia della Dea Cerere, divinità legata alla fertilità della terra. A Proserpina è concesso risalire in superficie solo un quarto di anno per  rivedere la propria madre che gioiosa accomuna il ricongiungimento con la rinascita della natura. Altresì importante è il Busto della dea Iside in basalto grigio risalente alla XXVI dinastia: la fortuna di questa figura è legata alla sua fama di maga che, secondo il mito, le avrebbe permesso di carpire al dio Ra il suo nome nascosto e quindi il segreto della sua forza. Iside è figlia della dea del cielo Nut e del dio della terra Geb e proprio grazie alle sue arti magiche protegge gli uomini dai pericoli come una buona madre. Nella sezione Maternità Negata è esposto  un affresco databile 40-79 d.C. raffigurante l’austera e arcigna Medea, protagonista di una delle tragedie greche tra le più famose, nell’attimo in cui medita di uccidere i propri figli per vendicarsi del tradimento del marito Giasone. La figura rapisce e sorprende nella sua movimentata staticità, poiché attraverso gli occhi sgranati  viene rivelato il suo subbuglio interiore. All’interno della sezione Maternità rivelata, dove si esprime la concezione cristiana della donna che si manifesta nella consacrazione di Maria come Madre di Gesù diventando dogma indiscutibile  di tutta la cultura cattolica, un esempio esaustivo tra le tante opere presenti può essere il dipinto di Luca Signorelli ‘Annunciazione’ del 1491. I colori sono brillanti, caratteristica tipica della scuola fiorentina , la vivacità teatrale al centro dell’opera è apportata dal movimento dell’Angelo che annuncia il volere del Signore ad una sottomessa Maria. Dalla donna cristiana si passa poi alla donna del 1900, che si sveste della sua sacralità per inserirsi in un diverso contesto storico. ‘L’esodo’ di Amedeo Bocchi del 1953 mostra una madre che tiene per mano la sua bambina con i volti delle due donne pressoché identici: se negli occhi della bambina si può leggere la paura per il viaggio, nei neri occhi della madre invece si può vedere un’irrequieta calma tipica di chi sta guardando l’ignoto che da lì a poco si presenterà. Con ‘Le Madri’, opera di Raffaele Borella del 1918, invece si ha un confronto tra generazioni materne diverse. Una madre dai capelli canuti bacia dolcemente la figlia che, lasciatasi andare su una sedia, si erge a madonna laica: messi da parte i connotati cristiani restano solo le fatiche terrene dell’essere donna e madre nel XX secolo. Nell’ultima sezione della mostra si dà spazio alla visione destrutturalista della donna. ‘Space Venus’ opera del 1984 del poliedrico artista spagnolo Salvador Dalì, mostra un busto di donna scolpito secondo perfetti canoni ellenici: sensuale nelle sue forme, il busto alla base del collo è costellato da un orologio sciolto che simboleggia la caducità e la mortalità a cui è destinato il corpo umano, e piccole formiche sul ventre della donna non fanno altro che ricordarlo. Ma dal busto destrutturato al centro si staglia un uovo dorato: il seme divino che ogni donna possiede  e grazie al quale lotta e vince la battaglia contro la morte.

L’ORIGINALITA’ DELL’ESPOSIZIONE – La mostra fonda la sua originalità nell’aver scelto soggetti cosi distanti tra loro in termini stilistici e temporali da indurre lo spettatore a ragionare su come la figura della donna abbia subito nei secoli un particolare sviluppo concettuale. Il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, si dichiara orgoglioso di poter ospitare in città questa esposizione :“Il tema del miracolo della vita si lega alla figura della donna in un rimando simbolico e inseparabile. La mostra attraverso il suo racconto, ci accompagna nella scoperta di valori estetici, sociali, affettivi. Arte e vita si legano attraverso grandi opere nella nostra storia passata e presente.” L’assessore alla cultura, Laura Maria Ferraris, specifica che “nell’anno in cui l’Italia riflette attraverso Expo sui temi della nutrizione e del futuro di un pianeta fragile, Parma sceglie di soffermarsi sul principio universale dell’origine umana, attraverso la figura che più di tutte ci rappresenta”.

 

di Martina Pacini e Stefano Frungillo

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